Vedi SIBARI dell'anno: 1966 - 1997
SIBARI (Σύβαρις, Sybaris)
Colonia greca sulla costa ionica d'Italia fra i fiumi Crati e l'omonimo S., celebre per la sua straordinaria ricchezza e raffinatezza e per il suo ciclo di vita altrettanto splendido che breve.
La prosperità, i rapporti con paesi lontani e la fine precoce e violenta (511-510 a. C.) hanno reso leggendaria S. già nel mondo antico: le dimensioni della città, l'estensione del territorio, il numero degli abitanti e delle popolazioni sottomesse sono stati esaltati a tal segno ch'è difficile riportarne le proporzioni in termini realistici, mentre l'aggettivo derivato dal suo nome vale tuttora a qualificare la grassa opulenza ed il lusso più smodato.
Sicura è la fondazione nell'ultimo venticinquennio dell'VIII sec. a. C. ed è trascurabile il divario massimo di quattordici anni sulla data nei testi; accontentandosi dell'approssimazione, non si ha motivo per preferire la vaga notizia dello Pseudo Scimno (357 ss.), che deriva forse da Eforo e fa risalire la data verso il 720, alla cronologia di Eusebio, che oscilla solo di un anno (709-8 e 708-7) nelle due versioni (ed. Helm, pp. 91 e 183) o, tanto meno, per immaginare un'origine più remota, com'è stato proposto. Né si può dubitare che fondatori siano stati gli Achei: lo affermava Antioco, lo ripetono Strabone (vi, 263), Pseudo Scimno (339 s.) e Tito Livio (xxv, 15). L'etnico eliceo dell'ecista Is nel passo, purtroppo corrotto, di Strabone e la coincidenza dei nomi dei due fiumi con quelli di corsi d'acqua dell'Acaia propria, sembrano confermare la provenienza dei coloni da questa regione del Peloponneso. Ma il nome S., ch'è attribuito anche alla primitiva Lupiae in lapigia ed alla capitale della Colchide ai tempi di Medea, è, secondo ogni probabilità "preellenico".
Gente d'altro seme concorse a popolare S. fin dall'inizio: i Trezeni espulsi più tardi dagli Achei, ch'erano divenuti preponderanti e che pagarono il fio del sopruso, secondo Aristotele (Pol., v, 2, 10), ed anche i Locresi e forse i Rodî, secondo fonti meno autorevoli ed interpretazioni discusse dagli storici. Al rapido sviluppo della pòlis ed all'accrescimento numerico e qualitativo dei suoi abitanti contribui fra l'altro la liberalità dei Sibariti nell'accogliere gli stranieri e concedere loro i pieni diritti di cittadinanza: Diodoro lo attesta esplicitamente e singoli episodî riferiti dalla tradizione ne danno conferma (cfr. Herod., v, 445).
Restano invece oscuri i rapporti dei coloni con gli indigeni: qualche notizia sullo stato di asservimento delle popolazioni sottomesse insieme con tante altre sull'ozio, non solo praticato, ma proclamato dai cittadini intolleranti di qualsiasi sforzo o disagio, ha fatto immaginare l'esoso sfruttamento della moltitudine arretrata ad opera della dispotica minoranza dominatrice. A parte le esagerazioni, è tuttavia probabile che i coloni, raggiunta rapidamente l'agiatezza grazie alla fertilità dei campi nella piana irrigua e la disponibilità tutt'intorno di quanto occorreva per risolvere i problemi della vita subito dopo lo sbarco, non usarono molti riguardi verso le genti incolte, con cui s'incontrarono o si scontrarono e che andarono via via conquistando.
