Imamura, Shōhei
Sceneggiatore e regista cinematografico, teatrale e televisivo giapponese, nato a Tokyo il 15 settembre 1926. Insieme a Ōshima Nagisa, Masumura Yasuzō, Yoshida Yoshishige, Shinoda Masahiro e Teshigahara Hiroshi, fece parte di quel gruppo di giovani talenti che negli anni Sessanta si liberò sia dalla soggezione verso i grandi maestri Kinugasa Teinosuke, Kurosawa Akira, Mizoguchi Kenji, Ozu Yasujirō e Uchida Tomu, sia dall'alternativa rappresentata da registi legati al Partito comunista giapponese ‒ come Imai Tadashi, Kamei Fumio e Yamamoto Satsuo, che s'ispiravano al Neorealismo italiano e al realismo socialista ‒ per proporre invece altri modelli, quali il crime movie nordamericano e il cinema d'autore delle nouvelles vagues. Nei film da lui girati nel corso di quarantaquattro anni, pur nella varietà dei temi affrontati e nella discontinuità dei risultati conseguiti, è possibile ravvisare una particolare, costante predilezione per il caos naturale, contrapposto alla volontà intellettualistica di razionalizzazione del mondo e dei suoi fenomeni. Il cinema di I. si è caratterizzato perciò per l'estrema libertà e imprevedibilità, assumendo frequentemente, nel corso degli anni Sessanta, toni apertamente provocatori. Ha vinto due volte la Palma d'oro al Festival di Cannes: nel 1983 per Narayama bushikō (La ballata di Narayama) e nel 1997 per Unagi (L'anguilla).
Figlio di un medico, I. visse una gioventù inquieta, abbastanza tipica nel Giappone dell'immediato dopoguerra, che lo portò a frequentare gli ambienti del mercato nero, della microcriminalità e della prostituzione. Bocciato all'esame di ammissione alla facoltà di Agraria dell'Università di Hokkaidō, studiò storia e si laureò all'Università Waseda di Tokyo. Partecipava nel contempo all'attività del teatro universitario, rappresentando e interpretando testi propri; alcuni suoi compagni di studio, coinvolti in tali esperimenti teatrali, lo avrebbero poi seguito come attori anche nell'attività cinematografica, che per I. iniziò nel 1951, quando venne assunto come aiuto regista dalla Shōchiku, una delle sei majors nipponiche, dove fu assistente di Ozu nella regia di alcuni film, tra i quali il celebre Tōkyō monogatari (1953; Viaggio a Tokyo). Nel 1954 lasciò la Shōchiku per la Nikkatsu, dove collaborò a varie sceneggiature tra le quali va ricordata quella di Bakumatsu taiyō den (1957, Cronaca del sole del periodo Bakumatsu, cioè della fine del governo militare, avvenuta nel 1868), film d'ambientazione storica diretto da Kawashima Yūzō, ignoto in Occidente, che la critica giapponese considera un capolavoro. Pur non abbandonando il mestiere di sceneggiatore, che avrebbe continuato a praticare anche negli anni Sessanta, I. nel 1958 fu autorizzato dalla Nikkatsu a dirigere il suo primo film, Nusumareta yokujō (Desiderio rubato), tratto da un romanzo di Kon Tōkō, sceneggiato da Suzuki Toshio e da Yamauchi Nisashi.Il primo autentico successo arrivò nel 1961 con il quinto titolo, Buta to gunkan (Porci, geishe e marinai). Realizzato mentre si moltiplicavano le manifestazioni contro il rinnovo del trattato di sicurezza e di aiuto reciproco fra Stati Uniti e Giappone, il film è ambientato nella base americana di Yokosuka, dipinta come un centro di prostituzione e di traffici illeciti. La vicenda verte sulle attività di una banda di yakuza (la mafia giapponese), cui le forze di occupazione concedono di utilizzare i resti delle loro forniture alimentari come cibo per un allevamento di maiali. La polemica antiamericana era già in atto da circa un decennio nel cinema giapponese, confinata nell'ambito della produzione indipendente; in Buta to gunkan è però difficile stabilire chi sia il vero responsabile della degradazione, se gli occupanti o gli stessi giapponesi. Ma al regista non interessa il giudizio politico o moralistico: facendo tesoro delle proprie esperienze giovanili nel mondo della malavita, egli si limita a osservare le cose dall'interno con l'atteggiamento dell'entomologo. E preferisce concentrarsi sulla coppia formata dai giovani protagonisti, Kinta e Haruko; dei due, è la ragazza a rivelare il carattere più deciso: rifiuta l'ufficiale americano propostole dalla famiglia, ma non esita a offrirsi ai primi marinai in cui s'imbatte per racimolare il denaro necessario per andar via dalla base. Obiettivo che alla fine raggiungerà, mentre Kinta rimarrà ucciso in uno scontro fra bande rivali. Attraverso questo forte personaggio femminile, I. riconosce alla donna giapponese contemporanea il ruolo di 'humus della vita', come rilevò lo storico Yomota Inuhiko. Sarà questa una costante del suo cinema, a cominciare dal film successivo, Nippon konchūki (1963, Cronaca entomologica del Giappone), descrizione della vita quotidiana di una donna e della sua costante e dura lotta per la sopravvivenza, che inizia dalla nascita nel 1918 e che non s'intende conclusa neppure negli anni Sessanta, quando la vicenda si chiude, mentre brevi sequenze tratte dai cinegiornali raccontano parallelamente eventi della storia del Giappone.
