SIBERIA (A. T., 84-87, 103-104)
Nome non più corrispondente ad una unità politico-amministrativa, ma per tradizione applicato ancora, specie nell'uso degli occidentali, a tutto quel complesso di territorî che si stendono dagli Urali al Pacifico e dal Mare Glaciale Artico alle montagne centroasiatiche e come tale non sempre con limiti costanti, né ben precisabili. Il nome deriva da quello di Sibir′, località prossima a Tobol′sk e capitale, sul finire del sec. XVI, di un khanato tataro contro il quale ebbero primamente a contrastare i Russi nella loro espansione oltre gli Urali. Col rapido progredire della conquista, che dopo poco più di cinquant'anni aveva già raggiunto le rive del Grande Oceano, l'accezione del nome dilatò sull'intero paese, ancora non sottomesso né riconosciuto, fra cui la Russia andava affermando la propria supremazia, e tale si mantenne, in sostanza, fino al nuovo ordinamento conseguente alla rivoluzione bolscevica. In forza di questo, Siberia venne detta solo una parte, e non la più ampia, dell'immenso territorio, che andò per giunta diviso in unità variamente dipendenti dalla R. S. F. S. R., sebbene in questa tutte comprese.
Che il nome abbia potuto estendersi ad una sì vasta area - dal 42° 20′ (frontiera coreana) al 77° 36′ N. (C. Čeljuskin) e dal 52° E. (Ural) al 170° (C. Dežnev sullo Stretto di Bering) - non meraviglia, quando si pensi alle vicende della conquista russa da un lato, a dall'altro alla relativa uniformità, che su tutta, o quasi, questa superficie presenta più d'uno dei suoi elementi geografici, e in primo luogo il clima. Sebbene la Siberia, in senso lato, si spinga assai verso S. e a Vladivostok raggiunga una latitudine pari circa a quella di Livorno, si tratta in complesso di un territorio nettamente nordico, chiuso per la maggior parte entro la zona subartica e per il rimanente in quella temperata. I suoi confini, segnati dall'oceano a N. e ad E., si fanno meno chiari a O. e a S. e soprattutto a SO. e a SE., anche per il fatto che le transizioni sono qui segnate da plaghe più o meno estese, nelle quali i caratteri opposti si attenuano, sfumando insensibilmente l'uno nell'altro. Verso SE. il confine, corrispondente per lungo tratto a corsi di fiumi (Argun, Amur, Ussuri), è convenzionale, ma segna almeno un limite politico ben netto. Non così tra Caspio e Altai, dove dalle steppe arborate della Siberia occidentale si trapassa per gradi alle erbacee, poi a quelle aride, alle steppe argillose, a quelle salate e infine alle zone subdesertiche e ai veri e proprî deserti sabbiosi del Turkestan. Volendo qui fissare un confine, che spezzi necessariamente l'unità amministrativa ed economica del Kazakistan, conviene fermarsi a una linea convenzionale, che dal medio corso dell'Ural attraverso i Mugodžar guadagni la steppa kirghisa poco a S. del Čalkar, e di qui, entro la confusa chiostra dei rilievi a S. di Semipalatinsk, finisca al Tarbagataj o al Zaisan-Nor.
Gli elementi statistici che si hanno sulle diverse unità politico-amministrative comprese entro i confini, anch'essi dunque mal precisabili, della regione naturale variano assai a seconda delle fonti, derivati come sono da misurazioni planimetriche eseguite per lo più su carte a grande scala. Rinunciando ad un'esattezza solo apparente e contentandosi di una ragionevole approssimazione, si può calcolare che la superficie dell'intera Siberia si aggiri intorno ai 13,5 milioni di kmq.; superficie quindi superiore di un terzo a quella dell'intera Europa e oltre quaranta volte maggiore di quella del regno d'Italia.
La ripartizione di tale superficie secondo le sue unità politico-amministrative è indicata nella tabella qui sopra, che raccoglie anche i dati relativi alla popolazione di ognuna di quelle.
Va notato che questi territorî non costituiscono tutta la Siberia nei confini naturali di cui s'è detto. Assumendo, come limite meridionale di questa, la linea approssimativa già indicata che ne segna il trapasso alle zone subdesertiche e desertiche del Turkestan, e pur senza tener conto del fatto che il confine amministrativo non coincide, ad occidente, con la cresta degli Urali, al totale che risulta dalla tabella precedente è da aggiungere una parte del Kazakistan settentrionale, che si può calcolare all'incirca 1-1,2 milioni di kmq., con 1,5-1,6 milioni di ab., sì che la popolazione della Siberia salirebbe a 15½ milioni di abitanti in cifra tonda. Comprendendo invece nella Siberia - come spesso si fa - l'intero Kazakistan, si avrebbe una superficie totale di oltre 15,2 milioni di kmq., con 20,7 milioni di abitanti: in tal modo la Siberia rappresenterebbe circa il 77% dell'area, ma appena il 12,4% della popolazione della R. S. F. S. R.
Storia della esplorazione. - La conquista russa della Siberia, che si inizia con la presa di Sibir′ nel 1581 per opera dei cosacchi di Ermak, si può dire in sostanza compiuta innanzi la fine del sec. XVII. Dežnev raggiunge l'estremità NE. del continente asiatico, che da lui prende nome, già nel 1648, l'anno stesso in cui viene fondata Ochotsk, e tutto il Camciatca è russo nel 1697.
La conquista fu così rapida, che del paese non si ebbero, per molto tempo, se non idee vaghe e piene di errori; ma l'esplorazione, ben più faticosa, s'inizia con poco ritardo, sotto l'impero di Pietro il Grande. Le maggiori difficoltà si incontrarono nelle regioni dell'estremo N., e soprattutto ad O. della Lena; solo nel 1742 il Čeljuskin riuscì a toccare il punto più settentrionale del continente. Insieme con le spedizioni marittime di V. Bering (1733-43), che risolsero molti dei problemi relativi a quella parte del Pacifico che da lui prende nome, vanno ricordati i viaggi compiuti nell'interno della Siberia da S. Krašeninnikov e S. Krasilnikov, S. G. Gmelin, De la Croyère e G. I. Müller, dei quali gli ultimi tre visitarono la regione tra il Bajkal e la Lena, contribuendo assai al suo esatto rilevamento topografico. Sotto Caterina II il tedesco P. S. Pallas percorse gran parte del territorio fra la Russia meridionale e l'alto Amur (1768-1774), raccogliendo osservazioni preziose sulla geologia e la morfologia di quell'ampio settore. L'ultimo decennio del sec. XVIII vide accrescersi considerevolmente il numero delle spedizioni scientifiche (Georgi, J. P. Falk, Lepéchin e Sievers nella Siberia occidentale e meridionale; Saritsev e Billings nel NE., Lapérouse nell'Oriente estremo, Salaurov e Bachov sulla costa settentrionale), ma ancor più se ne contano a partire dall'inizio del secolo successivo. A. Erman traversò fra il 1828 e 1829 tutta la Siberia dagli Urali al Camciatca, e nel 1829 A. von Humboldt con Gustavo Rose percorse buon tratto della Siberia occidentale e meridionale. Osservazioni geografiche d'ogni genere si debbono infine ad A. T. von Middendorf, che tra il 1842 e il 1845 si portò nella regione del Tajmyr, in Jakutia, e di qui, attraverso gli Stanovoi, nel bacino dell'Amur.
Il 1845, anno della fondazione della prima Società geografica russa (a Pietroburgo), segna l'inizio di una nuova epoca nell'esplorazione della Siberia, cui si dedicano numerosi specialisti, che la percorrono in ogni senso, con i larghi mezzi messi a loro disposizione dalle autorità governative e dai privati. Meritano menzione fra i tanti: l'astronomo L. A. Schwarz (Bajkal: 1849-52), il naturalista L. von Schrenck (Amur, Sachalin: 1854-56), Maksimovič (1853-56) e M. A. Pesurov (1855); K. von Ditmar (Camciatca: 1851-55), il principe Kropotkin (1864), Starickij (Estremo Oriente: 1866-71), Lopatin (Vitim: 1865), Čekanovskij (Basso Lena, Tunguska superiore: 1873-76) ecc. L'esplorazione continuò con ritmo accelerato sino allo scoppio della guerra mondiale; questa e la crisi della rivoluzione la interruppero, ma col regime sovietico ha ripreso con nuovo vigore e ormai quasi soltanto con la partecipazione di studiosi russi.
Nonostante i molti e varî contributi, il periodo dell'esplorazione estensiva, diretta a precisare la figura delle varie regioni e a tradurla in una esatta riproduzione cartografica, non può dirsi ancora chiuso. Le lacune riguardano soprattutto la impervia zona della targa settentrionale, e i settori montani dell'estremo Oriente. Negli ultimi anni, tuttavia, con l'aiuto dell'esplorazione aerea (esplorazioni di Obručev, Protopopov, ecc., nella regione dei M. Čerskij), molto si è fatto anche in questo campo. D'altronde, gli studî speciali sulla geo-morfologia, la climatologia, l'idrografia, l'etnografia e l'antropogeografia della Siberia permettono, per buona parte del paese, una conoscenza sufficientemente larga e sicura.
Rilievo e morfologia. - La distinzione, che riappare in sostanza anche nelle principali unità politico-amministrative, fra una parte occidentale, una mediana, una orientale (Jakutia) e una costiera (Estremo Oriente), disposte all'ingrosso parallelamente l'una all'altra da N. a S., trova la sua giustificazione nelle premesse geologiche e nella stessa evoluzione morfologica delle maggiori regioni naturali riconoscibili nella Siberia. Il corso dello Enisei (Jenissei) separa due zone orograficamente ben distinte, delle quali quella occidentale, che si stende per circa 1500 km. da E. a O. fino agli Urali, rappresenta, per la sua genesi, la diretta continuazione della piattaforma russa settentrionale, risultando, come questa, di un ampio imbasamento levigato, sul quale si distese una potente pila di deposizioni recenti, rimaste anch'esse indisturbate. Verso S. e SE. la regione si salda a una serie di rilievi che dall'alta valle dell'Irtyš si continuano senza interruzione fino al Bajkal. Il più occidentale di questi, il Tagatai, appartiene al sistema del Tienshan; gli altri, l'Altai, cioè, e i Saiani rientrano nel plesso dei terreni interessati dall'orogenesi ercinica. Rilievi, questi, di costituzione litologica e di forme alquanto diverse, non di rado in rapporto con intense fasi glaciali (Altai), ma che, pur culminando a 4500 m. nel Belucha, presentano solo eccezionalmente forme d'alta montagna, e di regola invece dossi e cupole arrotondate e declivî piuttosto dolci. I Saiani degradano rapidamente verso E., dove non formano più una vera barriera verso la Mongolia, come prova il fatto che la stessa penetra facilmente, attraverso l'alto Enisei, nelle valli superiori dei fiumi che mandano a questo le loro acque.
Sulla destra dello Enisei la pianura continua, ma sollevandosi con un brusco gradino in un tavolato di 200-400 metri d'altezza, interrotto qua e là da allineamenti collinari e montuosi che ne alterano la generale orizzontalità. Attorno all'antico nucleo cristallino-gneissico (la cosiddetta formazione di Angara) penepianato durante la sua lunghissima (dal Precambrico in poi), persistente quiescenza, e coperto per larghe estensioni da depositi cambro-silurici, si dispongono verso E. e verso S. terreni più recenti (secondarî, soprattutto triassici), interessati da movimenti orogenetici, che furono accompagnati da espansioni eruttive, ma in complesso anch'essi assai degradati dalla prolungata erosione subaerea cui furono soggetti. Corrugamenti e disturbi di più fresca data si ebbero sul margine meridionale, dove sulla diretta continuazione dei Saiani (nella cui sezione orientale hanno larga parte, oltre le rocce prepaleozoiche, le effusioni vulcaniche recenti) s'apre il cosiddetto anfiteatro d'Irkutsk e la profonda frattura invasa dalle acque del Bajkal. Tutta questa regione ha un rilievo più mosso (si raggiungono i 3490 m. nel Munku Sardik) e accentuato, pur se, a mano mano che si procede verso E., le altezze vadano a poco a poco decrescendo: alla crisi orogenica cui debbono la loro formazione seguirono infatti, a più riprese, movimenti epirogenetici, coi quali stanno in rapporto fratture, carreggiamenti, estrusioni vulcaniche e un generale ringiovanimento dei cicli erosivi. La lunga cresta degli Jablonoi, diretta, come tutte queste montagne della Siberia orientale, da SO. a NE., e che fa in sostanza da spartiacque fra il bacino della Lena e quello dell'Amur, e quindi fra il Mare Glaciale e il Pacifico, separa due masse rilevate a mo' di larghi tavolati, i cui margini esterni, precipitando sulle zone depresse che li delimitano, prendono forma e figura di catene montuose. Come il Grande Khingan mostra la sua fronte sulla pianura manciuriana, così l'alto corso della Lena è dominato fino alla confluenza con l'Olekma dal pendio dei rilievi che delimitano, a SE., l'altopiano centro-siberiano, qui ricoperto da deposizioni mesozoiche corrugate. Tutto il corso di questo fiume ricalca d'altronde il margine di una zona di contatto fra unità tettoniche distinte: a valle del gran gomito dell'Aldan la curva che esso descrive è parallela all'arco dei M. di Verchojansk, che s'alzano oltre i 2500 m. e si saldano ad E. a tutta una serie di rilievi solo in questi ultimi anni riconosciuti nei loro caratteri generali. Tanto i M. di Verchojansk, quanto gli altri gruppi compresi nella zona ad oriente della Lena (i M. Čerskij, gli Anjuj, gli Anadyr′ e i Korjaki, alternati e divisi gli uni dagli altri per mezzo di depressioni ed altipiani) risultano di rocce paleozoiche e mesozoiche sollevate e corrugate durante l'orogenesi terziaria, e soggette a più fasi di trasgressioni marine e di glaciazioni in periodo postpliocenico. La loro storia geologica è probabilmente più complessa che tuttora non si creda; nondimeno le loro forme sono soprattutto in rapporto con le fasi più recenti di questa evoluzione, cui si deve, in fondo, il loro carattere aspro e accidentato, e l'aspetto alpino che assumono nelle parti più elevate (Čerskij, 3114 m.), dove si sviluppano anche ghiacciai.