Volendo prestare fede a Strabone, S. poco prima del crollo comprendeva nel suo impero non meno di venticinque città e quattro diversi popoli. La sua posizione, privilegiata sotto molti rapporti, nell'immensa pianura in riva al mare facilitò l'espansione territoriale fin dai primi tempi: i corsi dei fiumi suggerivano le vie da risalire per raggiungere oltre la grandiosa cerchia dei monti gli altipiani e le vallate ricche di risorse, e di là, superato lo spartiacque appenninico, ridiscendere sulle coste del Tirreno. Probabilmente l'unica valida opposizione al precoce estendersi del suo dominio sulle regioni interne fu il controllo esercitato dalla ionica Siri (v.), che la precedette così nelle conquiste fin dal principio del VII sec. come nell'abbandonarsi al godimento delle ricchezze e quindi nel soccombere alla violenza delle città rivali. Anche sulla costa, la Siritide doveva limitarne verso settentrione il territorio, che a S confinava con quello crotoniate; il comune interesse indusse S., Crotone e Metaponto ad allearsi per distruggere Siri, già decadente, ma ancora autorevolissima, intorno al 570-60: e S. dovette farsi la parte del leone nella divisione dell'eredità maltolta, poiché nel cinquantennio successivo raggiunse l'apice della potenza e cadde a sua volta sotto l'impeto di Crotone.
Quali siano stati i limiti del territorio posseduto o controllato da S., quali nuove città abbia fondato e quali vie abbia percorso tànto nell'estendere il suo dominio quanto nel diffondere i suoi prodotti e le mercanzie, che importava dal Mediterraneo orientale, sono argomenti sempre discussi sulla scorta dei testi e non chiariti dalle recenti indagini archeologiche. Certo S. sboccò e s'impiantò solidamente sulle coste tirreniche: fondò Lao (v.) presso la foce del fiume, che ne porta ancora il nome (Strab., vi, 253 e Ps. Scyl., 12; lezioni dei codici emendate), ed Erodoto (vi, 21) assicura che proprio a Lao ed a Scidro (forse nella baia di Sapri) si rifugiarono molti dei sopravvissuti alla catastrofe finale. La maggior parte dei superstiti si trasferì a Posidonia (v. paestum), ch'è stata considerata una filiazione di S., ma che piuttosto andò stringendo con questa rapporti sempre più intimi dopo la scomparsa di Siri fino ad unirsi in sinecismo con i rappresentanti della metropoli sullo Ionio quando questa fu distrutta. Circa l'influsso su altri paesi meridionali, come Temesa o Pandosia, non identificati finora, e circa le vie di comunicazione verso gli sbocchi sulla costa e verso il N si possono solo formulare labili ipotesi: gli scavi degli ultimi anni nel Vallo di Diano hanno anzi screditato la convinzione più diffusa che vi passassero le grandi correnti di traffico, dimostrando la quasi assoluta mancanza di oggetti greci nei corredi funerarî fino allo scorcio del VI sec. a. C.
Al contrario in stretta relazione con S. e certo da lei dipendente per le importazioni dal Peloponneso e dalla Ionia asiatica fu Lagaria, se questa è da riconoscersi nella città sul Timpone a Macchiabate (nel comune di Francavilla Marittima), dominante la piana sibaritica dagli estremi contrafforti del Pollino e non ancora esplorata: i trovamenti casuali intanto ne provano il largo sviluppo e la lunga vita e suggeriscono l'ipotesi di un centro indigeno ellenizzato già nella prima metà del VII sec., forse dalla vicina S., comunque a lei sopravvissuto oppure risorto più tardi a nuova vita. Ancora più vicino ed in più stretta dipendenza da S. era la collinetta di San Mauro al S nella piana, da cui provengono resti di rivestimenti architettonici fittili d'un tempietto arcaico e vasetti corinzi della stipe, oltre a frammenti di ceramica più tarda e di sculture in marmo ora nel museo di Cosenza.
