SHOCK (XXXI, p. 613)
Sullo shock, problema di enorme importanza teorica e pratica ed in continua evoluzione, numerosi studî sono stati condotti, nei varî paesi, specie negli anni precedenti la seconda Guerra mondiale e durante il suo corso.
Classificazione dello shock. - Come orientamento, lasciando da parte altri tipi di shock (cardiogeno, anafilattico, istaminico, ecc.), si può distinguere con Blalock, lo shock primario o neurogeno e lo shock secondario od ematogeno, che è quello di cui qui ci si occupa.
Lo shock primario, in cui è compreso il comune collasso, lo svenimento, la sincope senocarotidea, vasovagale, è caratterizzato da vasodilatazione ed aumento di capacità del letto vascolare. In esso si nota rapida ed iniziale caduta della pressione arteriosa, con pallore, insufficiente afflusso di sangue al cervello ed apatia fino alla perdita di coscienza per breve tratto di tempo e polso tendente al rallentamento. Varî fattori fisici (dolori) e psichici (emozioni) possono esserne la causa. Questo tipo di shock è in modo relativamente facile reversibile, con la posizione orizzontale (che permette migliore irrorazione del cervello) e con simpatomimetici (adrenalina, simpatol, ecc.).
Lo shock secondario è il vero shok, che compare dopo gravi traumi, operazioni, ustioni, emorragie, peritoniti diffuse, occlusioni intestinali, ecc. Esso si manifesta alcune ore, anche 12-24 ore dopo il trauma; si tratta quindi di uno shock tardivo; è caratterizzato principalmente dalla ipotensione arteriosa (pressione massima a 80 ÷ 70 mm. di Hg. o meno) e dalla tachicardia (110-130 m' e più) oltre che dall'emoconcentrazione e da notevoli alterazioni ematiche fisicochimiche. Lo shock secondario si può definire come una "insufficienza circolatoria periferica dovuta a sproporzione fra capacità del letto circolatorio e volume del sangue circolante". La diminuzione del volume del sangue circolante è dovuta a perdita di liquidi, di sangue, di plasma e di sali di sodio, con successiva anossia dei centri vitali nervosi e degli organi a funzioni più elevate (fegato, reni, cuore).
Un tipo particolare di shock, già notato durante il terremoto di Messina, ma studiato specialmente durante i bombardamenti aerei di Londra, in soggetti rimasti varie ore sotto le macerie con uno o più arti compressi, è lo shock da compressione o schiacciamento (ingl. crush shock). Esso è analogo in parte allo shock sperimentale da schiacciamento di masse muscolari ed allo shock da laccio emostatico. Dopo estratto il soggetto dalle macerie l'arto comincia a tumefarsi, si ha perdita locale di liquidi plasmasimili ed assorbimento di materiali tossici derivati dallo schiacciamento muscolare e conseguente shock, che'può essere mortale. Nei soggetti che lo superano può comparire una sindrome renale con oliguria, anuria ed iperazotemia, anch'essa possibile causa di morte al 5°-7° giorno. Secondo recenti ricerche (I. Trueta e coll.), tale oliguria ed anuria sarebbero dovute ad un riflesso renale insorgente durante lo schiacciamento per cui si ha arresto di circolazione, ischemia ed anossia della parte corticale del rene (parte che funzionalmente ha la maggiore importanza) e conseguenti oliguria e anuria.
La patogenesi dello shock secondario è tuttora discussa: dopo la teoria nervosa e tossica, ogni tanto rimesse in onore, per ora si può ritenere che il concetto della perdita di liquidi (plasma, sangue, acqua) e di sali di sodio, sia quello che meglio spiega anche i risultati della terapia.
Terapia. - Il notevole progresso avvenuto in questi ultimi anni nella cura dello shock è stato reso possibile dal parallelo progresso nel campo della trasfusione (v. sangue, in questa App.). Considerando nello shock principalmente il fattore riduzione della massa sanguigna circolante, scopo della terapia è di compensare, di normalizzare, a seconda dei casi con sangue, con plasma, con soluzioni isotoniche di cloruro di sodio ad alte dosi, questa diminuzione del volume sanguigno e ciò prima che il processo sia diventato irreversibile. L'uso di cardiotonici, di simpaticomimetici ha minore importanza.