L'arco dei Korjaki lega questa regione all'ampia (quanto l'Italia continentale) penisola del Camciatca, attraversata in tutta la sua lunghezza da due allineamenti montuosi, il cui zoccolo risulta di rocce mesozoiche e cenozoiche corrugate. Sullo zoccolo si sono edificati oltre una sessantina di grandi e piccoli apparati vulcanici (sopki), dei quali oltre una ventina attivi: più imponente di tutti, il Ključev supera, coi suoi 4804 m., le altre emergenze della Siberia.
L'alto bacino dell'Aldan con i suoi numerosi affluenti è separato dal vicino Mare di Ochotsk per mezzo di una fascia di rilievi, compresi di solito sotto i nomi di Džugdžur e di Stanovoi, e costituiti di terreni arcaici e paleozoici (graniti, gneiss, scisti metamorfici e quarziti), dalle forme molli e ondulate. Oltre la foce dell'Ud, il baluardo costiero s'interrompe, per riprendere però di fronte a Sachalin e continuare senza interruzione fino alla frontiera coreana: la cosiddetta catena di Sichota-Alin′, stipantesi in più fasce press'a poco parallele, nelle quali predominano, accanto agli elementi più antichi (graniti, scisti argillosi, arenarie, calcari compatti), le effusioni basaltiche. Le altezze non raggiungono in alcun luogo i 2000 m., e il paesaggio alterna forme di tarda senilità a caratteri di giovinezza, evidentemente in rapporto con uno o più epicicli. Il Sichota-Alin′ volge il pendio più ripido verso oriente; sul fianco opposto declina a terrazze verso il fondo valle, percorso, in direzione opposta, dall'Ussuri e dal basso Amur. Le terrazze si continuano, sollevandosi, oltre la barriera del Piccolo Chingan, che separa la bassa dalla media valle dell'Amur, divisa a sua volta dall'alta valle per mezzo della gola epigenetica con cui il fiume incide la dura barriera del Khingan.
Come si vede, solo nei settori occidentale e centrale della Siberia si hanno zone montuose limitate al loro margine meridionale; nella Siberia orientale e nell'Estremo Oriente, invece, i territorî pianeggianti assumono un'ampiezza e un'importanza assai minore di fronte alle plaghe montane o collinari. Tuttavia è da tener presente che le differenze di livello sono spesso poco avvertite, sia per il prevalere di forme in complesso piuttosto dolci, sia per la generale uniformità, su ampie superficie, del rivestimento boschivo. Si aggiunga che la maggior parte di questi rilievi è compresa in zone poco abitate o del tutto disabitate, ciò che spiega la conoscenza imperfetta che in molti casi ne abbiamo. Comunque, la varietà delle condizioni morfologiche è in Siberia relativamente assai minore che nei nostri paesi, o, forse meglio, le regioni naturali vi assumono ognuna, di regola, ampiezza molto più considerevole, massime per quanto riguarda i territorî settentrionali e quelli a occidente del corso della Lena.
Clima. - Quest'ultimo fatto è evidentemente in rapporto anche con le condizioni climatiche, poco variabili esse pure, in fin dei conti, sopra territorî estesissimi, in quanto a loro volta determinanti del paesaggio vegetale. Condizioni delle quali le più caratteristiche, insieme con la tradizionalmente nota crudezza e lunghezza dei rigori invernali, sono l'estrema continentalità e la grande scarsezza di precipitazioni.
Quando si prescinda infatti dall'estremità meridionale del Camciatca, dove il quantitativo medio annuo di pioggia supera i 1100 mm., e dalla regione del basso Amur, che con una ristretta fascia del litorale sul Mare di Ochotsk, del Primorie e con Sachalin rientra nel dominio dei monsoni dell'Asia orientale, e ha quindi un clima alquanto più umido, la quasi totalità del territorio siberiano registra precipitazioni inferiori al mezzo metro annuo. Anzi, tutta l'estremità settentrionale (oltre il 62° N. all'incirca) della Siberia centrale ed orientale, al pari dell'estremità opposta fra Caspio e Balchaš, non supera i 250 mm.
È evidente il rapporto di questo fatto con l'attenuarsi, via via che si procede verso oriente, dell'influenza degli umidi venti occidentali, e con la disposizione delle masse montuose rispetto alle correnti aeree che procedono da E. e da S.; è facile rendersi conto del perché, mentre le precipitazioni si concentrano in complesso quasi tutte nella stagione estiva, i massimi tendano a spostarsi in autunno lungo le coste orientali, e in primavera al limite di SO. verso le steppe circumcaspiche. L'inverno è dovunque la stagione più asciutta, pur registrando, naturalmente, le più copiose precipitazioni nevose; ma anche queste tendono a decrescere da O. ad E., e soprattutto dalla Siberia occidentale (121 giorni nevosi, in media, ogni anno, a Tomsk) verso la Transbaicalia e la regione dell'Amur, nella quale si registrano i minimi assoluti (9 soli giorni nevosi l'anno a Blagoveščensk). La maggiore quantità di neve di cui dispone la Siberia occidentale in confronto dell'orientale e della Transbaicalia è un elemento di grande interesse perché in rapporto con la persistenza del suolo perpetuamente gelato: dove la copertura nevosa manca, non solo si favorisce la perdita di calore per effetto dell'irradiazione, estendendo quindi il gelo in profondità, ma si rende impossibile, o più difficile, lo smaltimento delle acque superficiali, che tendono a stagnare, o gelano alla loro volta, con conseguenze dannose sia per la vegetazione, sia per le comunicazioni, dato il più lungo persistere della rasputica. L'importanza di questo fatto è facile a intendersi, quando si ricordi che l'area occupata dal suolo perpetuamente gelato si può calcolare estesa qui per circa 7 milioni di kmq.
A questi contrasti qualche altro se ne aggiunge, esaminando il comportamento delle temperature. Meglio che le medie annue, inferiori nella maggior parte dei casi a 0°, servono qui a caratterizzare le diverse regioni quelle dei mari estremi. Una carta delle isoterme di gennaio, che è dovunque il mese più freddo, mostra subito come la diminuzione delle temperature invernali proceda non già, o non tanto, da S. a N., quanto da SO. a NE., fin che si giunge al cosiddetto polo del freddo, che le recenti ricerche di Obručev hanno permesso di localizzare anziché intorno a Verchojansk, nel bacino dello Jana, alquanto più a SE., lungo il corso dell'alto Indigirka, ossia nella conca di Ojmekon, dove la media di gennaio scese nel 1931 a −55°,7 (−50°,1 a Verchojansk). Gran parte della Siberia centrale e orientale segna medie di gennaio inferiori a 35°, mentre nel rimanente del paese non si scende al disotto di −20°, ivi comprendendo tutto il litorale sul Pacifico, dove anzi si hanno freddi anche meno intensi (Vladivostok: −13°,8). Sensibile influenza mitigatrice esercita anche il Bajkal; tuttavia è noto che con l'aumentare dell'umidità, si rendono meno facilmente tollerabili i rigori invernali, accompagnati invece, nelle zone dove attingono il loro massimo, da cielo sereno e assoluta mancanza di vento.
Influenza più diretta sulla vegetazione hanno le temperature estive, che nel complesso del paese oscillano fra 10° e 20°, e decrescono regolarmente da S. a N., salvo che in corrispondenza del litorale sul Pacifico, caratterizzato da estati fresche e umide. Nella Siberia nord-orientale le isoterme di luglio si spingono più a N. che in qualunque altra regione della terra: anzi non sono rari, in questa zona, massimi assoluti di oltre 35° (37°,9 a Jakutsk) e calori così poco sopportabili, da indurre i mietitori al lavoro notturno. Mentre nella Siberia occidentale occorrono in media oltre tre mesi per la maturazione del frumento primaverile, questa si compie in circa settanta giorni nella Siberia orientale.
Molta importanza ha infine, sotto quest'ultimo punto di vista, la maggiore o minore durata delle stagioni estreme: così l'inverno è non tanto più rigido, quanto assai più lungo a mano a mano che si procede da S. verso N., mentre il contrario avviene per l'estate. La primavera è in tutta la Siberia assai breve, ma più breve naturalmente dove la quantità delle precipitazioni nevose è maggiore: perciò viene accorciandosi dalla Transbaicalia e dalla regione amuriana verso la Siberia occidentale, come pure verso il freddo litorale sul Pacifico, dove l'umidità è più intensa e più tardo a scomparire il mantello nevoso. Contro cinque mesi d'inverno lungo il medio Amur, se ne contano sei e mezzo nel Camciatca, quasi otto a Verchojansk e poco meno di nove lungo la tundra dell'estrema Siberia orientale. Osservazioni analoghe si possono fare per l'estate, con questa differenza, tuttavia, che i massimi assoluti tendono a crescere, a parità di latitudine, quanto più si procede verso la Siberia orientale, sì che la minor durata della stagione calda trova, almeno fino ad un certo punto, un compenso nella maggiore intensità del riscaldamento.
I dati climatici più importanti relativi alle temperature e alle precipitazioni medie di oltre una ventina di stazioni sono raccolti nella tabella a p. 634.
Idrografia. - Dei due litorali con cui il territorio siberiano finisce al mare, quello volto al Mare Glaciale Artico, che si sviluppa su circa 13° di long., è, nonostante la sua vivace articolazione, l'abbondanza di gruppi insulari e il tributo di grandi fiumi navigabili, il meno importante economicamente, perché chiuso dai ghiacci per almeno sei mesi l'anno e di non facile transito anche nella buona stagione, data la presenza di nebbie e di ghiacci galleggianti. Se i tentativi di percorrerlo tutto dalle coste del M. Bianco allo Stretto di Bering risalgono alla metà del sec. XVI, appena sessant'anni fa fu possibile al Nordenskjöld di condurre a termine per la prima volta l'impresa, né si può dire ancora risolto praticamente il problema di mantenere regolari comunicazioni con le maggiori correnti fluviali che a quel mare mettono capo. Né in condizioni molto più favorevoli si presenta il litorale sul Pacifico, almeno nella maggior parte della sua estensione, non solo per la presenza di mari freddi, ma anche per la natura delle coste, e la difficoltà di accedere all'immediato retroterra, e ciò ad onta delle grandi risorse (pesca) che questi mari offrono all'attività umana. Solo nell'estremità meridionale dell'immenso dominio russo, dall'Amur alla frontiera coreana, queste svantaggiose circostanze si alternano: pur tuttavia anche a Vladivostok, ch'è press'a poco alla stessa latitudine di Livorno, il porto è ostruito dai ghiacci da dicembre ad aprile, per poco meno di quattro mesi.
Quanto alla distribuzione della rete fluviale, è evidente a tutta prima la sua stretta dipendenza dalle condizioni del rilievo e del clima. I grandi fiumi siberiani seguono la generale inclinazione del terreno, sgorgando tutti dalle masse montuose che chiudono a mezzodì la regione: di essi solo l'Amur volge al Pacifico, appunto in corrispondenza alla netta inflessione verso N. che questo cercine montuoso disegna a oriente della regione del Bajkal-Ob; Enisej e Lena hanno corso solo approssimativamente parallelo: i due ultimi infatti disegnano i loro fondi valle dalle opposte parti dello zoccolo paleozoico d'Angara, che funge da nodo idrografico, mandando a N. le sue acque al Chatanga e ad E. al Viljnj, affluente della Lena. Un altro nodo è costituito dall'estremo lembo peninsulare di NE., dove l'Anadyr diverge verso il Pacifico.
Caratteri comuni di questi fiumi maggiori, che differiscono relativamente per la lunghezza di corso (Ob-Irtyš: 5700 km.; Enisej-Selenga: 4750; Amur: 4500; Lena: 4036) e per l'ampiezza del bacino (Ob-Irtyš: 2,9 milioni di kmq.; Enisej-Selenga: 2,6; Lena: 2,4; Amur: 2,1), sono la debole pendenza, la regolarità del regime, la copia delle acque, la fitta rete degli affluenti, e la facile navigabilità: quest'ultima, tuttavia, è limitata grandemente dal periodo di congelamento che, pur avendo durata diversa da fiume a fiume e da tronco a tronco dello stesso fiume, li rende praticamente inutilizzabili per non meno di cinque mesi l'anno. La loro importanza antropogeografica, è nondimeno tanto maggiore, in quanto scorrono tutti in territorî di difficile transito, e quasi affatto privi di strade; è inoltre proverbiale la loro ricchezza di pesce, che per alcuni gruppi di popolazione costituisce la principale fonte di guadagno. Tale importanza è naturalmente destinata ad aumentare con le provvidenze che si pongono in opera per disciplinare il traffico fluviale: ma anche liminata ad una occorrenza temporanea, la navigabilità dei grandi fiumi siberiani è stata di incalcolabile aiuto alla colonizzazione russa. La transiberiana convoglia e distribuisce, ai punti d'incrocio con le vie d'acqua, il commercio di larghe zone a monte e a valle di ciascun fiume: è facile redersi conto dell'influenza di questi anche solo esaminando l'ubicazione dei centri più notevoli.