La favolosa ricchezza di S., alimentata dalla fertilità del suolo e dalla varietà dei prodotti agricoli nelle diverse zone del territorio, ebbe almeno altrettanto incremento dal fiorentissimo commercio: la sua funzione di mediatrice degli scambi fra la Ionia d'Asia ed il Tirreno, le affinità di gusti e gli interessi finanziarî, che accomunavano i Sibariti con i Milesi da un canto e dall'altro con gli Etruschi in un'intimità senza confronti fra altri popoli, sono esplicitamente attestati da Erodoto (vi, 21) e da Timeo (apd. Athen., xii, 519 b), mentre si hanno varie notizie della presenza di Sibariti in città della Grecia propria e del Mediterraneo orientale, non solo per partecipare alle gare olimpiche, come il fanciullo Filita già sullo scorcio del VII sec., o dedicare monumenti votivi nei grandi santuari, ma anche per interessi privati, come quell'Anfinomo che, navigando con i figli nelle acque di Rodi, scampò al naufragio e ne rese grazie agli dèi. A questa menzione epigrafica, finora unica, di S., nella Cronaca Lindia si è aggiunto un documento d'importanza molto maggiore, scoperto ad Olimpia di recente: è la copia incisa in bronzo d'un trattato di amicizia fra i Sibariti con i loro alleati ed i Serdei, solennemente concluso con le divine malleverie di rito ed inoltre la più concreta garanzia di Posidonia.
Infine dei molti traffici e delle capacità d'acquisto di S. sono prova così le speciali sue leggi a favore delle importazioni (Athen., xii, 521 d) come le numerose emissioni monetali. Gli stateri e le loro frazioni col tipo del toro retrospiciente furono largamente diffusi ed accreditati, e le città minori, che riprodussero con qualche variante l'emblema, intesero sfruttarne a proprio vantaggio il prestigio, specialmente quando si trovarono d'improvviso autonome dopo la scomparsa della grande Sibari. Ma le monete con questo celebre nome non finirono per sempre nel 510: coniazioni più modeste si ebbero prima in unione con altre città (Posidonia, Crotone, alle cui zecche debbono per necessità attribuirsi) e poi di nuovo indipendenti; gli specialisti (L. Breglia, C. M. Kraay), che le hanno prese ultimamente in esame, le dividono in tre o quattro fasi successive, cercando di stabilirne il rapporto con le vicende storiche del nome.
Sbaragliato, infatti, l'esercito sul Traente, assediata e poi devastata la città con feroce accanimento dai Crotoniati, che al dire di Strabone deviarono sulle fumanti rovine il corso del Crati per cancellare ogni traccia dell'odiata rivale, non si spense la vitalità dei superstiti. Nel 453-2, secondo Diodoro (xi, 90 e xii, 10), rafforzati da un gruppo di Tessali essi tentarono di ricostruire la loro primitiva sede, ma ne furono ricacciati dagli stessi Crotoniati cinque anni dopo. Chiesero quindi aiuti ad Atene e Sparta e li ottennero, ma i nuovi immigrati non riuscirono ad intendersi con i vecchi coloni e li espulsero l'anno seguente (445-4): questi andarono allora sulle rive del Traente a ricostruire per la terza o, se si vuole, la quarta volta S., mentre i partecipanti alla spedizione panellenica voluta da Pericle fondavano Turi, là dov'era fiorita la prima S. o poco lontano.
Identificare precisamente il sito ove fu S. è l'ovvia premessa alla conoscenza della città resa favolosa dalla tradizione. Le si attribuiva un perimetro di cinquanta stadî, cioè di oltre nove chilometri, con cento o addiritttira trecentomila abitanti (Ps.-Scymn., 340; Strab., loc. cit.), e nelle processioni sarebbero sfilati non meno di cinquemila eleganti cavalieri (Tim., apd. Athen., xii, 519 c). Queste cifre, inaudite per l'età arcaica, sono state ridotte diversamente dalla critica moderna; è tuttavia da tener presente che il terreno pianeggiante incoraggiava gli ambiziosi Sibariti ad ampliare l'abitato con tutti quegli impianti civici e opere pubbliche e monumenti, che stupirono i contemporanei; né i due fiumi segnavano limiti insuperabili al N e al S: anzi, navigabili forse entrambi, almeno uno doveva servire di porto, poiché la natura della costa, che Ateneo (xii, 519 e) definisce vicina e importuosa, non ne permetteva l'apertura sul mare, mentre le tante notizie sui commerci marittimi di S., su navigazioni, imbarchi e sbarchi in diretto rapporto con la città, escludono ogni dubbio sull'esistenza di uno scalo agevole, attrezzato per il traffico e protetto dalle furie del Mediterraneo.
