SICILIA, REGNO DI, PORTI
Alla fine del Regno normanno il sistema portuale era incardinato essenzialmente sui porti di Bari, Brindisi, Otranto, Taranto, Messina, Catania, Milazzo e Palermo, che già al tempo del geografo arabo al-Idrīsī erano attivi e attrezzati per la costruzione di piccole e grandi imbarcazioni (al-Idrīsī, 1994, p. 96).
Tra questi avevano particolare rilievo il porto di Brindisi, considerato sin dai tempi del Guiscardo il più sicuro per essere ben riparato dai venti, e quello di Messina, che, secondo al-Idrīsī, ospitava un arsenale ed era "un'autentica meraviglia", poiché "non vi è nave, di qualsiasi stazza essa sia, che non possa gettar l'ancora nei pressi della spiaggia in modo da procedere allo scarico delle merci passandole di mano in mano fino alla terraferma" (ibid., p. 36). Inoltre vi era una costellazione di piccoli porti, più propriamente approdi (Scalea, Amantea, Gallipoli, Nardò, S. Nicola di Petrola, Torre Pozzelli, a 12 miglia da Brindisi, S. Vito-Polignano, Porto S. Felice-Mattinata), e di ancoraggi per piccole imbarcazioni alle foci dei fiumi navigabili che fornivano un naturale riparo dai venti (il Garigliano, il Neto, il Sinni, il Saturo presso Taranto, il Tronto).
Sino agli anni Trenta del sec. XIII nel Regno federiciano persiste il quadro portuale normanno, diversificato in porti statali amministrati dalla burocrazia imperiale e porti monastici gestiti da potenti abbazie per antichi e nuovi privilegi ottenuti dalla pubblica autorità. Non si hanno notizie di porti feudali. Sino a questa data (1239-1240) non sono documentati particolari interventi di manutenzione: anche i porti maggiori presentavano cale e darsene fatiscenti che non consentivano la normale agibilità se il 23 gennaio 1240 l'imperatore, dando impulso alle opere di consolidamento e di rinnovamento portuali, fece riparare soprattutto le darsene che assicuravano i rifornimenti dei suoi castelli dalla parte del mare, come a Brindisi, dove fece consolidare e murare quelle prospicienti il castello (Historia diplomatica, V, 1, p. 686).
Sullo scorcio del 1239 le opere di miglioramento delle strutture portuali riguardarono anche l'ampliamento o il completamento di alcuni importanti arsenali del Regno: Gaeta ebbe una consistenza portuale di tre taride e una barchetta, Amalfi di una galera e una barchetta, Salerno di una tarida, una galera e una barchetta, Napoli di sei-otto galere (ibid., pp. 576-577). Sempre alla fine del 1239, si cominciarono a costruire nuovi porti mercantili alla foce del Garigliano, a Vietri, Pozzuoli, Pescara, Regulis, S. Cataldo di Bari, Torre di Mare (Metaponto), Bivona (Vibo Valentia), Cotrona (Crotone), Augusta e Trapani, per i quali nell'ottobre del 1239 l'imperatore nominò una serie di custodi e notai (ibid., pp. 418-424). La custodia e l'amministrazione dei porti furono affidate ai maestri portolani (v. Magister portulanus), che dirigevano l'attività doganale, coadiuvati da custodi, scelti tra persone "provide e fedeli" e da notai che controllavano e registravano il flusso delle merci.
Federico prima del 1239 non si occupò mai di porti. Si spostava prevalentemente per le vie terrestri e solo in poche circostanze utilizzò i porti: nel mese di giugno 1216, quando con sei galere si spostò da Messina a S. Eufemia (ibid., I, 2, p. 895), e il 28 giugno 1228 "in vigilia Sancti Petri", quando con quaranta galere uscì dal porto di Brindisi diretto in Terrasanta; cabotando lungo la costa pugliese, "in festo Sancti Petri" raggiunse il porto di Otranto, da dove, guadagnato il mare aperto e sospinto da venti favorevoli, navigò verso il porto di Atthanos (Fanu), e via via per 15 miglia verso l'isola di Corfù (antica Corcyra) e il "Portus Guiscardi" nell'isola di Cefalonia, che raggiunse il 2 luglio 1228 (ibid., p. 898).