Nessuno dei fiumi siberiani maggiori trae beneficio dal decantamento lacustre, salvo l'Angara, che è uno degli affluenti dell'Enisej. L'Angara è l'emissario del Lago Bajkal, il più vasto (35 mila kmq., circa novantacinque volte il Garda) e senza paragone il più importante fra i siberiani. Si tratta, com'è noto, di un lago tettonico, il più profondo (le recenti misure hanno scandagliato 1741 m.) della terra, e in pari tempo della più accentuata criptodepressione (1265 m.) finora conosciuta. Data la sua posizione, all'incrocio di numerose vie acquee e nella zona di contatto della taiga con la steppa coltivabile, il Bajkal rappresenta una delle arterie vitali della colonizzazione russa. Molto minore è l'importanza del Lago Chanka, ampio tuttavia non meno di 3600 kmq. (oltre dieci volte il Garda), ma poco profondo, che distende il suo specchio a 67 m. s. m., poco lungi da Vladivostok, e tributario dell'Ussuri.
Anche senza tener conto dei molti piccoli laghi di montagna annidati sulle pendici degli Altai, dei Saiani e nelle alte regioni di NE., la Siberia è ricchissima di bacini lacustri e palustri, specialmente dove, come s'è accennato, il gelo ostacola il deflusso delle acque. Sia fra tutte ricordata, a mo' d'esempio, l'ampia distesa che fra Ob e Enisej copre d'estate una superficie press'a poco uguale a quella del Lago Ciad.
Flora e vegetazione. - La flora siberiana è fondamentalmente caratterizzata dalle piante della regione fioristica del Nord, eccettuati alcuni distretti come il corso superiore dell'Ob e a E. presso la Manciuria dove si fa sentire l'influenza della flora dell'Asia orientale.
Le formazioni più caratteristiche sono rappresentate dalle foreste di Conifere con le piante settentrionali che ad esse si accompagnano: le foreste sono formate da larici (Larix sibirica e dahurica), Pinus cembra, Picea obovata e nella zona occidentale Picea ajanensis, Abies sibirica, Pinus silvestris accompagnato dalle stesse specie di Vaccinium che vivono in Europa e da molte piante vivaci delle regioni circumpolari comuni alla Siberia, all'Europa settentrionale e alle montagne dell'Europa centrale: sono forme di origine relativamente recente e quelle della regione del Bajkal differiscono dalle simili europee per la loro taglia minore, per i frutti meno grossi e più aciduli.
In Siberia si possono distinguere sei zone:
Zona settentrionale delle Tundre. - È caratterizzata da un rivestimento di muschi del genere Polytrichum sul suolo sabbioso e ciottoloso dove crescono anche alcuni Eriophorum (E. angustifolium, Scheuchzeri e vaginatum), Luzula hyperborea, Dryas, Cassiope tetragona: nei luoghi umidi vi sono paludi con muschi o tundre a sfagni. Le praterie che rivestono i fianchi delle colline sono di un bel colore verde brillante e qui si trovano Sieversia glacialis, Oxytropis, Pedicularis, Polemonium humile e numerose specie di Saxifraga; vi sono poi tundre a licheni con specie di Cladonia, Umbilicaria, Cetraria, ecc. e le dune sabbiose sono rivestite dalla graminacea Elymus mollis.
Al Capo Čeljuskin il Kjellmann ha osservato 23 specie di fanerogame che crescono sopra un suolo magro, screpolato, promiscuamente a graminacee, a muschi e a licheni; dalla Novaja Zemlja alla terra dei Ciukci è frequentissima in forma di piccoli cespugli serrati emisferici la Borraginacea Eritrichium villosum; ma questo aspetto vegetativo è comune alle altre fanerogame della regione fra le quali vi sono parecchie sassifraghe.
Regione forestale del Nord. - È coperta da foreste di larici misti a betulle, pini, Picea 0b0vata; verso il Sud gli abeti diventano più numerosi e abbondanti. In mezzo alle foreste sono sparse qua e là grandi distese di tundre con piante circumpolari come Ledum palustre, Linnaea borealis; nelle zone paludose a muschi delle foreste di larici; Betula nana, Lynia calyculata, Rhododendron parviflorum, Pedicularis sceptrum.
Nelle parti più meridionali della zona vi sono Lamiacee (Dracocephalum Ruyschianum e nutans, Phlomis tuberosa), Salsolacee come Axyris, Teloxis, Schoberia che non sono piante circumpolari, oltre a numerose specie vivaci di grandi dimensioni e a fiori appariscenti (Delphinium, Aconitum, Geranium erianthum e pseudosibiricum) e Ombrellifere come Conioselinum univittatum e Pleurospermum uralense.
Regione forestale dell'Altai e delle alte montagne del Sud. - Al nord del limite delle steppe la catena dei monti Jablonoi costituisce un limite ben definito tra E. e O. della Siberia; il massimo di ricchezza della flora siberiana si trova nel vasto emiciclo di montagne che dividono la Siberia dalla Mongolia. Ma in queste montagne la vegetazione forestale si mescola a quella delle steppe mongole e delle steppe del Turkestan. Il versante meridionale delle catene di questi monti è quasi interamente coperto dalla flora delle steppe che penetra nelle vallate fin nella zona forestale; la foresta comincia là dove finisce la steppa, invece sul versante settentrionale dell'Altai orientale si stende senza interruzione dalle pendici montuose alle pianure.
La zona forestale inferiore segue immediatamente alle steppe e va da 300 a 800 m. s. m.: essa è popolata di pini, betulle, pioppi, più in alto l'albero più frequente è il larice, poi la Picea, l'abete siberiano e il cembro: quest'ultimo si mostra sempre al disopra di 850 m. e segna il limite superiore delle formazioni forestali che si spingono a 1300 m. sul versante N. e a 1700 m. su quello S. Fra le specie più caratteristiche: alcuni Aconitum (A. anthora, barbatum, napellus, pallidum, septentrionale, volubile), Atragene alpina, Paeonia intermedia, Epilobium angustifolium, Geranium sibiricum, Bupleurum aureum, Pleurospermum uralense, Heracleum barbatum, Pedicularis proboscidea, Silene Fuchsii, Veratrum album.
Formazioni di piante vivaci alternano con gli ultimi boschi di cembri; in alto si trovano prati di montagna con Ranunculacee (Trollius asiaticus, Aquilegia glandulosa, Anemone narcissiflora), Viola altaica, genziane e più in alto tappeti di Dryas con Papaver nudicaule, Claytonia angustifolia, Saxifraga sibirica. Presso il limite delle nevi perpetue (da 2100 a 2300 m. sul mare) si trovano Sibbaldia procumbens e Ranunculus frigidus.
Regione delle steppe con betulle dell'ovest della Siberia. - Questa regione presenta grande analogia con quanto si osserva nel SE. della Russia fino alle steppe aralo-caspiche, però non vi è la secchezza terribile di quei territorî. In realtà si tratta di pianure paludose come ad es. la steppa di Baraba che comprende la maggior parte dello spazio compreso fra l'Ob a E. l'Irtyš a O. e l'Om′ a N., pianura fertilissima coperta da graminacee e da grandi erbe vivaci e intramezzata da paludi e disseminata di boschetti. Il territorio presenta una grande varietà ma gli elementi costanti e caratteristici sono i ciuffi di betulle, le piante della prateria ove gli Heracleum sviluppano le loro gigantesche ombrelle. Il terreno della steppa consta sia di terra nera (černozem), sia di sabbia argillosa o di terre salate. Fra le forme più notevoli si possono ricordare: Stipa pennata, parecchie specie di Peucedanum, Origanum vulgare, Pulsatilla patens, Lilium martagon con molte altre erbe vivaci del dominio forestale dell'Altai; nelle stazioni umide crescono i giganteschi esemplari di Heracleum barbatum, Hemerocallis fulva, alcuni pioppi (Populus nigra, alba, suaveolens) associati lungo i corsi d'acqua ai salici; betulle e pioppi tremoli costituiscono associazioni sparse qua e là.
Regione delle foreste del Bajkal. - Segue ad E. alla regione dell'Altai e si estende fino ai monti Jablonoi; si trovano formazioni simili a quelle dell'Altai, ma nella zona compresa fra il Mar di Bering e quello di Ochotsk si riscontrano tipi artici. Gli alberi che si spingono a maggior altezza sono Abies sibirica e Pinus cembra; la Caragana jubata è caratteristica della regione alpina dei monti Kentei e Jablonoi. Sul versante meridionale la Betula alba si spinge a 1600 m. s. m. e il Pinus silvestris a 990 m.; i larici sono rappresentati dal Larix dahurica che probabilmente comprende parecchie forme ben distinte.
Regione delle foreste e degli alberi nani del Camciatca. - È la regione forestale più settentrionale del mondo antico; il fondo della vegetazione e della flora è quello del settentrione dell'Europa e della Siberia, ma qui comincia a farsi sentire l'influenza del NO. dell'America Settentrionale.
La Betula Ermani, il cui portamento ricorda le querce europee, è più frequente in queste contrade della betulla bianca: poi vi sono alni, salici e pioppi; le Conifere sono rappresentate da Larix dahurica e Picea ajanensis, quelle del territorio NO. americano da Picea sitchensis e da una Tsuga. In mezzo alle grandi erbe vivaci si notano: la Spiraea Kamtschatica che in poche settimane raggiunge 3 m. d'altezza e costituisce fitte formazioni macchiose, Epilobium angustifolium, Senecio cannabifolius, Cacalia hastata, Lilium con bei fiori aranciati e alcune Ombrellifere dei generi Heracleum e Angelica.
A un'altezza di circa 300 m. s. m. la vegetazione è rappresentata da alberi nani: Pinus cembra var. pumila, Alnus incana e fruticosa, Juniperus dahurica; qui crescono anche i Rhododendron Kamtschiaticum e chrysanthum che sono specie dell'Asia di NE. e ad essi si aggiungono gli elementi floristici glaciali della penisola dei Ciukci.
Fauna. - La fauna siberiana è, in ognuna delle regioni esaminate, ricca di specie e copiosa di numero, nonostante le cacce, e in grazia della debole densità della popolazione. Accanto alla ben nota abbondanza di animali da pelliccia (ermellino, lontra, martora, scoiattolo, volpe, orso; raro è ormai lo zibellino e quasi scomparso il castoro), che condiziona l'esistenza di non pochi gruppi di seminomadi nelle zone della tundra e della taiga, importanza antropogeografica notevole hanno l'avifauna (soprattutto uccelli acquatici) e l'ittiofauna (essenzialmente storioni e salmoni), che contribuiscono largamente all'alimentazione locale, e in misura non trascurabile anche all'attività commerciale. La Siberia rientra tutta nel dominio faunistico paleoartico ed ha perciò una sostanziale affinità con le specie europee. Verso E. e SE. la composizione si fa più varia pel comparire di specie che provengono dal vicino distretto manciuriano: così, per es., i distretti dell'Amur e dell'Ussuri conoscono, fra i carnivori selvatici, la tigre, che raggiunge qui il suo limite polare (spintasi eccezionalmente fino alla Jakutia). Quanto alla fauna marina, va ricordata la straordinaria abbondanza di cetacei (balene, delfini) e pinnipedi (foche, otarie) del Pacifico settentrionale, da cui ha origine una intensa attività peschereccia. Foche si cacciano anche nelle acque del Bajkal.
Popolazione. - Coi suoi 15½-16 milioni di ab., la Siberia ha, nei confini che le abbiamo tracciati, una popolazione che è poco più di ⅓ di quella dell'Italia, la quale pure dispone, come s'è visto, di una superficie circa quaranta volte più piccola. La densità risulta di poco più di 1 ab. a kmq., tale dunque che, con pari rapporto, la popolazione italiana si ridurrebbe press'a poco a quella della sola provincia di Potenza. Occorre tuttavia tener conto che si tratta non solo di un territorio immenso, con immensi spazî non adatti all'insediamento umano, ma che questo vi è, in buona parte, recente, e che anzi non poche delle sue regioni attendono ancora di essere, non che colonizzate, quasi interamente riconosciute. Sotto questo riguardo la Siberia può essere paragonata al Nuovo Mondo, in confronto del quale, anzi, il suo popolamento e la sua messa in valore hanno proceduto con ritmo assai più lento. Caratteristico è anzi il fatto che, salvo una ristretta zona lungo il suo margine meridionale, l'attività umana ha alterato assai poco l'originario paesaggio naturale, o vi ha lasciato solo traccia della sua opera distruttiva (incendî, caccia). La colonizzazione russa, a cui la Siberia deve il suo attuale sviluppo, è di data anche più tarda di quella occidentale nel Nuovo Mondo, perché iniziata appena nell'ultimo quarto del sec. XVI; inoltre, a distanza di più che due secoli, nel 1800, il flusso immigratorio non aveva ancora toccato il mezzo milione di anime, meno dunque che non ne uscissero in media dall'Italia ogni anno, nel periodo prebellico. Il ritmo si andò accelerando alquanto dopo la metà del sec. XIX, soprattutto come conseguenza dell'abolizione della schiavitù (1861), che determinò un'intensa richiesta di nuove terre: nel quindicennio 1896-1910 entrarono infatti in Siberia oltre 4 milioni di Russi (non tutti, d'altronde, rimasti nel paese), ma la guerra mondiale prima, e la rivoluzione poi hanno arrestato questo movimento, che non ha ancora ripreso nelle proporzioni sperate, nonostante gli sforzi e gli allettamenti del governo sovietico.