Nell'uomo, per rifare la massa sanguigna, le trasfusioni di sangue, di plasma, di siero, costituiscono un elemento di prim'ordine (ad alte dosi, anche 15 ÷ 25, e più cc. per kg. di peso corporeo). Anche le soluzioni isotoniche di sali di sodio (cloruro, lattato, bicarbonato, ecc.) ritornate in onore, a dosi molto più elevate di un tempo, possono dare in alcuni tipi di shock (come in quello da ustioni) notevoli e talora completi risultati. Con questi mezzi (plasma, sangue, soluzioni saline) molti pazienti che una volta erano sicuramente perduti si possono oggi salvare, talora con relativa facilità.
Alcuni sostituti del plasma umano, prodotti sintetici isosmotici, possono essere ugualmente efficaci (periston, subtosan). Costituisce tuttora argomento interessante la ricerca dell'attività e della sopportabilità, nell'uomo, del siero e del plasma di animali domestici (plasma equino).
La migliore terapia dello shock sta nella sua profilassi; essa consiste nel trattare precocemente, coi mezzi detti, tutti quei casi nei quali è possibile insorga nel decorso ulteriore lo shock. Per questo le abbondanti trasfusioni di sangue, di plasma e l'idratazione con soluzione fisiologica, sono di uso corrente durante e dopo operazioni chirurgiche di una certa gravità, negli ustionati, nei feriti gravi, nei traumatizzati, prima ancora che lo shock compaia col quadro completo.
Bibl.: F. Corelli, Lo shock, Firenze 1946.
Terapie da shock.
È difficile delimitare - nella grande varietà delle terapie nelle malattie mentali - il campo delle cosiddette "terapie da shock". Si precisa che qui "shock" non è inteso nel senso comunemente adottato in patologia generale, ma in un senso particolare: carattere distintivo da tutti gli altri metodi di cura, e comune al gruppo delle shock-terapie, può essere la circostanza che in queste si provoca uno stato di incoscienza del soggetto. Sulla base di questa delimitazione, alquanto artificiale, pobbiamo risalire alle cure del sonno a permanenza, ottenuto mediante ripetute iniezioni di barbiturici (I. Klaesi, 1922), ai tentativi di narcosi con anidride carbonica (Louvenhart, 1929) e simili (v. psichiatria, in questa App.).
Insulina. - Larghissima applicazione ha trovato - specie come cura della atimia schizofrenica - la provocazione del coma ipoglicemico mediante insulina. Lo Schuster, H. Steck, e il Klemper avevano già utilizzato l'insulina come sedativo nell'alcoolismo, nel morfinismo, ecc., ma fu M. Sackel che indicò nel 1933 con tutti i particolari tecnici l'impiego del vero coma ipoglicemico nell'atimia schizofrenica. In Italia venne adottato sistematicamente nella Clinica di Roma nel 1936.
Si esegue praticando ogni mattino a digiuno una iniezione endomuscolare di insulina, cominciando da 15-25 unità e aumentando di 10-15 unità al giorno. Sopravviene irrequietezza psicomotoria, sudore profuso, sonnolenza, salivazione, ipotonia. Permangono i riflessi. Dopo un'ora circa si somministrano 200 gr. di zucchero sciolti in acqua, tè o latte. Aumentando giornalmente le dosi si raggiunge la cosiddetta "dose coma", ossia dopo i detti prodromi (fase I) si ha la fase II: perdita della coscienza, scomparsa dei riflessi (anche dei corneali), comparsa di cloni e di riflessi patologici (Babinski, Oppenheim, Mendel-Bechterew), che, in seguito, scompaiono pur essi. Si hanno spasmi muscolari, mioclonie e tremori generalizzati; bradicardia. Sotto continua sorveglianza medica si lascia durare il coma per 1 - 2 ore, e poi, a mezzo di sonda nasale, si somministrano 200-250 gr. di zucchero, sciolti in altrettanta acqua. Il soggetto, in 10-15′ ritorna allo stato normale. La "dose coma" è assai diversa per ogni soggetto (da 100 a 3-400 unità per volta!) Il coma si provoca tutti i giorni, con un giorno di riposo per ogni settimana. Una cura completa comporta 90-100-120 coma.
