Sì lungiamente m'ha tenuto Amore
lungiamente m'ha tenuto Amore Stanza di canzone della Vita Nuova (XXVII 3-5), su schema 8 + 6 abba abba CDdCEE, senza concatenatio (caso unico nella lirica di D.: cfr. Rime XLIX e LVII), ma con combinatio finale, presente nella tradizione ‛ organica ' del libro e delle sue rime e nella Giuntina del 1527. Metricamente arieggia il sonetto (anche se è vero che D. non ha mai usato tale combinazione di rime nelle terzine), tanto che lo Scherillo e altri studiosi hanno pensato che fosse inizialmente concepita in questa forma.
Il componimento, ultimo delle rime della lode, è presentato come una canzone rimasta interrotta per la morte di Beatrice (XXVIII 1), intesa a mostrare come operava in D. la vertude di lei e come gli sembrava di essere disposto a la sua operazione, cosa impossibile a essere narrata in brevitade di sonetto (XXVII 2). Si ha qui come una palinodia dei sonetti dell'amore doloroso (cfr. XII-XVI), definita già programmaticamente dalla prima quartina (che sì com'elli [Amore] m'era forte in pria, / così mi sta soave ora nel core): il fuggire degli spiriti, il pallore, l'anima frale sono presentati non come effetto di passione non corrisposta e struggente, ma di una soverchiante, intima dolcezza d'amore, indissolubilmente congiunta all'‛ umiltà ' come gioia serena e offerta totale e disinteressata di sé all'amata. Se con Tanto gentile e Vede perfettamente si era compiuto il ciclo dell'esaltazione ‛ oggettiva ' di Beatrice, col riconoscimento della sua funzione beatificante per tutti, ora D. ritrova e definisce sé stesso in questo coro, come una voce sola ma armonicamente consonante con esso, nella luce di un'intelligenza nova (Vn XLI 10 3) che fonde l'elevazione contemplativa con uno slancio di affetto purificato. Di qui nasce un tono d'intimità affettuosa e riflessiva, un modularsi pacato del discorso, inteso, si direbbe, a un'auscultazione intima, a evidenziare in termini poco vistosi ma intensi e in una prospettiva analitica il distillare lento dell'interiore beatitudine.
Alla tensione delle più alte rime della lode, succede, come ha osservato il Sapegno, " una rappresentazione più semplice e diretta, meno artistica e più analitica dell'animo dell'autore ", che fa presentire il ragionar d'amore di Cino e, più avanti, del Petrarca. Questa ispirazione resta peraltro poco più che accennata, quasi soltanto un frammento; che l'appena intravista beatitudine venga immediatamente dissolta dalla morte ha certo un significato profondo nella prospettiva e nelle ragioni ultime del libro.
Bibl. - Oltre ai commenti alla Vita Nuova, cfr. Barbi-Maggini, Rime 113-115; D. De Robertis, Il libro della " Vita nuova ", Firenze 1961 (1970²) 148-149; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 129-132.