Anche se analizzata nelle singole provincie, la densità della popolazione siberiana resta contenuta entro limiti molto bassi: i suoi valori più alti (distretti di Omsk, Barnaul, Kamen, Novo Sibirsk) raggiungono appena, sopra superficie paragonabili a quelle delle province italiane, i 18-20 ab. per kmq. In complesso la densità va diminuendo da O. ad E. per ridursi a cifre minime nella Siberia orientale (1,5 ab. a kmq.), nella Transbaicalia, nella Iakutia e nell'estremo NE. dove, accanto a zone del tutto spopolate (penisola di Tajmyr, alto Olenek, monti sulla destra della Lena), se ne hanno altre con appena 1 ab. ogni 10, o 20, o 50, o più kmq. (penisola di Ciukci). Poco popolate sono anche Sachalin (2 ab. a kmq.) e la penisola di Camciatca (1 ab. ogni 6-7 kmq.); per contro le cifre della densità si rialzano alquanto nella regione dell'Amur, sebbene solo per le zone più meridionali e per spazî relativamente piuttosto ristretti (Litorale 4; Ussuri 8,7).
Sebbene non si abbiano statistiche un po' particolareggiate estese a tutto il territorio qui considerato, si può calcolare che la popolazione urbana rappresenti in Siberia intorno al 25% (e fors'anche meno) del totale (il 39% nella regione dell'Estremo Oriente, ma appena il 15% nella Jakutia); ma vi sono circondarî ampî più del doppio dell'Italia senza popolazione urbana; la grande massa degli abitanti vive dunque in insediamenti rurali, o in piccoli nuclei, o dispersa. Di tali località, il maggior numero conta meno di 50 abitanti ognuna, ma il 60% della popolazione è distribuito in villaggi di oltre 500 ab. Notevole è la differenza che presentano da zona a zona questi insediamenti: il numero medio dei loro abitanti passa da un minimo di 24 ab. nella Jakutia ad un massimo di 372 nella regione transuralica. Ciò è in rapporto da un lato col carattere degl'insediamenti stessi, dall'altro con la loro pertinenza etnica. Dove si ha colonizzazione agricola e questa è rappresentata da Russi, le cifre salgono; diminuiscono invece nei settori abitati dagl'indigeni, che praticano quasi tutti l'allevamento, o la pesca, o la caccia, e in forme non di rado nomadi o seminomadi.
Quanto alle città, va ricordato che l'accezione del termine è qui, come in Russia, assai più lata che presso di noi. Comunque, il loro numero e la loro importanza decrescono regolarmente da O. ad E. e da SO. a NE.; il distretto transuralico, dove l'immigrazione russa ha più lontane e profonde radici, ne conta 160, quante non ne hanno insieme tutte le altre regioni del paese. Una dozzina di queste città supera oggi i 100 mila ab., ed una (Sverdlovsk) si avvicina al mezzo milione; per il resto, si tratta di centri amministrativi sviluppatisi da grossi villaggi, e che dei villaggi conservano in sostanza aspetto e caratteri. La maggior parte delle città siberiane risale al XVIII e al XIX sec., e deriva o da vecchie fortezze (così, per es., Čeljabinsk, Troick, Omsk, Blagoveščensk, ecc.), o da emporî commerciali (Irbit, Irkutsk, Čita, ecc.) o da centri di tappa (es. Tjumen Tobol′sk, Tomsk, ecc.) o da nuclei minerarî (tale è il caso di tutte le città dei bacini di Kuzneck e Minusinsk), ma la loro moderna evoluzione, dove meglio riconoscibile, è soprattutto in rapporto con la costruzione della Transiberiana e dei tronchi che la completano. Centri come Tobol′sk, Tomsk, Enisejsk, Jakutsk, ecc. rimasti tagliati fuori dalle grandi arterie ferroviarie, pur avendo avuto il loro periodo di fiore, sono rimasti stazionarî, o hanno segnato un regresso. Quando si prescinda dalle città il cui recente sviluppo all'americana consegue all'intensa industrializzazione voluta dal regime sovietico, le fortune maggiori corrispondono ai centri stabiliti all'incrocio della Transiberiana con le vie d'acqua che regolano il commercio delle zone più ampie ed importanti (Omsk, Novo Sibirsk, Krasnojarsk, Chabarovsk). Alcune delle vecchie città siberiane hanno tuttavia conservato importanza come centri culturali (per es. Tomsk, Jakutsk); altre, perduta la loro originaria funzione, ne hanno assunta una nuova: così Vladivostok, la più elegante, forse, delle città siberiane, che da porto militare è divenuto oggi uno dei ganglî commerciali più attivi di tutto l'Oriente russo. In complesso, le città siberiane hanno carattere di centri di colonizzazione recente; presentano quindi pianta regolare, a scacchiera, ampie piazze, larghi spazî senza costruzioni, case per lo più a uno o a due piani, ecc. Non sempre soddisfacenti sono i servizî pubblici, sia per la viabilità ordinaria (strade non lastricate), sia e ancor più per l'igiene pubblica (deficienza di canalizzazione, di acque potabili, d'illuminazione, eccesso di polvere, ecc.); svantaggi accresciuti non di rado dal rapido aumento dell'urbanismo che caratterizza il regime sovietico.
Oltre i nove decimi della popolazione siberiana sono costituiti dall'elemento russo, nel quale i recenti immigrati (pereselency), più numerosi, si differenziano dai discendenti dei vecchi coloni, non solo per il suggello, più o meno evidente, delle mescolanze etniche cui andarono soggetti, ma anche per una sempre più chiara coscienza della propria individualità di fronte alla patria d'origine. Coscienza che le vicende della lunga guerra civile hanno rinsaldata e che trova la sua giustificazione, fra l'altro, nell'acquisto e nello sviluppo di qualità psichiche che lo contrappongono, in certo senso, al russo d'oltre Urali: maggiore attività e spirito d'iniziativa, percezione più sicura della realtà, intelligenza più vivace e indipendente, e quindi migliori capacità realizzatrici, e, soprattutto, facile senso di adattamento.
Nella sua grande maggioranza, l'immigrazione russa è formata da coloni, dai quali proviene anche, almeno in parte, l'artigianato e il piccolo proletariato urbano, mentre quasi del tutto russi sono, nelle città i ceti intellettuali e l'elemento più attivo della vita economica. Fra i Russi, poi, prevalgono numericamente i Grandi Russi, che rappresentano oltre il 90% del totale della popolazione nella regione uralica, il 78% nelle due Siberie (Occidentale e Orientale) e il 65% nell'Estremo Oriente. Seguono gli Ucraini, assai numerosi. Delle altre popolazioni europee, le colonie più cospicue sono quelle dei Tedeschi (85 mila) e dei Polacchi (46 mila), anch'esse costituite in prevalenza di coloni e fissate soprattutto nella Siberia occidentale.
In Estremo Oriente, e in special modo nella regione dell'Amur e dell'Ussuri e in Sachalin, si ha una sensibile immigrazione di Cinesi, Manciuriani, Coreani e Giapponesi; il loro numero si aggira intorno ai 120 mila.
Le popolazioni che per contrapposto si possono definire indigene formano un vero mosaico etnografico: quasi tutti i 180 gruppi riconosciuti dai censimenti ufficiali vi sono rappresentati. L'esame di una comune carta etnica della Siberia non deve però illudere: agl'immensi spazî che vi figurano occupati da questo o quel plesso etnico corrispondono di regola entità numeriche minime, e che si potrebbero tranquillamente trascurare, se al loro scarso interesse statistico non se ne contrapponessero altri di vario genere. In complesso, tutte queste popolazioni riunite non raggiungono un milione di individui (forse 850 mila al massimo), e la più cospicua di esse (prescindendo dai Kirghisi, che trapassano essenzialmente nel finitimo Turkestan), i Jakuti, non supera i 250 mila, distribuita sopra una superficie ch'è circa dieci volte quella del regno d'Italia. Alle somiglianze etniche non corrisponde neppure sempre un uguale adattamento alle condizioni ambientali - ché, anzi, gli stessi Jakuti offrono l'esempio di un popolo trapiantatosi dalla steppa alla taiga -; tuttavia si può in complesso dire che i gruppi paleoasiatici (Ciukci, Jukaghiri, Koriaki, Camciadali, ecc.; in tutto meno di 35 mila individui) sono ormai confinati nella zona delle tundre, mentre la foresta ospita soprattutto popolazioni mongoliche (da O. ad E.: Ostiachi, in numero di 20.000 circa, Tungusi, Jakuti e di nuovo Tungusi, questi ultimi, in totale, meno di 75 mila), ivi sospinte a più riprese dalle invasioni dei conquistatori centroasiatici (Buriati) fissatisi poi sul cercine stepposo interposto fra la taiga e la zona montuosa che s'inarca a oriente dell'Altai. Regione, questa delle steppe, che più delle altre doveva favorire gl'insediamenti, e alla quale, in sostanza, si è volta l'immigrazione europea. Nel resto, dove non è stato introdotto l'allevamento, che verso N. si riduce sostanzialmente a quello della renna, le popolazioni vivono solo di caccia e di pesca e menano perciò quasi tutte un'esistenza nomade o seminomade, secondo richiedono le migrazioni stagionali della selvaggina e l'impossibilità di procurarsi il necessario da spazî di limitata estensione. Appunto la sempre minore disponibilità di questi spazî e delle loro riserve animali hanno falcidiato e continuano a falcidiare le file degl'indigeni, e questo, se dà ragione della relativa facilità della conquista russa, mette in evidenza com'essa non possa affermare il suo compito civilizzatore senza una radicale trasformazione dei generi di vita.
Nella cultura delle popolazioni indigene occorre tuttavia distinguere varî strati successivi. L'ultimo strato indigeno, è dato da quella che si può chiamare la cultura pastorale della grande famiglia agnatizia, la cui influenza si scorge sopra tutto nei Tungusi, Jakuti, qualche gruppo tataro e, in parte, anche nei Koriaki. Con essa, o successivamente, sono penetrate anche la tessitura, la metallurgia e l'uso della renna come animale da basto e da sella. Nelle altre popolazioni che allevano la renna si notano piuttosto tracce di un antico matriarcato: questa conquista economica si è, comunque, innestata su una cultura artica o subartica fortemente specializzata in senso correlativo all'ambiente e al suo accentuato ritmo stagionale (abitazioni invernali e tenda estiva, distribuzione ciclica dei lavori, vesti stagionali, ecc.). Le origini di questa cultura sono tuttavia anteriori alla domesticazione della renna e risalgono a una fase di cacciatori nomadi (slitta, cane da tiro, racchette da neve). Residui di culture più primitive e affinità invece meridionali, sono sulle coste orientali (armi da getto, arco semplice, tracce totemistiche, fratrie o classi matrimoniali dei Samoiedi e dei Ghiliaki). Quasi tutti gli elementi della vita materiale e spirituale hanno mostrato poi, tanto per le culture preistoriche che per quelle attuali, una tale quantità di concordanze con l'America Settentrionale, da far concludere che le culture delle due regioni si sono sviluppate in stretto costante contatto sino a tempi assai vicini. Solo le ultime ondate culturali (pastorizia, famiglia agnatizia, ferro, ecc.) sono rimaste esclusivamente nell'Asia.
Antropologia. - La Siberia può dirsi una delle regioni della terra meno bene conosciute antropologicamente. Ciò, malgrado la scarsissima densità della popolazione di essa, non è meno deplorevole, giacché sulla sua estensione, noi troviamo gruppi etnici del più grande interesse antropologico, come gli Ainu, i Ciukci, certe tribù dell'Enisej e possiamo legittimamente pensare che altri gruppi etnici poco conosciuti abbiano a riserbare delle sorprese, a una più esatta indagine.
I principali gruppi etnici che la abitano sono stati per la loro parte maggiore, distribuiti da E. v. Eickstedt (v. razza) nelle sue tre razze: Sibirida, Turanida, Tungida, di cui l'ultima, come è visibile dalla carta di distribuzione, avrebbe la massima estensione, con i Tungusi. Alla razza sibirida apparterrebbero Samoiedi, Voguli, Ostiachi, Jenisseiani, che costituirebbero un'ala occidentale di essa, mentre Jukaghiri, Ciukci, Coriaki, Camciadali apparterrebbero all'ala orientale di detta razza. In realtà, nel complesso detto dal v. Eickstedt sibirida vi sono resti di tipi diversi, che hanno solo in comune di non essere mongolici, e la razza sibirida è una delle meno consistenti nella nuova sistemazione del v. Eickstedt. Alla sua razza turanida attribuisce il v. Eickstedt l'elemento predominante degli Jakuti. I Buriati della Transbaicalia sono assegnati alla razza tungida (v. mongoli); gli Eschimesi alla eschimida (v. eschimesi); gli Ainu all'ainuida (v. ainu). Ciò che abbiamo accennato della cosiddetta razza sibirida e altre considerazioni, c'indicano che val meglio riferire i caratteri morfologici essenziali dei principali gruppi in questione, senza dar troppa importanza ad assegnazioni a razze particolari più o meno legittime. Tralasciamo l'esposizione di quei gruppi etnici che hanno una trattazione particolare alle voci corrispondenti.