Si possono presentare varie complicazioni: spasmo faringo-laringeo (e perciò è bene immettere la sonda per lo zucchero ai primi segni dello stato ipoglicemico), difficoltà del respiro, sintomi di collasso cardiaco. In tal caso si pratica iniezione endovenosa di 10-20 cc. di glucosio al 33% con l'aggiunta di 10 gocce di adrenalina al millesimo. Il malato si riprende subito ma non bisogna tralasciare di somministrare allora per bocca il quantitativo complementare di zucchero (200 gr. circa). Talvolta può sopravvenire un accesso epilettico; se questo si risolve senza inconvenienti si può attendere, altrimenti conviene praticare la detta iniezione endovenosa. Controindicazioni sono: fatti miocarditici; un eccessivo deperimento organico, la presenza di focolai tubercolari nei polmoni. La cura richiede perizia e vigilanza oculata da parte dei medici per decidere tempestivamente circa il momento della interruzione del coma e perfetta organizzazione assistenziale e strumentale. Casi di morte, sopra un grandissimo numero di cure, sono stati rari (da 0,5 a 1,2%, per encefalopatia ipoglicemica, complicazioni polmonari, fatti cardiovascolari).
Nell'atimia schizofrenica (casi di non oltre sei mesi) remissioni complete nel 70-80%. Casi cronici: dal 27 al 4% (M. Sackel, R. Müller). Più recenti statistiche dànno 60% di remissioni complete e remissioni "sociali" in casi di non oltre sei mesi; in casi di uno o due anni, 37%. La terapia insulinica si è adoperata anche in altre malattie mentali con diverso successo.
Terapie convulsive. - 1) A base farmacologica: Cardiazol.- Nel 1935 L.v. Meduna propose di curare la schizofrenia provocando convulsioni mediante iniezioni di farmaci a base di canfora. Dopo prove con olio canforato, si fermò sopra un preparato sintetico e solubile: il cardiazol (pentametilentetrazol). Se ne iniettano 6 cc. endovena. Sopravviene una forte convulsione dopo parecchi secondi. Durante questo periodo di attesa il paziente ha una penosissima sensazione di morte; diventa pallido e si irrigidisce. Poi perde la coscienza ed entra in spasmo tonico generalizzato. Seguono convellimenti clonici, cessati i quali si ha sonno profondo per varî minuti. Rimane amnesia della convulsione, ma non del tremendo periodo che sussegue immediatamente alla iniezione; di qui fiera opposizione del malato per il proseguimento della cura.
Altre terapie convulsive a base farmacologica sono quella con cloruro d'ammonio (A. Bertolani), acetilcolina (A.M. Fiamberti), adrenalina (V. Cacciappuoti), picrotossina (Blackwinn e coll.) e con altre sostanze, cure che non hanuo avuto notevoli applicazioni pratiche.
2) Elettroshock. - U. Cerletti studiava dal 1933 problemi del'epilessia, provocando nei cani convulsioni con correnti elettriche, stabilì che la condizione per rendere inuocue correnti anche di 70 ÷ 150 V, necessarie per provocare la convulsioue, era di abbreviare molto il tempo di passaggio della corrente (da 1 a 5 decimi di secondo). Dopo l'introduzione in terapia del metodo convulsivante del Meduna, il Cerletti, nonostante le molte riserve fatte da medici ed elettrologi circa i gravi pericoli che poteva comportare nell'uomo il passaggio per il capo di quelle forti correnti, rassicuratosi con nuovi esperimenti, decideva di tentare anche sull'uomo la provocazione dell'accesso epilettico mediante passaggio attraverso il capo di una corrente (altern.) di 100 ÷ 125 V per una frazione di secondo. Coadiuvato in dettagli tecnici da L. Bini, nel marzo 1938, otteneva per la prima volta nell'uomo la convulsione senza alcun danno, e la chiamò Elettroshock.
