Sicurezza dei pazienti e rischio clinico in sanità
La sicurezza dei pazienti e la gestione del rischio clinico sono punti critici per tutti i sistemi sanitari, impegnati nella definizione delle politiche e delle strategie, e rappresentano elementi centrali sia per la promozione sia per la realizzazione delle politiche di governo clinico nonché della qualità nei servizi sanitari.
Il tema della sicurezza dei pazienti si è sviluppato in primo luogo per dare risposte ad aspetti di tipo economico-sanitario correlati a contenziosi e vertenze medico-legali con conseguenti richieste di indennizzi, ma ben presto è stato riconosciuto come un elemento determinante nella qualità dell’assistenza e ha acquisito una valenza deontologica per gli operatori sanitari, costituendo pertanto un impegno per le organizzazioni del settore.
Al pari di altri sistemi quali le centrali nucleari, l’aviazione, la difesa, anche quello sanitario è un sistema complesso e può essere esposto a rischi correlati alle attività che vi vengono svolte. In ogni organizzazione sanitaria caratterizzata da un alto grado di complessità possono verificarsi errori potenzialmente dannosi per il paziente. Considerando che l’errore è una componente inevitabile della realtà umana, in ogni sistema possono determinarsi circostanze che ne favoriscono il verificarsi; è quindi fondamentale creare condizioni che riducano la possibilità di sbagliare (Reason 2000) e le conseguenze di un errore quando questo si sia verificato.
Il rischio clinico è stato definito dallo statunitense Institute of medicine come la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, e che sia causa di un prolungamento di tale periodo, di un peggioramento delle condizioni di salute o della morte (IOM 2000).
Definizione di errore e di evento avverso
Sono state proposte diverse classificazioni dell’errore in sanità, con l’intento di definire e condividere un lessico che consenta di individuare, in modo preciso e inequivocabile, il tipo di insufficienza manifestatasi nel sistema. La definizione del glossario e della tassonomia è stata individuata come impegno prioritario da parte delle organizzazioni internazionali (Organizzazione mondiale della sanità) e nazionali.
Una delle distinzioni più importanti è quella tra errore (o insufficienza) attivo ed errore (o insufficienza) latente. L’errore attivo è per lo più ben identificabile, prossimo in senso spaziotemporale al verificarsi dell’evento avverso; spesso è riconducibile a un’azione sbagliata commessa da un operatore o a un incidente dovuto a malfunzionamento di una strumentazione. Gli errori latenti sono invece, per lo più, insufficienze organizzativo-gestionali del sistema che hanno creato le condizioni favorevoli al verificarsi di un errore attivo; per es., la somministrazione di un farmaco sbagliato è un errore attivo, facilmente identificabile come comportamento non corretto, ma è necessario ripercorrere tutte le fasi del processo di lavoro per individuare le circostanze che, direttamente o indirettamente, lo hanno reso possibile. Infatti, nel caso di un errore di somministrazione farmacologica, potrebbero essere identificati come insufficienze latenti nel sistema una procedura di prescrizione e di trascrizione manuale della terapia, una modalità di conservazione dei farmaci che rende possibile lo scambio di fiale, oppure un insufficiente addestramento del personale. Alcuni errori sono stati già riconosciuti come riconducibili alle caratteristiche delle confezioni dei farmaci, per es. attribuzione di nomi facilmente confondibili, dosaggi e vie di somministrazione equivocabili. In attesa di soluzioni preventive generali, è necessario che ciascuna organizzazione adotti misure di tutela, perché solo attraverso opportune analisi è possibile identificare le cause di errore, attive e latenti, e ridisegnare i processi al fine di ridurre la probabilità che lo stesso errore si ripeta. La tabella 1 riporta alcune definizioni e tipologie di errore ampiamente accettate.
La maggior parte degli errori viene intercettata e non comporta il verificarsi di un evento avverso, il quale è il frutto della concatenazione di circostanze che portano a superare tutte le difese poste in atto nel sistema. Il verificarsi di un errore, quindi, non sempre si traduce in un danno per il paziente: per danno s’intende un’alterazione, temporanea o permanente, di una parte del corpo o di una funzione fisica o psichica (compresa la percezione del dolore), che richiede cure aggiuntive rispetto a quelle dovute fino all’eventuale decesso. Il danno può essere di differente gravità e, in particolare, sono definiti come danno grave la disabilità permanente, il coma, lo stato di malattia che determina prolungamento della degenza, un trauma maggiore conseguente a caduta del paziente, il trasferimento a un’unità di terapia semintensiva o intensiva, la ripetizione dell’intervento chirurgico, la rianimazione cardiorespiratoria, la richiesta di trattamenti psichiatrici e psicologici specifici in conseguenza di tentativi di suicidio o violenza subita nell’ambito della struttura e tutti gli errori trasfusionali da incompatibilità tra gruppi sanguigni. La tabella 2 riporta le principali definizioni e tipologie di eventi avversi.