Rispetto alle indicazioni delle fonti letterarie, le ricerche sono state in genere dirette relativamente all'interno e al S, forse per un eccesso di critica filologica o per la diffidenza che incuteva il centro della bassura, trasformato in acquitrino malarico vieppiù desolato e sconcertante verso il litorale. Non lontano da questo si era creduto di riconoscere, dopo le prime indagini del Cavallari (Not. Sc., 1879), "una gigantesca necropoli orfica." riferibile a S. ed a Thurii; ma i "timponi", presunti cumuli artificiali e rituali, si sono rivelati per dune costiere quando sono stati sezionati nel 1932. Decisamente a S del Crati ed eventualmente più a monte, volle collocare S. il Kahrstedt, identificando non già nel Coscile, ma nel torrentello San Mauro l'antico fiume S., e questa ipotesi egli ha ribadito a più riprese, nonostante l'evidenza dei controlli archeologici sul terreno, negativi per la sua tesi quanto rivelatori in altro senso. Infatti l'esplorazione di tutta la zona, condotta con molti saggi di scavo dallo Zanotti Bianco nel 1932, oltre a sfatare la diffusa leggenda dei timponi orfici (Macchioro, Ciaceri) e ad identificare un sepolcreto del IV-III sec. a. C. sull'altipiano dove si collocava Thurii, nonché l'inizio d'un acquedotto greco discendente verso la piana, dimostrò la mancanza di indizî nei punti previsti e rivelò, al contrario, l'importanza di un'area detta Parco del Cavallo presso la sponda sinistra del Crati a circa 3 km e mezzo dalla sua foce attuale. Qui, fra le imponenti rovine di un edificio romano, apparvero frammenti di età più antica sufficienti a dimostrare la continuità di vita per molti secoli nel luogo: al materiale in gran prevalenza romano, si aggiungevano resti di ceramiche, terrecotte ed oggetti varî del II, III e IV sec. a. C. riferibili a Thurii, ed inoltre avanzi di modanature e rilievi figurati del VI sec. scolpiti in calcare e qualche frammento vascolare coevo, mentre la stessa muratura dell'emiciclo più tardo comprendeva blocchi arcaici riusati.
Le trivellazioni del terreno fatte circa vent'anni dopo dall'americano D. F. Brown hanno pienamente confermato che il Parco del Cavallo sta pressappoco al centro dell'area dove si trovavano così S. come Thurii: anzi, penetrando in profondità nel terreno, hanno dato una prima nozione della stratigrafia e dei limiti della zona archeologica. Infine i lavori ripresi dalla Soprintendenza alle Antichità della Calabria sullo scorcio del 1960 e continuati nel 1961 e 1962, dapprima allargando e poi approfondendo lo scavo del 1932, e le estese ricerche iniziate mediante moderni strumenti elettronici e convalidate da una mezza dozzina di pozzi di assaggio a cura di un gruppo italo-americano della fondazione Lerici del Politecnico di Milano e dell'Università di Filadelfia, hanno migliorato le conoscenze al punto da far annunziare la scoperta del sito di S. quasi senza riserve, mentre quella di Thurii pare ormai sicura per la maggiore abbondanza di reperti.