Egli intraprese subito lo studio scientifico del meccanismo terapeutico del nuovo metodo, analizzando la convulsione epilettica e distinguendo in essa due gruppi di fenomeni: uno, fondamentale, comprendente una complessa scarica del sistema nervoso vegetativo diencefalico (annullamento della coscienza; apnea; turbe cardiovascolari; midriasi e rigidità pupillare; scialorrea; orripilazione e profonde modificazioni del biochimismo); l'altro, non essenziale, costituito dalle contrazioni muscolari tonico-cloniche. Mediante esperimenti e osservazioni sull'uomo e sugli animali, poteva attribuire all'accesso epilettico il significato di una preformata violenta reazione di spavento-difesa di fronte a determinati stimoli violenti.
Secondo Cerletti ciò che più interessa dal punto di vista terapeutico è la mobilitazione delle reazioni di difesa umorali, ormoniche, biochimiche, e infatti in emulsioni di cervelli di animali ripetutamente sottoposti ad elettroshock egli ha potuto dimostrare, con varie prove biologiche, la presenza di sostanze (che chiamò acroagonine) che, iniettate, conferiscono agli organismi notevoli resistenze a varî fattori morbosi e migliorano - come l'elettroshock - i sintomi morbosi in varie malattie mentali.
Mentre Cerletti svolgeva queste ricerche, egli mobilitava la sua clinica per gli studî sui particolari pratici e sulle applicazioni cliniche del metodo. Così Bini allestì (1938) un apparecchio di facile e sicura manovra, che contribuiva alla diffusione del metodo e precisò varie modalità di reazione nei malati. Furono studiate nella clinica romana le modificazioni del polso, respiro, pressione arteriosa, riflessi, sangue, occhio, vestibolare, memoria, ecc. nell'elettroshock.
Attraverso due larghi elettrodi applicati alle tempie, si lancia una corrente alternata a 90-150 V per 1-5 decimi di secondo. Con dosi basse (90 V per 1 decimo di secondo) si ottiene di solito un' "assenza" senza convulsioni. Con dosi maggiori, la tipica convulsione epilettica. Nella bocca si introduce un tassello di gomma per impedire il morso della lingua. Dopo l'applicazione rimane per breve tempo un certo grado di amnesia. Salvo casi speciali, si praticano tre applicazioni per settimana. In totale 15-30 applicazioni. Controindicazioni sono: processi polmonari aperti, fatti miocarditici; età molto avanzata; ipertensione arteriosa; deformità scheletriche. Lussazioni e fratture sono assai più rare che col cardiazol. Non è consigliabile il curaro, per evitarle. Casi di morte sono assai più rari che nelle altre terapie da shock. Lo studio preciso di questi mostra che non si è tenuto conto specialmente delle condizioni cardiorenali.
Oggi la cura con l'elettroshock si pratica in tutto il mondo con eccellenti risultati nelle distimie ipertimiche (melancolia-mania), con buoni risultati nella schizofrenia (casi recenti), nella amenza confusionale, in varie psiconevrosi, in taluni disturbi mentali della paralisi progressiva, in certi casi di morbo di Parkinson, di asma bronchiale, di psoriasi, nella disassuefazione da stupefacenti.
Si apprezza molto nell'elettroshock l'assenza di ogni spiacevole sensazione da parte dell'ammalato; la semplicità e la brevità dell'applicazione; la spesa minima. Eventuali sensazioni sgradevoli al risveglio possono evitarsi praticando l'elettroshock durante la breve narcosi con barbiturici endovenosi.
Recentemente si sono fatti parecchi tentativi di applicazione della elettronarcosi (realizzata per la prima volta molti anni or sono da S. Leduc) applicando inizialmente un basso amperaggio (40 mA) e aumentando moderatamente la corrente per un tempo variabile fino ad ottenere il sonno elettrico. L'applicazione è alquanto molesta all'ammalato e i risultati terapeutici finora noti non sono certamente superiori a quelli dell'elettroshock.