I Samoiedi presentano un tipo fisico piuttosto diverso da quello degli Ostiaki e dei Voguli, sebbene la statura non sia molto diversa. Essi sono tozzi, hanno un buon sviluppo muscolare e forme piuttosto piene. La loro statura, nei maschi, è di cm. 155. L'indice cefalico è di 84; il modulo cefalico, cioè la media delle tre dimensioni della testa (che ci dà un'idea della grandezza assoluta della testa) è di 161,3, cioè uno dei più forti della Russia asiatica ed europea (Jochelson), onde appunto i Samoiedi hanno un massimo rapporto del modulo alla statura. L'indice nasale è di 77, la piega epicantica è assente, secondo scrittori recenti, ma secondo il Sommier, che fu un coscienzioso ed esatto osservatore e che studiò i Samoiedi sul luogo, essa sarebbe presente spesso. L'apertura palpebrale è stretta ed obliqua. La salienza degli zigomi è forte, la fronte stretta. Il capello è nero, liscio nei Samoiedi più puri. Ma anche per questo carattere, il Sommier ci dice di frequenze sensibili di capelli castagni e più chiari ancora; lo stesso pare per gli occhi, neri nei più puri, ma abbastanza spesso chiari; nella faccia il Sommier nota la presenza di un accumulo di grasso, sito sopra il molare, che fa assai prominenza e che caratterizza questa regione. Il tronco è lungo, le gambe corte. Il cranio samoiedo è dichiaratamente platicefalico.
Gli Ostiaki hanno nei maschi una statura di 158, un indice cefalico di 79; un indice facciale di 79,6, di mesoprosopia, ma assai prossimo alla leptoprosopia (indice sopra 80), un modulo cefalico di 161, assai prossimo a quello dei Samoiedi, anche nel suo valore relativo alla statura. Tale carattere, naturalmente, non proverebbe per sé una stretta affinità con i Samoiedi. L'occhio mongolico, secondo il Sommier, è raro, il naso non avrebbe spesso quasi il dorso e la sua prominenza sarebbe limitata alla punta, presentandosi casi con una disposizione che il Sommier paragona a quella dei sifilitici ereditarî. Il cranio ostiaco presenta platicefalia tipica, ma i valori numerici di essa sono aumentati da fatti patologici. Gli Ostiaki presentano localmente percentuali forti di biondismo che il Sommier attribuisce a contatti con i Sirieni. I Voguli sarebbero in complesso più prossimi agli Ostiaki che ai Samoiedi.
I Tungusi presentano certo numerose differenze locali, non soltanto per i valori dei caratteri metrici, ma anche per i caratteri descrittivi. Così 11 Tungusi del nord diedero al Mainov una statura media di 154,8; un indice orizzontale di 81,4; una larghezza facciale di 141. 86 Tungusi del sud diedero allo stesso autore i valori corrispondenti 163,1; 82,7; 151. Le differenze della larghezza facciale indicano differenze raziali notevoli. I Tungusi misurati da Bogoras e dalla Jochelson-Brodsky ci porgono i valori seguenti: distretto di Ghisuga: statura cm. 156,5; indice orizzontale 78,7; larghezza facciale 146,3. Kolyma: statura 158,8; indice orizzontale 78,5; larghezza facciale 145,3. Anadyr′: statura 157,4; indice cefalico 80,8; larghezza facciale 146,1. Infine lo irokogorov dà i valori seguenti per i Tungusi di Urulga e di Barguzin: Urulga, statura 162 cm.; indice cefalico 84,1, indice facciale 83; Barguzin, 159,1; 81,1; 78,9. Si deve supporre che in questi ultimi esiste una componente xantocroica, a ragione della colorazione piuttosto chiara degli occhi e della pelle. Molti autori giustamente suppongono che nei Tungusi del nord siano residui sensibili di caratteri dei gruppi cosiddetti paleoasiatici (v. oltre). In quelli del sud è sicura una forte prevalenza di caratteri mongolici.
Per ciò che riguarda gli Jakuti, mentre si credette un tempo che essi si allontanassero più dei Tungusi dal tipo mongolico, secondo la signora Jochelson-Brodsky, in seguito, ciò non sarebbe stato confermato. Circa 200 Jakuti diedero al Mainov una statura media di cm. 162,4; un indice orizzontale di 82,6; una larghezza facciale di 148,6. Un'altra serie di misure dà a quest'ultima distanza il valore di 150, ciò che indicherebbe un intervento di mongolismo. Bisogna però ricordare che nei veri Mongoli questo valore è superato assai spesso. Riguardo alle donne jakute, in confronto delle jukaghire e tunguse, la Jochelson-Brodsky dimostrò un valore del rapporto della lunghezza della gamba alla coscia di quasi tre unità maggiore nelle prime. È questo quasi il solo rapporto, relativo alle proporzioni corporee, per il quale i tre gruppi femminili sopraddetti, si differenzino. Esso però è abbastanza importante, per far sospettare che sia sensibile qualche componente non mongolica. L'intervento di un elemento non mongolico è dimostrato anche, secondo il Sera, ben inteso per questa regione, dall'indice di altezza della testa, che è calcolabile dai dati forniti dall'autrice. È probabile, secondo il Sera, l'influenza di un elemento affine a quello prevalente nelle popolazioni turaniche. Purtroppo l'iconografia degli Jakuti è scarsa e la cosa non può essere perciò decisa sicuramente.
Passando ora al gruppo dei cosiddetti paleoasiatici, si deve ricordare che molti di questi gruppi furono studiati dai ricercatori della Jesup Expedition, ma che i dati relativi raccolti non sono stati ancora pubblicati che in piccola parte e cioè, per alcuni caratteri metrici dalla JochelsonBrodsky, mentre dei caratteri descrittivi, assai più importanti, il Bogoras ne ha riferito solo pochi, in modo sommario, a proposito dei Ciukci. Comunque riferiamo i principali dei dati metrici pubblicati. Circa 70 Jukaghiri presentarono una statura di cm. 156, un indice cefalico di 80,4, una larghezza facciale di 145,5. Circa 148 Ciukci presentarono una statura di 162,2, un indice cefalico di 82, una larghezza facciale di 146,3. Circa 179 Coriaki della Ghisciga presentarono una statura di 159,6, un indice cefalico di 80,3, una larghezza facciale di 146,2. Circa 24 Coriaki della Camciatca presentarono una statura di 162, un indice orizzontale di 78,1, una larghezza facciale di 144,2. In 63 Camciadali si riscontrò una statura di 160, un indice orizzontale di 78,5 una larghezza facciale di 143,5.
Riguardo ai Ciukci, il Bogoraz attribuisce loro dei pomelli assai meno prominenti che quelli dei Tungusi e degli Jakuti. Il naso sarebbe spesso grande, ben formato, talvolta aquilino. Il naso a ponte mongolico si troverebbe di più nelle donne. Parte facciale inferiore grossa e massiccia. Le facce mongoleggianti sarebbero più frequenti nelle donne. Occhi diritti; piega mongolica rara. Capelli talvolta ondulati, neri presso i Ciukci dell'Oceano Artico, bruni presso quelli del Pacifico. Pelosità scarsa, ma tuttavia frequente una barba rada. Il colore della pelle della faccia è quello del bronzo. Dieci cranî di Ciukci del Muséum di Parigi hanno un indice orizzontale medio di 74,4, distante da quello ricordato nel vivente. Il Sera, da un ripetuto esame dei cranî, deduce che essi appartengono al suo primo tipo facciale (v. fisionomia) a differenza del tipo prevalente negli Eschimesi che è mongolico e crede i cranî veramente appartenenti ai Ciukci. Il contrasto fra cranî e misure sul vivente è spiegato dal Sera con afflussi recenti di sangue tunguso, afflussi ammessi del resto comunemente. Un cranio di Camciadalo di Parigi pare al Sera uno squisito rappresentante del primo tipo, onde egli sospetta che questo gruppo conservi, in maggior misura che i Ciukci, dei caratteri del primo tipo facciale, con qualche elemento ainu. Presso a poco le stesse cose varrebbero per i Coriaki.
Per ciò che riguarda i Giliaki, per il vivente possiamo solo ricordare che 20 individui, stando al Deniker, presentavano un indice cefalico di 86. Per i caratteri descrittivi, molti autori ricordano la presenza di individui a forte pelosità, simili agli Ainu, il che non può sorprendere, per la vicinanza dei due gruppi, ma non può obliterare il fatto del forte indice cefalico. L'esame dei 4 cranî di Parigi, al Montandon e al Sera, fa affermare il profondo mongolismo di questo gruppo, che si connette ai Mongoli centrali, anche per la frequente platicefalia, dimostrata dalla serie più importante di questa provenienza (25 cranî), illustrata dal Tareneckij.
Caccia e pesca. - Da paese di nomadi, quale fu certo in un non lontano passato, la Siberia è divenuta ora regione essenzialmente agricola, e si avvia a divenire uno dei settori più attivi anche nel campo della grande industria moderna. Per quanto occupazioni pressoché proprie degl'indigeni, caccia e pesca sono tutt'altro che elemento trascurabile dell'economia siberiana. Non solo, infatti, i loro prodotti entrano in larga misura nell'alimentazione locale e nell'abbigliamento, ma riescono di sensibile beneficio al commercio di esportazione. La caccia agli animali da pelliccia (zibellini, martore, scoiattoli, ermellini, castori, lontre, volpi polari, volpi azzurre, lepri, e, sempre per lo stesso scopo, anche lupi e orsi), che ha sempre formato una delle risorse più note del paese, ne ha depauperato le riserve, specie nel settore occidentale. Tuttavia queste rimangono cospicue nella Jakutia, e nella parte settentrionale del territorio dell'Estremo Oriente, dove, come in tutta la taiga e la tundra, rappresenta l'unica o la principale fonte di guadagno della popolazione, Russi non esclusi. Il solo valore delle pelli esportate dall'U. R. S. S. è quadruplicato nel decennio 1921-1930: merce, questa, per la massima parte proveniente dalla Siberia. I principali mercati siberiani di pellicce sono Irbit, Jakutsk, Kjachta e soprattutto Omsk. Le stesse zone ora ricordate sono le più ricche per ciò che riguarda la pesca: di fiume e di lago in Yakutia, anche e soprattutto marina nell'Estremo Oriente (Camciatca, Sachalin, M. d'Ochotsk, e costa meridionale). L'industria peschereccia è però in Estremo Oriente per oltre la metà controllata da capitale giapponese, e case giapponesi hanno impiantato stabilimenti per la conservazione del pesce sulla costa occidentale del Camciatca. Salmoni e merluzzi si raccolgono qui in quantità enorme. Il valore della produzione peschereccia della sola provincia dell'Estremo Oriente si aggira sui 75-90 milioni di rubli annui. Cospicui redditi consente anche la caccia alle foche e ai cetacei, che ha luogo del pari soprattutto nel Mare di Ochotsk.
Agricoltura e allevamento. - In Siberia l'attività maggiore è volta all'agricoltura e all'allevamento, occupazioni che tendono a sempre meglio integrarsi, ma delle quali la seconda tanto più domina e si isola, quanto più si procede verso E., in rapporto al diminuire, in complesso, del suolo coltivabile. Poiché l'agricoltura è stata qui, ed è ancora essenzialmente cerealicoltura, piante industriali, come il lino e la canapa, sono state da poco introdotte nella Siberia occidentale, e il giardinaggio è occorrenza occasionale, legata, nelle regioni dell'estremo SE., alla presenza di coloni di razza gialla. Di più, la stessa cerealicoltura ha avuto, e conserva, carattere estensivo e sfrutta, in sostanza, le più fertili plaghe del černozem. Le aree coltivate, che si calcolano in cifra tonda sugli 11 milioni di ha., presentano la massima estensione nella Siberia occidentale. Ad E. dell'Enisej si riducono a isole chiuse da monti o da steppe, e riprendono per spazî un po' ampî solo lungo il medio Amur e l'Ussuri, dove tuttavia la colonizzazione agricola ha difficoltà maggiori da vincere (irregolare regime idrico, raccolti aleatorî). Il limite settentrionale dei cereali segue all'ingrosso il corso dell'Ob, dalla sua confluenza con l'Irtyš, risalendolo fino al 54° N.; scende poi lungo l'Enisej oltre il 60° N., e descrive, fra Lena e Vitim, un ampio gomito, toccando lungo il medio e basso Viljuj il 63° N., il suo estremo polare. Di qui si ritrae decisamente a S.; taglia gli Jablonoi settentrionali e scende sino alla confluenza dell'Ajgun nell'Amur; segue il corso di quest'ultimo fino alla foce e lo risale, sulla destra, continuando lungo l'Ussuri, sino a raggiungere, presso Vladivostok, il suo punto più meridionale.
Le colture variano poi non poco da settore a settore. In quello transuralico il grano è di gran lunga prevalente; nel Sibkraj (Sibirskij Kraj), invece, avena e segala hanno quasi la stessa diffusione del grano, e nel territorio dei Buriati la segala assorbe da sola metà dello spazio messo a coltura. Anche nelle regioni dell'Estremo Oriente v'è una considerevole varietà di coltivazioni (grano, avena, segala, grano saraceno, orzo, fagiuoli, patate, legumi, foraggi); ma il raccolto non basta al consumo locale, mentre la zona transuralica e la Siberia centrale provvedono con largo margine all'esportazione. Nella Jakutia la cerealicoltura è possibile in grazia dei forti calori estivi; tuttavia vi è occorrenza recente (il primo tentativo, fatto dai Russi, risale al 1853; oggi un piccolo numero di Jakuti si è fissato sui campi), e fra le coltivazioni domina di gran lunga quella dell'orzo, cui seguono, nell'ordine, la segala, il grano (specie nel distretto di Olekminsk), l'avena e le patate. Piccole isole di cerealicoltura si trovano anche in Sachalin, nel Camciatca e lungo le coste del Mar di Ochotsk (golfo di Uda).