Il prof. F. Rainey, dirigente il gruppo italo-americano, assicura che la zona archeologica copre un'area di 9 km2 e si interna, a partire da circa 2 km fino ad almeno 5 dall'attuale foce del Crati, estendendosi per almeno 700 m a N-E dell'area esplorata al Parco del Cavallo e 1750 a S di essa, fin oltre il Crati. I frammenti vascolari protocorinzi, corinzi e ionici riferibili a S. si trovano entro uno strato di sabbia sotto il terreno argilloso, da 6 a 8 m di profondità, cioè a partire da 3 m sotto il livello del mare. Ed i risultati ottenuti con un sondaggio in profondità sotto il piano dell'edificio romano al Parco del Cavallo, concordano pienamente sia per la stratigrafia che per la qualità del materiale alle diverse quote. Si può quindi trarre la conseguenza che, grazie ai pezzi del VII e del VI sec. a. C., il sito della prima città è ormai noto, anche se non è ancora possibile definirne esattamente il centro nè il perimetro: fra il Sibari-Coscile, che sfociava liberamente al N, ed il Crati, il cui letto era più a S dell'attuale e forse anche di quello oggi detto "Crati vecchio", nella depressione menzionata da Ateneo e che poi, accentuandosi, ha avvicinato i due fiumi fino a farli confluire.
I frammenti di ceramica trovati negli ultimi mesi sono ancora inediti, ma almeno un assaggio dell'arte propria di S. abbiamo nei resti di sculture dal Parco del Cavallo, purtroppo ridotti a frantumi: sono 10 pezzi di un calcare biancastro molto duro da una cava ancora in uso presso Francavilla, pertinenti a rilievi figurati, secondo ogni probabilità metope del fregio dorico d'un piccolo tempio databile verso il 530 a. C. ed al quale dovevano appartenere anche i frammenti di sei o sette diverse modanature lavorate nella stessa pietra.
Più significativa la testa maschile di profilo, scolpita anche sottosquadro, dai tipici tratti secchi ed angolosi con cui contrastano le forme molli della mano di una figura femminile conservata solo dalle ginocchia ai fianchi. Sul chitone reso con una superficie unita, essa porta lo himàtion cadente in simmetriche pieghe verticali e stava diritta su di un carro, a quanto pare, con un'altra figura, che l'affiancava verso il fondo. Un altro pezzo serba parte dei busti di un'altra coppia volta egualmente a sinistra, mentre il fondo d'un vestito con la punta di un piede umano opposto ad una zampa ferma, permette di apprezzare almeno la finezza del rendimento. È notevole il particolare tecnico che i rilievi, probabilmente alti in totale fra 70 e 8o cm, erano lavorati in due o tre pezzi separati e sovrapposti con giunti levigatissimi.
Gli avanzi delle modanature, insufficienti a fare intendere la loro struttura e, nel maggior numero dei casi, la funzione architettonica, tuttavia danno un'idea degli ornati e ne mostrano la profusione con quel gusto enfatico dei coloni occidentali, che proprio a S. toccò l'eccesso. È sintomatica in tal senso la ricca cornice, forse gèison della facciata, con duplici tondini a circoscrivere le foglie erette del kymàtion dorico, l'astragalo dalle perle di tipo egizio straordinariamente allungate, le rosette con doppio ordine di petali, che richiamano il più antico fregio fittile di Larissa d'Eolia, e al disotto parti pendule, cui è difficile dare persino un nome. Ed è notevole che nelle altre cornici i caratteristici motivi si ripetano, variando solo nei rapporti proporzionali ed in qualche particolare, con una certa monotonia, ma con perfetta coerenza stilistica. D'importanza del tutto sproporzionata alle sue minuscole dimensioni (cm 10 × 7,5) è una scheggia della taenia di coronamento dell'architrave dorico col resto d'una goccia sotto la regula, poiché la sua sagoma trova confronti nel grande Artemision di Corfù, nel tempio C di Selinunte ed in un thesauròs di Olimpia, generalmente attribuito ad una città dell'Occidente. Il piccolo frammento aiuta così ad inquadrare l'architettura del tempio di S. fra quelli tanto maggiori e meglio noti, e d'altro canto induce a considerare la possibilità che l'architrave e le altre parti dell'elevato dell'edificio di Olimpia appartengano precisamente al thesauròs dedicato dai Sibariti (Paus., v, 19, 7) nel più famoso santuario del Peloponneso.
