Siamo tutti malati mentali
La quinta versione del Diagnostic and statistical manual of mental disorders rimane, come le precedenti, solo un’elencazione di criteri diagnostici e rischia di alimentare una psichiatria grossolana e una generica psichiatrizzazione di sofferenze e devianze umane, senza contesti, vissuti, esperienze interne, storie di vita.
Il DSM 5, quinta versione del Diagnostic and statistical manual of mental disorders dell’APA (American psychiatric association), nel maggio 2013 è stato presentato dai suoi principali autori (D.A. Regier, E.A.Kuhl e D.J. Kupfer) come un passo decisivo verso qualcosa di cui la psichiatria è alla ricerca da un paio di secoli: una ‘unica, coesiva nosografia’, non più solo descrittiva ma solidamente basata sui ‘progressi delle neuroscienze’, oltre che sulle evidenze cliniche e i bisogni di sanità pubblica. ‘Nuova fondazione’, dunque, ma anche capovolgimento delle scelte sviluppate dall’APA nei tre decenni precedenti, a partire dal DSM 3 (1980).
A dispetto delle dichiarazioni di principio, il DSM 5 rimane, come i precedenti, un’elencazione di criteri diagnostici ‘sintomatologici’ e convenzionali, priva sia dell’idealizzato fondamento neurobiologico sia del sostegno di una riflessione psicopatologica sui diversi funzionamenti mentali che possono essere alla base degli stessi ‘sintomi’. Questa elencazione priva di una collocazione dei ‘sintomi’ in contesti, vissuti, esperienze interne, storie di vita, rischia ancora una volta di alimentare non solo una psichiatria grossolana, ma anche artefatti diagnostici, ‘falsi positivi’ e una generica psichiatrizzazione delle sofferenze e devianze umane. Allen Frances ricorda con accenti autocritici come alcune innovazioni da lui introdotte col DSM 4 nel numero delle categorie diagnostiche, nei criteri di inclusione, nell’uso della nozione di ‘spettro’, avessero prodotto artificiose ‘epidemie’ di ‘disturbi psichiatrici’ (per esempio le esplosioni di ‘epidemie’ di autismo e di ADHD). Ricorda i potenti interessi in gioco nell’allargamento di criteri e categorie diagnostiche, premessa per far passare molte difficoltà della vita, fin dall’infanzia, per malattie mentali da trattare con farmaci.
A ogni nuova edizione del DSM è corrisposta una impennata di categorie diagnostiche: 102 nel DSM 1; 182 nel DSM 2; 265 nel DSM 3; 380 nel DSM 4 nella versione R del 2000. Ma è soprattutto dalla ‘svolta’ del DSM 3 e dal progetto di ‘ri-medicalizzare’ la psichiatria che proliferano assieme le categorie diagnostiche, la prevalenza di disturbi psichiatrici nella popolazione americana, le prescrizioni farmacologiche, l’interesse delle industrie del farmaco, i finanziamenti massicci alla psichiatria, i rapporti sistematici tra case farmaceutiche e psichiatri KOL (Key opinion leader).
Nel 2003, un’indagine del National Institute of Mental Health (NIMH), considerando solo 4 diagnosi (disturbi d’ansia, dell’umore, del controllo degli impulsi e da uso di sostanze), certifica che il 46% della popolazione americana adulta ha, secondo i criteri DSM, almeno un disturbo rientrante in una di queste categorie. Cosa sta succedendo? Siamo nel pieno di una epidemia di malattie psichiatriche? Dal 1987, anno di introduzione della Fluoxetina (il Prozac), il consumo di antidepressivi è aumentato di 10 volte. Incremento ancora più drammatico quello dei nuovi antipsicotici, che hanno sorpassato i farmaci anticolesterolo nella classifica dei farmaci più venduti negli USA, spesso prescritti (anche se off label) a bambini anche piccolissimi. I disturbi dell’umore nell’infanzia e nell’adolescenza sono aumentati in pochi anni di 40 volte, generando una impennata di prescrizioni di antipsicotici per i bambini, anche di appena 3 anni. La prevalenza del disturbo bipolare è quadruplicata dal 1993 al 2003; l’autismo è passato, nello stesso decennio, da 1 caso su 500 a 1 su 90. Si stima che 500.000 bambini negli USA siano trattati con antipsicotici. Il 10% dei bambini americani di 10 anni assume quotidianamente uno stimolante anfetaminico per l’ADHD.