Anche l'allevamento ha in Siberia carattere essenzialmente estensivo, salvo forse in alcuni distretti sud-occidentali, dove in questi ultimi anni si è cercato con opportune provvidenze governative di migliorare impianti, razze e rendimenti. Bisogna tuttavia distinguere tra l'allevamento praticato dagli indigeni, che mira a sopperire agl'immediati bisogni dell'esistenza, - diretto quasi solo alla renna, al cavallo o al cammello, e a carattere nettamente nomadico - e l'allevamento che accompagna la colonizzazione agricola delle regioni meridionali. Evidentemente, è quest'ultimo che ha una reale importanza economica, non fosse che per il numero di capi che lo costituiscono; si aggiunga che un vero e proprio sviluppo d'industrie provvede l'allevamento solo nel settore transuralico e nella Siberia centrale, dove si produce soprattutto per esportare. Bovini ed equini stanno alla base dell'allevamento; seguono gli ovini, diffusi nelle zone montane del S., e, in misura molto minore, i caprini. Animali da cortile vengono curati sopra tutto nelle regioni sud-occidentali, dove è anche comune e dà buoni prodotti l'apicoltura (in fiore anche nei distretti di Chabarovsk e Vladivostok). Il cammello tende a essere sempre più largamente impiegato, anche fuori dai settori aridi di S. e di SO., nei quali sostituisce il cavallo: così, per es., nei distretti di Zeja e Nikolaevsk, per il commercio con i paesi d'oltre monte, nel bacino dell'Aldan.
L'allevamento siberiano, che aveva raggiunto grande prosperità nel periodo prebellico, ha molto sofferto dalla crisi della guerra civile, crisi che raggiunse nel 1922 il suo punto più acuto. Dopo d'allora, anche questa attività si è venuta sistemando e consolidando, pur senza avere ancora di molto superato, anzi per certi riguardi (ovini, caprini) neppure raggiunto, gli effettivi del 1913. Le deficienze maggiori riguardano la scarsezza, o la mancanza, di edifici ben attrezzati (il bestiame stabula per lo più all'aperto) e la selezione delle razze, che è importante soprattutto agli effetti delle attuali o sperate utilizzazioni industriali. Regione transuralica e Siberia occidentale erano, anche prima della guerra, conosciute come forti produttrici di burro e di uova, destinati soprattutto all'esportazione verso la Germania e l'Inghilterra (il più grande centro di raccolta del burro siberiano è oggi Novosibirsk); con quantitativi minori seguivano le carni conservate, il pollame, le pelli crude, le lane, e buon numero di prodotti accessorî (setole, crine, budella, ecc.). Tendenza degli sforzi intrapresi dal governo sovietico è quella di razionalizzare l'allevamento, non solo elevandone la tecnica (costruzione di grandi aziende collettive, meccanicizzazione), ma anche indirizzandola all'utilizzazione integrale di tutti i suoi prodotti, e favorendo il trattamento industriale di questi in situ. È tuttavia difficile giudicare dei risultati ottenuti, anche perché le statistiche non distinguono, di regola, nei dati concernenti la R. S. F. S. R., la parte che spetta alle singole provincie siberiane. Nel complesso dell'U. R. S. S. i cavalli sono passati da 35,1 a 94,6 milioni di capi fra il 1916 e il 1934; i bovini da 58,9 a 110,6 milioni; i suini da 20,3 a 144,7 milioni; ovini e caprini sono invece scesi da 115,2 a 103,4 milioni di capi. Più numerose e meglio tenute le greggi nelle provincie occidentali; tuttavia, la repubblica dei Buriati, pure relativamente piccola, contava da sola nel 1928 ben 1,2 milioni di capi ovini; 1,1 milioni di bovini, 332 mila equini; 258 mila caprini e 161 mila suini; e nella provincia ricca di bestiame si avevano in pari data: 1 milione di bovini, 940 mila pecore, 588 mila maiali, 578 mila cavalli e 217 mila capre.
Enorme è la ricchezza in legname di tutte le provincie siberiane (113 milioni di ha. di foreste nei bacini dell'Ob e dell'Enisej; quasi il doppio in quelli della Lena e dell'Amur), ma il beneficio che ne viene all'economia del paese è quasi trascurabile, per la distanza dai mercati esteri, per l'assoluta insufficienza dei mezzi di comunicazione e per la relativamente esigua richiesta da parte della scarsa popolazione locale. Certo la disposizione della rete fluviale, che ha i suoi sbocchi verso N., anziché sulla fertile cimosa meridionale, ha influito in modo negativo sullo sfruttamento di questa risorsa.
Nell'Estremo Oriente, invece, dove più facile è comunicare coi porti esteri, utilizzando il vicino litorale sul Pacifico e il capo dell'Amur, la silvicoltura rappresenta un elemento già notevole dell'economia locale (per ora limitatamente alla regione del basso Amur e in special modo a quella prossima a Vladivostok), e che molto maggior profitto potrà dare in avvenire, data la forte domanda di legname dei paesi asiatici sud-orientali. Quanto al rimanente della Siberia, il governo sovietico cerca di dare incremento all'industria del legname, essenzialmente con lo stabilire regolari comunicazioni fluvio-marittime tra Ob, Enisej e Lena da un lato e i grandi porti europei (Amburgo, Londra) dall'altro. Comunque, il legname siberiano entra nell'economia locale in proporzioni notevoli, in quanto utilizzato, e meglio si potrebbe dir profuso e sperperato, per costruzioni, riscaldamento, forza motrice (ferrovie, navigazione fluviale) e, nelle regioni particolarmente colpite dai geli, per la pavimentazione stradale.
Ricchezze minerarie. - Per quanto ancora essenzialmente agricoloforestale, la Siberia è destinata a trasformarsi in un paese industriale, attesa la straordinaria abbondanza di minerali di cui dispone; abbondanza che la via via più precisa conoscenza del suo sottosuolo mostra sempre più larga e più varia. Si può anzi dire che nessuna delle materie prime indispendabili ad assicurare l'autarchia industriale di una grande nazione le faccia difetto, mentre di alcune le sue riserve sono così ricche, da superare spesso quelle di cui dispongono, tutte insieme, le altre regioni dell'U. R. S. S. Ma, a una più pronta e vasta utilizzazione delle immense risorse, si sono opposte molte circostanze, e in primo luogo le scarse necessità della popolazione locale, la deficienza delle strade e dei mezzi di trasporto, la difficoltà di trovare capitali adeguati, la lontananza dei luoghi di consumo, e la insufficiente attrezzatura industriale della Russia zarista. Pure, l'estrazione dei minerali, aveva in Siberia tradizioni lontane: nella regione degli Altai, per es., il rame risulta lavorato fino da epoca preistorica, e alcune popolazioni locali impiegano diverse sostanze minerali per i loro bisogni domestici (soprattutto gli Jakuti). Piombo e argento furono, in ordine di tempo, i primi metalli coltivati sotto il dominio russo; a questi seguì l'oro, scoperto intorno al 1830, e che fino a poco tempo fa costituiva il prodotto più importante delle miniere siberiane. Solo sul finire del secolo scorso si cominciò a rivolgere l'attenzione ai combustibili, sempre più necessarî, date le esigenze del traffico ferroviario. La Transiberiana ebbe poi anche il merito di promuovere e di favorire la ricerca di altri minerali, ma solo dopo la guerra civile, che aveva compromesso i successi già ottenuti in questo settore dell'economia siberiana, si venne elaborando un programma razionale di ricerca e di sfruttamento.
Le risorse, copiose in ogni provincia, lo sono particolarmente per il carbone: si calcola di poter disporre di 450 miliardi di tonn. di minerale solo nella Siberia occidentale e orientale, cui ne vanno aggiunti 1,5 circa nell'Estremo Oriente, e quantità non precisabili, ma certo cospicue, in Jakutia. I depositi più importanti si trovano nei bacini di Kuzneck, di Irkutsk (detto più comunemente il Čeremchovo, dalla località dove ora si localizzano i pozzi più attivi) e di Minusinsk, a S. e a poca distanza dalla Transiberiana, cui sono uniti da tronchi ferroviarî; altri se ne hanno nell'isola di Sachalin, presso Vladivostok, lungo il medio Amur, e in diversi distretti della Jakutia. Il bacino di Kuzneck, ampio oltre 25 mila kmq., è uno dei più ricchi del mondo. Lo spessore degli strati, in genere poco profondi, va da 1 a 16 m., e dà ottima antracite, della quale furono estratti negli ultimi anni 5-6 milioni di tonn. annue, in media. Segue, come importanza, il bacino di Irkutsk, che si stende dal Bajkal fin oltre Nižneudinsk (0,8-0,9 milioni di tonn. annue); e quindi quello di Minusinsk, esteso 3-4 mila kmq. sulla sinistra dell'alto Enisej, nella Chakassia (0,1 milioni di tonn. annue). Le riserve sono stimate a 250 miliardi di tonn. per il bacino di Kuznesck, 150 per quello di Irkutsk, e 6 per quello di Minusinsk. Anche più esteso sembra debba essere il distretto carbonifero da poco scoperto sul basso Enisej (press'a poco sul circolo polare), ma ancora imperfettamente conosciuto.
L'importanza di questi depositi è accresciuta dalla presenza, negli stessi distretti o in località vicine, di altre non meno preziose riserve, prima di tutte il ferro, che si estrae anch'esso dai bacini di Minusinsk, di Irkutsk e di Kuzneck. In quest'ultimo la massa coltivabile è stimata 80-85 milioni di tonn., la più cospicua della Siberia, dopo quella di Gora Magnitnaja, sul versante orientale degli Urali (225 milioni di tonn.). Ferro si trova pure in più luoghi (140 miniere) dell'Estremo Oriente e della Jakutia, sebbene in quantità meno cospicue. Sul Tel′bes, nel bacino di Minusinsk, e a Troick, nella regione transuralica, si hanno anche depositi di manganese e di rame, associati in quest'ultimo distretto al piombo: questo si trova anche a Minusinsk, lungo il corso dell'Uda, affluente dell'Angara, e in special modo negli Altai e in Jakutia. Particolare sviluppo ebbe, durante il periodo bellico, l'estrazione del piombo nel distretto di Verchojansk, dove, tra il 1916 e il 1920, si ebbe una produzione di oltre 400 tonn. di minerale.
Minore importanza hanno zinco e stagno, di cui son provviste la regione transbalcanica, l'Estremo Oriente, la Jakutia, ecc.
Fra i minerali preziosi il primo posto spetta all'oro, sia per il valore della produzione, sia pel gran numero di località in cui viene coltivato. Le riserve più copiose spettano alla Siberia orientale, e soprattutto al bacino della Lena, dove, fra Vitim e Olekma, s'incontrano potenti (20-30 m.) masse di sabbie aurifere; altri depositi si trovano nella regione dell'Altai, nel basso Angara, nel bacino di Minusinsk, ecc. Largamente fornita è la Jakutia, massime nei due distretti di Aldan e di Viljujsk, nel secondo dei quali le sabbie aurifere portano commista buona quantità di platino; meno, ma pure in misura tutt'altro che trascurabile, la regione transuralica (quarziti aurifere nella parte settentrionale del distretto di Troick), il bacino di Minusinsk e l'Estremo Oriente, per il quale si calcola una riserva di oltre 6 milioni di tonn. Il valore della produzione in oro della Siberia orientale supera quello di tutte le altre forme di attività, nonostante i metodi ancora primitivi di estrazione; il quantitativo realizzato, che in tutta la Siberia toccò 61 mila chilogrammi nel 1914, discese a cifre bassissime durante la guerra civile, per riprendere dopo il 1922. Fino al 1930 i campi auriferi del bacino della Lena erano in mano di una concessione inglese (Lena Goldfields); dopo d'allora, vengono direttamente gestiti dallo stato, per mezzo di due organi speciali (Enisej zoloto e Sibzoloto). In tutta l'U. R. S. S. la produzione aurifera è più che raddoppiata fra il 1927 e il 1933 (da 33 a 77 tonn.).
Molto minore è l'importanza dell'argento, coltivato fino dal sec. XVIII nella regione degli Altai, e in Transbaicalia (Nerčinsk): i depositi più attivi sono, oltre questi ultimi, quelli che si trovano nel distretto di Vladivostok, dove si estraggono anche piombo e zinco. Il quantitativo totale dell'U. R. S. S. si aggira oggi sulle 25-30 tonn. annue, per la quasi totalità dovute all'apporto siberiano. Il platino si ricava soprattutto dagli Urali medî (Nižnij Tagil); in piccole quantità anche dagli Altai e dal bacino del Viljuj.
Fra i minerali non metallici, vanno ricordati la grafite, di cui si hanno enormi riserve (circa 100 milioni di tonn.) presso Turuchansk sul basso Enisej; l'asbesto (Urali, Irkutsk, Čita) e la mica (Kan, Bajkal); fra i metallici la wolframite, di cui l'U. R. S. S. è rifornita dai copiosi depositi di Nerčinsk. Né mancano mercurio, bismuto, antimonio, nichelio, cobalto, arsenico, cromo, soda, zolfo e gesso; mentre numerosissime sono quasi in ogni settore, ma in special modo lungo la cimosa meridionale e nella regione dell'Estremo Oriente, le sorgenti minerali d'ogni tipo.