Bibl.: Per tutti gli scritti precedenti, per le fonti e la storia, v. princ.: J. Bérard, Bibl. top. des princ. citées gr. de l'Italie mér., Parigi 1941, p. 94 ss. e La Colonisation grecque, 2a ed., 1957, p. 140 ss.; T. J. Dunbabin, The Western Greeks, Oxford 1948, pp. 25; 74 ss.; 204 , ecc. (spec. per le comunicazioni in rapporto col materiale archeologico, cfr. ora M. Napoli, in Greci e Italici in M. Grecia, Taranto 1962, p. 195 ss.); J. S. Callaway, Sybaris, Baltimora 1950; F. Sartori, Il problema storico di S., in Atene e Roma, N. S., V, 1960, pp. 143-163. Per il materiale da Macchiabate e la proposta identificazione di Lagaria: T. De Sanctis, in Calabria Nobilissima, XIII, 1959, p. 116-129; id., Sibaritide a ritroso nel tempo, Cosenza 1960, ed inoltre le 4 annate di Sviluppi Meridionali, 1959-62 anche per la cronaca dei trovamenti in tutta la zona. Per notizie di varie scoperte e specialmente per i pezzi da S. Mauro di Corigliano; A. de Franciscis, in Rend. Acc. di Napoli, N. S., XXVI, 1961, p. 63 ss., tav. IX ss. Iscrizione di Olimpia: E. Kunze, in VII. Bericht über die Ausgr. in Olympia, 1961, p. 267 ss., tav. 86, 2; P. Zancani Montuoro, in Rend. Acc. Naz. Lincei, S. VIII, XVII, 1962, p. i ss.; tav. I. Monete: B. V. Head, Historia numorum, Oxford 1911, p. 84 s.; K. Fabricius, Sybaris, Its history a. Coinage, in actes du Congrès Numism. 1953, Parigi 1957, p. 65 ss.; L. Breglia, Le monete delle quattro S., in Ann. Ist. It. Num., II, 1955, p. 9 ss.; C. M. Kraay, The Coinage of Sybari after 510 b C., in Num. Chron., 1958, p. 13 ss. Per il problema topografico; id., Studi top. sull'ant. S., in Atti R. Acc. Napoli, XII, 1931-32, p. i ss. (cfr. U. Zanotti Bianco, in Arch. Stor. Cal. e Luc., II, 1932, p. 283 ss.); La ricerca di S., in Sviluppi Merid., I, 1959, p. 13 ss.; id., Die wirtsch. Lage Grossgr., 1960, p. 88 ss.; id., S., Thuri e il periplo di Scillace, in Klearchos, II, 1961, p. 61 ss.; A. d'Arrigo, Premessa geofisica alla ricerca di S., Napoli 1959 (cfr. Arch. Stor. Cal. e Luc., XXVIII, 1959, p. 125 ss. e Klearchos, II, 1960, p. 57 ss.). Gli scavi del 1932 al Parco del Cavallo sono editi in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, N. S., III, 1960, p. i ss., tavv. I-V (U. Zanotti Bianco) e IV, 1961, p. i ss., tavv. I-XX (P. Zancani Montuoro). Dei sondaggi di D. F. Brown breve notizia in Am. Journ. Arch., LVIII, 1954, p. 144. "Prospezioni" della fond. Lerici, in La Ricerca Scientifica, agosto 1960, ecc.; sulle scoperte nella primavera del 1962 si ha finora, oltre alle informazioni della stampa, soltanto l'art. del Rainey nei due nn. dell'Illustrated London News (8 e 15 dic. 1962), pp. 928-931; 927-974; F. Panvini Rosati, Le monete con la leggenda MEP, in Rend. Acc. Lincei, XVII, 1962, p. 278 ss.