Nel frattempo, sono stati rivelati i sistematici rapporti finanziari con le case farmaceutiche del 95% dei 170 psichiatri che avevano steso il DSM 4 versione R.
Le prime anticipazioni del DSM 5 suscitano una raffica di critiche. Frances scrive che esso si preannuncia ‘una miniera d’oro per l’industria farmaceutica’. Una miniera d’oro per l’APA, del resto, si era rivelato il DSM stesso: promosso da minimo comune denominatore di definizioni a ‘Bibbia della psichiatria’, era diventato nel frattempo un best-seller da milioni di copie.
L’APA cerca di correre parzialmente ai ripari. Stabilisce regole più stringenti per i rapporti tra industrie farmaceutiche e membri della task force del nuovo DSM; molte ‘novità’ vengono ritirate. Ma la polemica non si placa. A una settimana dalla presentazione il NIMH ha ritirato il sostegno a questo DSM. Ma forse non tutto il rumore vien per nuocere. Non sappiamo se i pericoli paventati si realizzeranno o se le novità introdotte funzioneranno. Ma il sollevamento che ha accompagnato il DSM 5 è stato la testimonianza di una insoddisfazione serpeggiante per le caratteristiche della psichiatria ‘dominante’ degli ultimi decenni; se non altro ha rivitalizzato una riflessione non solo sulle difficoltà, i limiti e le caratteristiche della nosografia psichiatrica, ma, più in generale, sui bisogni di una psichiatria migliore dell’attuale.
10%
È la percentuale di bambini americani di 10 anni che assume quotidianamente uno stimolante anfetaminico per l’ADHD (Sindrome da deficit di attenzione e iperattività), un disturbo introdotto nel DSM 4. Sono inoltre circa 500.000 i bambini che negli USA vengono trattati con antipsicotici.
Novità e dubbi del DSM 5
Le vere novità del DSM 5 sono davvero poche. Qualche new entry: oltre il ‘nuovo mostro’ (potenziale) del disruptive mood disregulation disorder dell’infanzia, cose tutto sommato minori, come un hoarding disorder, un binge eating disorder, un premenstrual dysphoric disorder, un restless legs syndrome e un REM sleep behavior disorder. Qualche sparizione: la più clamorosa forse il ‘disturbo di Asperger’, inglobato nell’onnicomprensivo ‘spettro autistico’. Alcuni cambiamenti terminologici (major neurocognitive disorder al posto di demenza, ‘disabilità intellettuale’ al posto di ritardo mentale). Qualche specificazione in più (compromesso tra impianto categoriale delle diagnosi e ‘dimensionalità’): tra di esse, insidiosa, l’introduzione di un mild neurocognitive disorder, possibile premessa per estensioni di trattamenti al normale decadimento cognitivo dell’anziano (anziani, disabili e bambini: territori molto ambiti di espansione dei trattamenti farmacologici). Una ridefinizione del capitolo dei disturbi da uso di sostanze in (più estesi e controversi) substanced-related and addictive disorders, che comprende anche il gambling per ‘analoga patofisiologia’.
Malattie mentali nei DSM
DSM 5 (2013) 450
DSM 4 (1994/vers. R 2000) 380
DSM 3 (1980/vers. R 1987) 265
DSM 2 (1968) 182
DSM 1 (1952) 102
Una voce critica
Molto scalpore hanno suscitato 3 saggi pubblicati su The New York Review of Books da parte di un personaggio non sospettabile di atteggiamenti ‘antiscientifici’, Marcia Angell, docente alla Harvard Medical School, già editor-in chief del New England Journal of Medicine. I titoli sono eloquenti: Drug companies and doctors: A story of corruption (2009); The epidemic of mental illness: Why? (2011); The illusions of Psychiatry (2011).