Solo per quanto riguarda il petrolio, le disponibilità della Siberia non sono paragonabili a quelle delle altre unità amministrative dell'U. R. S. S. tuttavia non mancano, e sono concentrate soprattutto nel Camciatca e nell'isola di Sachalin. In quest'ultima la produzione annua si aggira intorno a un mezzo milione di tonnellate.
Industria. - Sebbene gli sforzi del regime siano in gran parte volti, anche in Siberia, a favorire lo sviluppo industriale, questo è in complesso ancora agl'inizî, se si eccettuano poche e ristrette zone della provincia transuralica, in immediato contatto con i distretti pertinenti al settore europeo. In questo infatti, sono i centri industrialmente più importanti (metallurgia, industrie meccaniche e chimiche) del paese: Sverdlovsk, Čeljabinsk, Nižnij Tagil, Zlatoust e Magnitogorsk, che hanno avuto un rapidissimo sviluppo, o sono addirittura sorti nel periodo postbellico. In tutto il resto della Siberia la grande industria moderna è scarsamente rappresentata, quando si prescinda dagl'impianti del bacino di Kuzneck, dove prevalgono del pari le industrie estrattive, metallurgiche e meccaniche, e da quelli che nella zona prossima al Bajkal (Irkutsk, Verchneudinsk), lungo il basso Amur (Blagoveščensk, Chabarovsk), nella provincia del litorale (Vladivostok) e nell'isola di Sachalin, hanno cominciato a utilizzare materie prime locali anche al di fuori della produzione agricola, forestale e pecuaria, di cui si alimentava invece l'industria tradizionale. Questa che è costituita essenzialmente da piccole e medie imprese, pur provvedendo soprattutto al fabbisogno interno, fornisce un eccedente all'esportazione: vi prevalgono le industrie molitorie, le alimentari (in primo luogo il burrificio; assai meno quelle delle carni), la distillazione di bevande alcooliche (delle quali si fa gran consumo nel paese) e l'industria del cuoio. I suoi centri maggiori erano, e restano, Omsk, Novo Sibirsk e Barnaul, nei quali naturalmente si sono affiancate alle vecchie le nuove industrie, in particolar modo la costruzione di macchine agricole.
Più recente ancora che nella Siberia propriamente detta è l'industria nella regione dell'Estremo Oriente, dove l'introduzione di manufatti esteri fu libera da imposte doganali fino al 1910. La vicinanza dei popolosi mercati dell'Asia orientale indica invece ora questo settore come uno dei più promettenti, e promettente vi è infatti lo sviluppo assuntovi da alcuni rami d'industria (costruzione di navi e di macchine agricole, conserve alimentari, lavorazione del cuoio e dei metalli, prodotti chimici, ecc.), sebbene non ancora paragonabile, per volume o valore, a quello della Siberia occidentale.
Tutt'altro che trascurabile l'industria domestica, che utilizza in sostanza la mano d'opera disponibile durante il lungo riposo invernale. Come in Russia, la produzione dell'artigianato ha interesse, oltre che folkloristico e artistico, economico, perché sopperisce largamente ai bisogni domestici. Nell'Estremo Oriente questa forma di attività è anche più importante per la parte che vi prende la popolazione di razza gialla, soprattutto i Cinesi.
Commercio, comunicazioni. - Una delle ragioni, certo la più grave, che ha ritardato la messa in valore di questo immenso paese è stata la deficienza delle comunicazioni. Quando si prescinda, anzi, da pochi e ristretti settori della cimosa meridionale più popolata (ma, ad es., in tutta la regione transuralica, su 80 mila km. di strade, appena 1500 sono carreggiabili), si può dire che la Siberia sia del tutto sprovvista di rotabili, nel senso a noi familiare. Prima della costruzione della ferrovia Transiberiana (1891-1904), destinata a unire Čeljabinsk (e perciò Mosca) a Vladivostok, la colonizzazione russa e i trasporti seguivano la pista aperta su fondo naturale, conosciuta col nome di trakt; via che si completava con tratti di navigazione fluviale (Angara, Amur) e lacustre (Bajkal), e che esigeva almeno quattro o cinque mesi di tempo su quel percorso. Mancando una vera e propria manutenzione stradale, il trakt era spesso inservibile, difficile e penoso per larghissime zone. Con la Transiberiana (7426 km. da Čeljabinsk, e 7186 da Sverdlovsk a Vladivostok), oltre al vantaggio di una comunicazione comoda e regolare, si ebbe un deciso impulso alla costruzione di strade, e poi anche di ferrovie complementari, in modo da allacciare a quella, che è rimasta la spina dorsale del traffico siberiano, le più lontane contrade dall'una e dall'altra parte della ferrovia. Naturalmente i rapporti commerciali assumono maggiore importanza verso mezzodì, soprattutto alle due estremità, occidentale (Kazakistan, Turkestan) e, ancor più, orientale (Manciuria, Corea), divise da una serie di baluardi montuosi, al di là dei quali s'aprono ampie zone desertiche. Nella prima direzione si è aperta, col Turksib, che unisce Novosibirsk e Barnaul a Taškent, una via di comunicazione ferroviaria che sembra destinata a grande avvenire, e due tronchi minori verso i bacini minerarî di Kuzneck e di Minusinsk. Nell'Estremo Oriente, dopo lo sfortunato esito della guerra russo-giapponese, alla linea diretta Čita-Vladivostok, che attraversa il territorio manciuriano, se ne è aggiunta un'altra, tutta in suolo russo, lungo il corso dell'Amur e quello dell'Ussuri. Un più diretto sbocco della Transiberiana verso E. si cerca ora con la costruzione di una nuova linea, che da Chabarovsk condurrà sulla costa di fronte a Sachalin.
Nessuna ferrovia si stacca invece dalla Transiberiana verso N. (salvo la breve diramazione che serve Tomsk); e poche anche le rotabili, delle quali una, più pista che carrareccia, segue l'Irtyš e l'Ob fino alla foce.
Il bacino dell'Enisej e quello della Lena comunicano con le regioni meridionali essenzialmente per via d'acqua e lo stesso avviene di tutto il vasto territorio a NE. della Lena, nel quale si viaggia solo in slitta (tirata da renne o, più spesso, da cani) d'inverno, o sui fiumi d'estate.
Maggiore sviluppo e regolarità si cerca di dare alle comunicazioni interne, legando i grandi fiumi direttamente ai porti europei. A questo scopo, oltre ad avere approntato opportuni scali alla foce dell'Ob (Novyj Port) e dell'Enisej (Ust'Enisej), il governo sovietico ha stabilito tutta una rete di stazioni radiometeorologiche, onde assicurare la navigazione nei mari polari durante il breve periodo in cui questa è possibile. Di giorno in giorno cresce poi l'importanza dei servizî aerei, che in alcune regioni rappresentano ormai il più comune mezzo di trasporto: così, per es., il percorso Jakutsk-Irkutsk (2950 km. lungo la Lena), che a mezzo di slitte richiede tre settimane di durissimo viaggio, si compie in aeroplano in tre giorni, con sensibile risparmio di spesa.
Il commercio fluvio-marittimo lungo l'Ob e l'Enisej, provvede largamente la Siberia di macchine, prodotti chimici, coloniali, tè e medicinali e ne porta via in cambio lino, avena, pelli crude, burro, legname, grafite e asbesto; il suo volume è andato sensibilmente crescendo negli ultimi anni. Tuttavia, prescindendo dai trasporti terrestri che hanno luogo per la Transiberiana, il flusso più importante si dirige ad E., dove Vladivostok è ancora l'unico porto modernamente attrezzato e, quel che più conta, libero dai ghiacci per un periodo abbastanza lungo (e in ogni modo sempre raggiungibile, dato il servizio di rompighiaccio di cui è fornito). Il tonnellaggio globale del suo traffico è certo superiore ai 3-3½ milioni annui. Vladivostok è unito da regolari servizî di navigazione con Shanghai, Kobe, Osaka e Canton; assai frequenti sono anche i suoi rapporti con tutta la costa del Mar d'Ochotsk, il Camciatca e Sachalin.
Divisione amministrativa. - Come risulta dalla tabella a p. 631, il territorio siberiano - prescindendo dai lembi del Kazakistan e delle provincie di Sverdlovsk e di Čeljabinsk, che rientrano nei suoi confini naturali - è suddiviso in 3 regioni (Siberia occidentale, Siberia orientale, Estremo Oriente), 1 provincia (Ob-Irtyš), e 1 repubblica autonoma (Jakutia), tutte dipendenti dalla R. S. F. S. R. Autonoma è anche la repubblica dei Buriato-Mongoli, inclusa nella regione della Siberia orientale; e autonome le tre provincie dell'Oiratia, della Chakassia (Siberia occidentale) e degli Ebrei (Estremo Oriente). I circondarî (okrugi), talora distinti col nome di nazionali, perché costituiti sulla base del principio di nazionalità, e le provincie incluse nelle regioni, sono invece essenzialmente unità territoriali. Nella tabella è stata tenuta distinta, come dipendenza immediata, la parte di territorio non compresa in nessuna delle precedenti suddivisioni amministrative.
V. tavv. LXXXIX-XCII.
Bibl.: È relativamente copiosa: com'è naturale, soprattutto di scritti in russo, non pochi anteriori al regime sovietico, ma ancora fondamentali. Fra quelli di carattere generale sono da consultare: Pereselenceskoe Upravlenie (Direzione dell'emigrazione), Azjatskaja Rossija, Pietroburgo 1914; Sibirskaja Soretskaja Enciklopedija (Enciclopedia sovietica della Siberia), Novo Sibirsk 1929-30; A. Radó, Führer durch die Sowjetunion, Berlino 1928 e il Soviet Union Yearbook, Londra (annuale dal 1928); inoltre: A. von Schultz, Sibirien, eine Landeskunde, Breslavia 1923; W. K. Arsenjew, In der Wildnis Ostsibiriens, Berlino 1924; S. Bergmann, Vulkane, Bären und Nomaden, Stoccarda 1926.
Oltre le trattazioni dedicate alla Siberia nelle note opere corografiche di E. Réclus, G. Marinelli, W. Siewers, E. von Seidlitz, e in quelle più recenti di F. Kluthe (Handb. d. geogr. Wissensch.), e P. Vidal de La Blache-L. Gallois (Géogr. Univ.), si può ricorrere utilmente a vecchie opere, quali: P. de Semenov, Russie extraeuropéenne et polaire, Parigi 1900; A. Stirne, Sibirien, Lipsia 1912, e soprattutto a quella, molto suggestiva e più volte ristampata, di F. Nansen, Sibirien, ein Zukunftland, 3ª ed., ivi 1924.
Ricca è la letteratura scientifica sulla geologia, la morfologia e il paesaggio; cfr. in special modo: A. W. Obrutschew, Geologie von Sibirien, Berlino 1926; L. Gallois, La structure de l'Asie orientale, in Ann. d. Géogr., XIV (1905), pp. 245-258; J. G. Granö, Morphologische Forschungen im östl. Altai, in Zeitschr. d. Gesellsch. f. Erdk. zu Berlin, 1914; id., Les formes du relief dans l'Altai russe et leur genèse, in Fennia, XL, Helsingfors 1917; A. Borisjak, Geologičeskij očerk Sibiri (Schizzo geologico della Siberia), Leningrado 1923.
Sul clima, cfr.: S. Novakowsky, Climatic provinces of the Far East in relation to human activities, in Geogr. Review, XXII (1922); W. B. Schostakowitsch, Warme und Kalte Winter in Sibirien und ihre Abhängigkeit von dem Zustand des Golfstromes, in Meteor. Zeitschr., 1925, gennaio; id., Der ewig gefrorene Boden Sibiriens, in Zeitschr. d. Gesell. f. Erdk. zu Berlin, 1927, nn. 7-8; id., Vskrytie i zamerzanie vod v Aziatskoj Rossii (Disgelo e congelamento delle acque in Russia), Pietroburgo 1908; e Kom. po izučeniju estestv. proizvodit sil S. S. S. R. (Comm. per lo studio delle risorse naturali dell'U. R. S. S.); Večnaja merzlota (Il sottosuolo perpetuamente congelato), Mosca 1930.
Le condizioni della vegetazione sono ben riassunte in N. Kuznecov, Opyt delenija Sibiri na botaniko-geografičeskija provincii (Saggio di una partizione della Siberia in regioni fitogeografiche), Pietroburgo 1912; V. L. Komarov, Rastitel′nost′ Sibiri (La vegetazione della Siberia), Leningrado 1924; W. B. Schostakowitsch e P. Fickeler, Waldbrände in Sibirien (1915), in Peterm. Mitteil., 1926, pp. 112-18; E. von Kapherr, Drei Jahre in Sibirien als Jäger und Forscher, Berlino 1919; P. P. Suškin, Oblik fauni vostočnoj Sibiri i svjazannye s nim problemi istorii zemli (Condizione della fauna della Siberia orientale e problemi geologici che le son connessi), Pietrogrado 1921.