Nello stesso anno I. tornò all'attività teatrale scrivendo e mettendo in scena per il teatro Haishō di Tokyo il dramma Paraji, kamigami to butabuta (Consanguineità, o dei o porci), destinato a diventare un film dal titolo Kamigami no fukaki yokubō (1968, Il profondo desiderio degli dei), che conserva una certa teatralità nell'uso della scenografia e dei dialoghi, ma presenta un'ambientazione del tutto diversa: mentre l'azione, nel lavoro teatrale, si svolge all'interno di una piccola industria di Tokyo, nel film si sviluppa su un'isola (immaginaria solo nel nome poiché I. lo girò nel Sud-Ovest dell'arcipelago) dove la modernità non sembra ancora arrivata e vigono arcaiche relazioni sociali e familiari. All'epoca I. si era già reso indipendente dalle majors che dominavano il mercato cinematografico giapponese, fondan-do nel 1965 la Imamura Productions e lasciando alla Nikkatsu la distribuzione. Ma la crisi del cinema era alle porte e avrebbe investito sia le majors sia la piccola produzione indipendente. Nel 1970 I. riuscì a girare ancora un film per il grande schermo, Nippon sengoshi ‒ Madamu Onboro no seikatsu (Una storia del dopoguerra giapponese ‒ La vita di Madame Onboro), strutturato come una sorta d'intervista a una cameriera di bar che racconta la propria vita. In seguito il regista avrebbe lavorato per quasi un decennio esclusivamente per la televisione.I. è tornato al cinema nel 1979 con Fukushū suru wa ware ni ari (La vendetta è mia), cui due anni dopo è seguito Eejanaika (Perché no?) e nel 1983 Narayama bushikō, remake di un film del 1958 dallo stesso titolo, diretto da Kinoshita Keisuke. Entrambe le opere raccontano un'antica usanza legata alle dure leggi della sopravvivenza, secondo la quale in un povero villaggio del Nord i vecchi non più abili al lavoro vengono portati in cima al monte di Narayama e lì abbandonati in pasto agli orsi: Kinoshita l'aveva raccontata nello stile del teatro kabuki, mentre I. preferisce lo stile naturalistico. Con Unagi ‒ dove un'anguilla è l'unica compagnia di un manager tornato in libertà dopo otto anni di carcere per aver ucciso la moglie ‒ si è aperta l'ultima stagione di I., quella della leggerezza, che ha caratterizzato anche i due film successivi. Il primo, Kanzō Sensei (1998; Dr Akagi), è la storia di un medico che si prodiga in un'isola di fronte a Hiroshima durante gli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale: il bagliore della prima esplosione nucleare conclude la vicenda. Il secondo, Akai hashi no shita no nurui mizu (2001; Acqua tiepida sotto un ponte rosso), coniuga il sereno surrealismo degli ultimi film di Luis Buñuel con una visione del mondo vicina a un realismo fantastico per raccontare il caso di una donna con il vizio della cleptomania, ma con il dono di far sbocciare i fiori fuori stagione e di fare accorrere i pesci verso l'acqua che ella secerne allorché prova un piacere carnale (mentre l'uomo, bagnandovisi, ritrova la propria vitalità). Ancora una volta, I. individua nella donna l'humus della vita, non eleggendola a protagonista di una storia criminale, come in Buta to gunkan, bensì immergendola in un clima di gioioso erotismo.
Nel 2002 ha collaborato con un suo episodio al film collettivo 11'09''01 ‒ September 11 (11 settembre 2001).
Shohei Imamura, in Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, Cinema giapponese degli anni '60, Pesaro 1972.
H. Niogret, À propos de Shohei Imamura ‒ Du sexe et des dieux, in "Positif", avril 1982.
M. Ciment, Entretien avec Shohei Imamura, in "Positif", mai 1985.
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A. Piccardi, Il Giappone al microscopio nel film di un 'contadino', in "Cineforum", marzo 2000.