I porti pugliesi dell'Adriatico ebbero particolare rilevanza per le rotte verso l'Oriente e la costa dalmata: il porto di Brindisi fu utilizzato dallo stesso Federico nei suoi spostamenti verso l'Oriente (Riccardo di San Germano, 1868, p. 70) e quello di Bari, identificato sin dal sec. XVII come "portus sancti Nicolai" (Theotonius, 1980, p. 34) e molto attivo sin dal II sec. d.C. per effetto dell'ammodernamento della via di Minucio da parte di Traiano, ebbe notevole impulso dai pellegrinaggi in Terrasanta, dal commercio con l'Oriente da cui s'importavano drappi di lino e dalla frequentazione di amalfitani, ravellesi e pisani, coi quali tra il 1218 e il 1221 furono stipulati trattati commerciali. Bari tuttavia non raggiunse mai l'importanza dei porti di Brindisi, di Otranto e di Messina (Historia diplomatica, VI, p. 67). Messina, infatti, ebbe un ruolo centrale per le rotte nel Mediterraneo e, in particolare, nel collegamento con Napoli e Gaeta, quest'ultima dotata di un arsenale e di un porto "ben riparato e chiuso fra terre e mare" (al-Idrīsī, 1994, p. 90). Nel resto del Regno erano attivi i porti di Taranto e Napoli, anche se quest'ultimo in età federiciana non aveva importanti funzioni militari e commerciali e fungeva da scalo tecnico per le rotte verso la Sicilia e il Nord. Infatti, anche se sulla rotta meridionale fu rilevante la navigazione di cabotaggio "non si deve pensare che questo movimento abbia avuto già alla fine del XIII secolo, in alcun modo, la portata che assumerà dopo, per l'enorme sviluppo demografico e il correlativo incremento dei consumi della Napoli capitale e metropoli del Regno" (Galasso, 1993, p. 35).
Lungo la rotta di cabotaggio tra Napoli e Messina, il porto di Salerno, fagocitato da quello di Vietri, registrò una scarsa attività e solo con Manfredi ottenne l'ampliamento e la ristrutturazione degli arsenali (Figliuolo, 1993, p. 222). Il porto di Vietri, del resto, era molto attivo e frequentato da navi mercantili, provenienti dalla Sicilia, dalla Calabria, da Roma, da Genova e persino dalla Francia, che pagavano il diritto di ancoraggio all'abbazia cavense.
Infatti alcuni diritti sui porti, specialmente sugli approdi marittimi e fluviali, venivano ceduti a monasteri legati all'imperatore da familiaritas. All'abate cavense Balsamo nel febbraio 1221 Federico II confermò una serie di privilegi tra cui la riscossione del plateatico e del portunatico nei porti di Fonti e Vietri e il possesso di alcuni porti minori (Historia diplomatica, II, 1, p. 121). Dal "Regolamento dei porti", consistente in quindici articoli che occupano le cc. 15A, 15B e 16A del registro dell'abate Balsamo, si possono conoscere il volume di traffico marittimo e le tariffe di ancoraggio per il grande naviglio e di falangaggio (diritto pagato per ormeggiarsi a pali piantati in prossimità della riva) per le imbarcazioni leggere nei porti del monastero tra Vietri e Cetara. Le tariffe di ancoraggio variavano a seconda della portata delle navi e della loro provenienza. Se le navi che scaricavano merci erano napoletane versavano 10 tarì, se sorrentine o amalfitane 9 tarì, se provenivano da Gaeta, dalla Calabria o dalla Sicilia 12 tarì. Le navi che caricavano nocciole, castagne, legname, frutti e altri prodotti pagavano 7 tarì se erano del Regno di Sicilia, 12 tarì se provenivano da fuori. I vascelli pisani e genovesi, romani o di altri porti italiani pagavano 6 soldi se superiori ai 7 colli di portata e 2 tarì per ogni collo se inferiori a 6 colli. Le navi di Scala e di Ravello pagavano 2 tarì per ogni collo (Vitolo, 1974, pp. 90-91, 114-115). L'imperatore concesse anche ad alcuni monasteri cistercensi, per esempio Fonte Laurato e l'abbazia florense in Calabria, diritti sui porti, come il portunatico, l'ancoraggio e il falangaggio (Historia diplomatica, I, 2, p. 873).