Sulla colonizzazione russa in Siberia, cfr.: E. Blanc, La colonisation et la mise en valeur de la Sibérie et de la steppe asiatique, in Ann. de Géogr., XXV (1916), pp. 124-42; J. H. Seraphim, Die ländliche Besiedlung Westsibiriens durch Russland, Jena 1923; V. A. Baikalov, The Conquest and Colonisation of Siberia, in The Slavonic and East European Review, X (1932), pp. 537-71; W. K. Arseniew, Russen und Chinesen in Ostsibirien, Berlino 1926; sull'economia: K. Wiedenfeld, Sibirien in Kultur und Wirtschaft, Bonn 1916; R. Pohle, Sibirien als Wirtschaftsraum, ivi 1921; F. Kolarik, Wirtschaftliche Struktur Westsibiriens, Berlino 1935; P. W. Dankwortt, Sibirien und seine wirtschaftliche Zukunft, in Quellen und Studien d. Osteuropa Instit. Breslau, Lipsia 1921 (VII, ii); A. W. Tschajanoff, Die Landwirtschaft des Sowjetbundes: Ihre geographische, wirtschaftliche und soziale Bedeutung, Berlino 1926; O. Goebel, Volkwirtschaft des westbaikalischen Sibiriens, ivi 1910; id., Volkwirtschaft des ostbaikalischen Sibiriens, ivi 1910; P. P. Goodkoff, Economic Geography of the Coal Ressources of asiatic Russia, in Geogr. Review, XIII (1923), pp. 283-93; P. Popow, Sibiriens Aussichten in der Industrie, Berlino 1913; E. Thiel, Verkehrsgeographie von russisch Asien, Königsberg 1935; G. Krahmer, Sibirien und die grosse sibirische Eisenbahn, Lipsia 1900; A. J. Dmitriew-Mammonow, Führer auf der grossen sibirischen Eisenbahn, ecc., Berlino 1901.
Questioni razziali: S. Sommier: Sirieni, Ostiachi e Samoiedi dell'Ob, in Arch. per l'antrop., XVII, Firenze 1887; S. Rudenko, Mensurations anthrop. sur les peuplades du Nord-Ouest de la Sibérie, in Bull. Soc. Anthrop., Parigi 1914: K. Hildén, Anthrop. Untersuchungen über die Eingeborenen des russischen Altai, in Fennia, XLII (1920); R. Biasutti, Popolazioni del Pacifico settentrionale, in Arch. per l'antropologia, XLIX, Firenze 1909; Y. Koganei, Zur Frage der Abstammung der Aino, in Anthrop. Anzeiger, IV, Monaco 1927; A. Zaborowski, Les Kurganes de la Sibérie occidentale, in Bull. Soc. Anthrop., IX, Parigi 1898; G. Montandon, Au Pays des Ainou, ivi 1927.
Popoli e culture: M. A. Czaplicka, Aboriginal Siberia, Oxford 1914; W. Jochelson, Peoples of Asiatic Russia, 1928; B. Laufer, The Reindeer and its Domestication, in Mem. Amer. Anthrop. Ass., IV, Lancaster 1918; W. G. Bogoras, Reindeer Breeding in northern Eurasia, in Proceed. XIIIth Intern. Congress of Americanists, New York 1930; N. P. Dyrenkova, Bear Worship among Turkish Tribes of Siberia, ibid.; G. Nioradze, Der Scamanismus bei den sibirischen Völkern, Stoccarda 1925; R. Karutz, Die Völker Nord- und Mittelasiens, ivi 1925.
Siberia occidentale e centrale: F. H. Müller, Der ugrische Volkstamm, Berlino 1837; S. Sommier, Un'estate in Siberia, Firenze 1885; N. M. Yadrintzev, The Altai and its Natives, Pietroburgo 1885; H. Findeisen, Neue Untersuchungen und Materialien zum Problem der westsibir. Altasiaten, in Zeitschr. für Ethnol., LIX, Berlino 1927.
Siberia orientale e Paleoasiatici: W. Arseniew, In der Wildnis Ostsibiriens, Berlino 1924; S. Bergman, Through Kamtchatka by Dog-sledge and skis, Londra 1927; W. Bogoras, The Chukchee, in Jesup Expedition, VIII (1905-10).
Sulla recente partizione amministrativa della Siberia, cfr.: A. Radó, Der neueste Stand der politisch-geographischen Einteilung der Sowjetunion, in Peterm. Mitteil., LXXX (1935), pp. 13-16 e 60-63, e G. Pullè, Movimento demografico e distribuzione della popolazione nell'U. R. S. S., in L'Universo, XVI (1935), pp. 1035-44.
Solo una piccola parte dell'immenso territorio siberiano è rilevato in carte topografiche a piccola scala: le lacune maggiori sono, naturalmente, nelle regioni settentrionali e nell'estremo NE. Quest'ultimo settore è stato oggetto tuttavia, in questi ultimi anni, di replicate ricognizioni, per via aerea e terrestre; cfr. in proposito gl'interessanti scritti di S. Obrutschew, Die Erforschung des Tschuktschen-Gebietes vom Flugzeug; 1933, in Peterm. Mitteil., LXXX (1934), pp. 293-295; S. V. Obruchev e K. A. Salishchev, The mountain systems of Northeastern Asia, in Geogr. Review, XXV (1935), pp. 624-42 e V. A. Bruchev, The Yablonovi and Stanovoi Ranges in the Light of new data, in Geogr. Journal, LXXXVI (1935), pp. 422-40.
La carta più dettagliata della Siberia è quella detta delle 10 verste (1 : 420.000) in 136 fogli dell'Istituto Geografico militare russo, completata fra il 1890 e il 1920. Su questa soprattutto si fondano le molte riduzioni a scala maggiore. Buona la Administrativnaja Karta S. S. S. R. (Azjatskaja čast′) alla scala 1 : 3 milioni, edita a Leningrado nel 1924.
Storia.
Pirati fluviali di Novgorod e cacciatori di pellicce si spinsero sin dal sec. XI lungo il corso inferiore dell'Ob e sino all'Oceano Glaciale Artico. Dopo l'annessione di Novgorod (fine del sec. XV) lo stato moscovita si affermò nella regione posta a nord-est della Russia europea. Con la campagna contro gli Jugri e i Voguli (1499-1502) s'inizia il dominio di Mosca sulla Siberia. I paesi siberiani Ingri, Obdori e Condini appaiono già nel primo quarto del sec. XVI nei titoli degli zar. Già prima della conquista della Siberia esisteva un attivo traffico terrestre e marittimo con la Siberia. L'annessione dei khānati di Kazan′ e di Astrachan (1552-1556) e la colonizzazione immediatamente seguita dei territori di Perm′ servirono di base alla vittoriosa spedizione Ermak (1580-81), promossa dallo Stroganov, nella Siberia vera e propria, oltre gli Urali settentrionali. Nel 1581 fu conquistata Isker (Sibir′) sull'Irtyš, residenza del khān Kučum. Alla fine del sec. XVII i Russi raggiunsero la costa nord-occidentale dell'Oceano Pacifico, compreso il Camciatca. I capitani di queste ardite spedizioni, cioè un Pojarkov, Chabarov o Semen Dežnev si possono annoverare tra i grandi esploratori. Alla schiera dei pionieri indipendenti seguiva l'organizzazione militare e amministrativa del governo moscovita, fondando basi d'appoggio quali Tiumen′ (1586), Tobol′sk (1587), Berezov (1593), Mangazeja (1600), Tomsk (1604), Enisejsk (1618), Krasnojarsk (1628), Jakutsk (1632), Irkutsk (1652). La rapida avanzata dei Russi in Siberia si spiega con il fatto che, nelle vaste distese siberiane, si trovarono di fronte a un miscuglio di popolazioni, la cui organizzazione statale e sociale non era molto evoluta, e che quindi non si potevano opporre ai Russi con energia. Solo nell'estremo nord-est, sul medio corso dell'Enisej e sul Grande Oceano i Russi si trovarono di fronte agli autoctoni siberiani (antichi asiatici); nella Siberia occidentale incontrarono Samoiedi, Ungro-Finni (Ostiachi, Jugri, Voguli) e Turco-Tatari (Turalinci, Tobol-Irtyš-Tatari), nella Siberia occidentale e meridionale Kirghisi (Kighizi, cinese: chakas), popolazioni turco-tatare e tribù turchizzate, sulle due rive del lago Bajkal Buriati Mongoli, nella Transbaicalia e nel bacino dell'Amur tribù tunguso-manciure e finalmente nella Siberia orientale s'imbatterono nei Tungusi e sul medio arco della Lena negli Jakuti. I monti dell'Altai fungono quindi da linea di confine tra l'influenza turco-islamica d'occidente e quella lama-mongolica d'oriente. Agli inizî del sec. XVIII la Cina aveva diritti di sovranità su tutti i territorî stendentisi fino alla linea che dal lago Bajkal va a Tobol′sk. I trattati russo-cinesi di Nerčinsk (1689), Kjachta (1727), Aigun (1858) e Pechino (1860) sono le pietre miliari della penetrazione russa in Estremo Oriente. Nel sec. XVIII il commercio con la Cina attraverso la Siberia fu per decennî un monopolio di stato.
Nel corso dei secoli XVI e XVII lo sfruttamento degli animali da pelliccia fu esercitato dall'amministrazione statale come un'impresa industriale; alla fine del sec. XVII i tributi siberiani costituivano un terzo delle entrate statali complessive. Nel sec. XVIII e nella prima metà del XIX si aggiunsero lo sfruttamento dei tesori minerali siberiani (ferro, oro); i colossali giacimenti negli Urali, nell'Altai e in Siberia, cosiddetti "proprietà del gabinetto" rappresentarono una delle più considerevoli entrate della casa regnante. Gli operai impiegati nelle miniere e nelle industrie siberiane erano generalmente servi della gleba e in gran parte condannati, finché dal sec. XVII in poi la Siberia fu la regione preferita per le deportazioni. Capi-popolo, liberi pensatori, settarî, prigionieri di guerra nei secoli XVII e XVIII, nobili polacchi, intellettuali implicati in moti politici, operai e contadini socialisti nei secoli XIX e XX sino alla caduta dello zarismo dovettero percorrere la lunga via alla Siberia: in tutto, dal 1807 al 1899, 864.000 persone.
La stretta dipendenza tra la colonizzazione dei territorî del Volga e del Kama e la penetrazione russa in oriente stabilita nell'organizzazione dell'Amministrazione centrale di Mosca si rivela nel 1599, quando il disbrigo degli affari siberiani fu affidato alle amministrazioni di Kazan′, alla "Corte di Kazan′". Nel 1637 la Siberia ebbe una propria amministrazione; finalmente nel 1710 si costituì un governo speciale per la Siberia. I pieni poteri di cui godevano gl'impiegati russi inviati in quelle lontane terre coloniali, favorì l'arbitrio famigerato dei "satrapi siberiani". Nel sec XIX il Comitato siberiano, poi il Comitato degli affari della Transiberiana esercitarono una forte influenza sull'amministrazione. Il debole vincolo esistente tra la Siberia e il governo centrale favorì la formazione di alcune correnti particolaristiche nel corso dei secoli XVIII e XIX. L'esplorazione sistematica della Siberia da parte di spedizioni scientifiche s'iniziò nel sec. XVIII; vanno ricordati G. F. Müller, J. E. Fischer, Bering, Gmelin, Georgi, Pallas.
La costruzione della grande ferrovia siberiana iniziatasi il 19 maggio 1891, terminata il 1° gennaio 1906 con una spesa di 385 milioni di rubli, provocò una straordinaria emigrazione verso la Siberia. Mentre nel corso di tre secoli la popolazione russa in Siberia era salita a soli 4 milioni e mezzo, solo nel 1895-1910 tre milioni di Russi si trasferirono oltre gli Urali; gli abitanti di Omsk, ad es. salirono tra il 1897 e il 1910 da 37.400 a 129.000, quelli di Tomsk da 51.200 a 111.400.
Dopo la rivoluzione bolscevica la Siberia divenne uno dei centri della controrivoluzione, che poté appoggiarsi su una classe di possidenti rurali e urbani abituati a un'amministrazione autonoma. Da Vladivostok partirono contingenti alleati, specialmente giapponesi e americani, avanzando lungo la Transiberiana per assicurare il trasporto delle legioni cecoslovacche dalla Russia europea all'estremo oriente. Sotto la pressione delle legioni e dei rappresentanti dell'Intesa si costituì nel "direttorio" l'unione degli stati e delle truppe antibolscevichi nel territorio siberiano: cioè il comitato dell'assemblea costituente, formatosi in Samara, il governo provvisorio siberiano sorto dalla duma regionale di Tomsk, i Cosacchi degli Urali e di Orenburg, i governi dei distretti degli Urali, i rappresentanti dei Kirghisi e Baschiri della Conferenza statale in Ufa (settembre-ottobre 1918). Il governo del direttorio fu sostituito il 18 novembre 1918 con la dittatura dell'ammiraglio Kolčak. Non riuscì a questo d'imporre la sua autorità agli atamani cosacchi sul tipo Semenov o barone Ungern-Sternberg (Cosacchi del Transbajkal) o Kalmykov (Cosacchi dell'Ussuria). Nonostante gli aiuti materiali forniti dall'Intesa, Kolčak dovette ritirarsi nell'anno 1919 sempre più verso l'oriente. Omsk cadde nel novembre 1919 in mano dei bolscevichi, Tomsk nel dicembre, l'ammiraglio consegnato dai Cèchi al nemico, fu fucilato il 7 febbraio 1920 in Irkutsk. Dopo che i contingenti dell'Intesa ebbero sgombrato la Siberia, con l'annessione all'U. R. S. S. (novembre 1922) della repubblica dell'estremo oriente, stato cuscinetto tra la Russia sovietica e il Giappone, si riaffermò la sovranità del governo centrale russo in Siberia, quale esisteva prima della guerra mondiale.
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