Il rinnovamento delle istituzioni portuali, l'ammodernamento delle darsene e la riduzione delle tariffe portuali operati tra il 1239 e il 1240 agevolarono il traffico corrente. Dai porti di Messina, Brindisi e Otranto si salpava per l'Oriente; dal porto di Taranto le imbarcazioni facevano rotta verso la Sicilia cabotando lungo le coste calabresi: la stessa salma di Federico II venne imbarcata a Taranto per essere trasferita a Palermo il 28 dicembre 1250 (Matteo Spinelli da Giovenazzo, 1868).
Alla morte di Federico la situazione portuale del Regno era notevolmente migliorata. Le prime carte nautiche, come la Carta pisana e il Compasso da navegare, facilitavano la navigazione, l'entrata nei porti, l'attracco o l'ormeggio, e tra i porti migliori, per la posizione secondo i venti e la facilità di attracco, segnalavano Messina, Palermo, Trapani, Crotone, Taranto, Otranto, Brindisi e Napoli; ma fu soprattutto sotto la monarchia angioina che, connessa con la vivacità commerciale e con l'attività militare, si realizzò una più proficua amministrazione e manutenzione delle strutture portuali.
Fonti e Bibl.: Historia diplomatica Friderici secundi; Matteo Spinelli da Giovenazzo, Cronaca, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, II, Napoli 1868, pp. 717-733; Riccardo di San Germano, Chronica, ibid., pp. 5-100; Acta Imperii inedita, I; Lo Compasso da navegare, opera italiana della metà del secolo XIII, a cura di B.R. Motzo, Cagliari 1947; G. Vitolo, Il Registro di Balsamo, decimo abate di Cava (1208-1232), "Benedectina", 21, 1974, nrr. 1-2, pp. 79-129; A. De Leo, Codice Diplomatico Brindisino, volume primo (492-1299), a cura di G.M. Monti, Bari 1977; Theotonius, Duo itinera ad terram Sanctam, in Itinera Hierosolymitana Crucesignatorum (saec. XII-XIII), a cura di S. De Sandoli, II, Jerusalem 1980, pp. 33-41; al-Idrīsī, Il Libro di Ruggero. Il diletto di chi è appassionato per le peregrinazioni attraverso il mondo, a cura di U. Rizzitano, Palermo 1994; Carte marine et portulan au XIIesiècle. Le liber de existencia riveriarum et forma maris nostri Mediterranei, a cura di P. Gautier Dalché, Roma 1995. A. Colombo, I porti e gli arsenali di Napoli, "Napoli Nobilissima", 3, 1894, fasc. I, pp. 9-12; fasc. III, pp. 45-48; fasc. V, pp. 72-74; fasc. VI, pp. 89-92; fasc. VII, pp. 105-108; fasc. IX, pp. 141-143; G. Yver, Le commerce et les marchands dans l'Italie méridionale au XIIIe et au XIVe siècle, Paris 1903; G.M. Monti, Sulla datazione dei capitoli italiani della 'Tabula di Amalpha', "Rivista del Diritto della Navigazione", 2, 1936, nr. 1, pp. 3-11; Id., Nota su alcuni documenti di diritto marittimo angioino, ibid., 5, 1939, nr. 1, pp. 3-16; M. Del Treppo, La marina napoletana nel medioevo: porti, navi, equipaggi, in La fabbrica delle navi. Storia della cantieristica nel Mezzogiorno d'Italia, a cura di A. Fratta, Napoli 1990, pp. 31-46; G. Cherubini, Gaeta, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle decime giornate normanno-sveve, Bari, 21-24 ottobre 1991, a cura di G. Musca, Bari 1993, pp. 249-267; P. Corsi, Bari e il mare, ibid., pp. 91-119; B. Figliuolo, Salerno, ibid., pp. 194-224; G. Galasso, Napoli e il mare, ibid., pp. 27-37; E. Pispisa, Messina, Catania, ibid., pp. 147-194; Andar per mare. Puglia e Mediterraneo tra mito e storia, a cura di R. Cassano-R. Lorusso Romito-M. Milella, ivi 1998; P. Dalena, Il porto di Taranto dai normanni agli angioini, in Id., Ambiti territoriali, sistemi viari e strutture del potere nel Mezzogiorno medievale, ivi 2000, pp. 107-123; Id., Torre di Mare nel Medioevo: habitat, viabilità, porto, in Torre di Mare I. Ricerche archeologiche nell'insediamento medievale di Metaponto (1995-1999), a cura di G. Bertelli-D. Roubis, ivi 2002, pp. 53-57.