Approccio sistemico
La gestione del rischio clinico deve tener conto del comportamento umano, che può essere modificato attraverso il miglioramento delle conoscenze e della formazione, nonché di quelle condizioni del sistema (inteso come insieme degli elementi umani, tecnologici e relazionali) che possono favorire il verificarsi dell’errore, individuandone le cause profonde e rimuovendole. L’approccio alla gestione del rischio clinico richiede un fondamentale cambio di paradigma, in quanto l’errore deve essere considerato come fonte di apprendimento per evitare il ripetersi delle circostanze che hanno portato a sbagliare. In tal senso è necessario promuovere una cultura dell’imparare dall’errore evitando invece di nasconderlo.
Per molti anni si è tentato di trasferire nel settore sanitario le procedure di sicurezza progettate per altri ambiti, ma al contrario di quanto accade in essi, caratterizzati da un’impronta prevalentemente ‘meccanicistica’, in questo prevale il fattore umano, al contempo risorsa e criticità. Vanno pertanto progettati specifici modelli di controllo del rischio clinico, con l’obiettivo di prevenire il verificarsi di un errore e, qualora questo accada, contenerne le conseguenze.
Come detto, spesso la possibilità che si verifichi un evento avverso dipende dalla presenza, nel sistema, di errori (o insufficienze) latenti, ovvero errori (o insufficienze) di progettazione, organizzazione e controllo, che restano silenti finché un fattore scatenante non li rende manifesti in tutta la loro potenzialità, causando danni più o meno gravi. Se gli errori attivi (errori umani, procedure non rispettate, distrazioni, incidenti di percorso) sono per lo più individuabili e riconoscibili come causa diretta e immediata di un evento avverso, un’efficace gestione del rischio clinico deve basarsi anche sull’individuazione degli errori latenti, poiché solo rimuovendo le insufficienze del sistema si riduce la probabilità che si verifichi un errore (attività di prevenzione) e si contengono le conseguenze dannose di quelli comunque verificatisi (attività di protezione).
La teoria degli errori latenti si fonda sul presupposto che, per un evento avverso che ha avuto luogo, ce ne sono stati molti altri che non sono avvenuti solo perché qualcuno o qualcosa (un operatore, la presenza di un controllo o di una barriera) lo ha impedito: sono i quasi eventi, o near miss (Nashef 2003), che si producono quando vengono superate tutte le difese del sistema. L’errore latente è stato descritto attraverso il modello elaborato da James Reason ‘del formaggio svizzero’ (Human error, 1990; trad. it. 1994), in cui ogni fetta di formaggio rappresenta uno strato difensivo dell’organizzazione, basato su fattori di diverso tipo (l’affidabilità dei sistemi ingegnerizzati o degli esseri umani, oppure controlli e procedure). Ogni strato idealmente dovrebbe essere privo di punti critici, ma in realtà in ognuno di essi, come appunto in una fetta di formaggio svizzero, esistono dei ‘buchi’, che possono aprirsi, chiudersi, spostarsi. La presenza di questi buchi di per sé non è sufficiente per il verificarsi di un incidente, che accade solo quando i buchi si trovano ‘allineati’ e permettono la cosiddetta traiettoria delle opportunità. Se i buchi fossero sempre allineati ci troveremmo di fronte a un sistema particolarmente soggetto a incidenti. I buchi sono invece disposti in modo casuale, vale a dire che ogni livello organizzativo ha criticità specifiche.
Metodi e strumenti per la gestione del rischio clinico
La gestione del rischio clinico, quale dimensione fondamentale della qualità dell’assistenza sanitaria, è un processo sistematico che comprende sia la dimensione clinica sia quella gestionale e che impiega un insieme di metodi, strumenti e azioni in grado di identificare, analizzare, valutare e trattare i rischi al fine di migliorare la sicurezza dei pazienti. La gestione del rischio clinico è infatti un processo che si sviluppa in più fasi: conoscenza e analisi dell’errore, individuazione e correzione delle cause di errore, analisi di processo, monitoraggio delle misure messe in atto per la prevenzione dell’errore, implementazione e sostegno attivo delle soluzioni proposte.
Diversi sono i metodi e gli strumenti per l’analisi dell’errore e la gestione del rischio sviluppati nel corso degli ultimi decenni a livello internazionale, soprattutto nei Paesi anglosassoni quali Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia, e introdotti con successo anche in molte realtà ospedaliere italiane. I metodi di analisi hanno la finalità di individuare le insufficienze nel sistema che possono contribuire allo scatenarsi di un evento avverso e di definire e progettare le idonee barriere protettive. Benché l’obiettivo finale sia comune, essi possono seguire fondamentalmente due diversi approcci che però non si escludono a vicenda. Secondo l’approccio proattivo, l’analisi parte dalla revisione dei processi e delle procedure esistenti, identificando, nelle diverse fasi, i punti di criticità. Questo approccio può essere utilizzato anche nella fase di ideazione e progettazione di processi, procedure e tecnologie per l’identificazione delle barriere protettive che siano in grado di ridurre la probabilità dell’errore umano/attivo. Nell’approccio reattivo, invece, l’analisi parte da un evento avverso che si è verificato e, a ritroso, ricostruisce la sequenza delle circostanze con lo scopo di identificare i fattori che hanno causato l’evento o contribuito al suo verificarsi.
Sono disponibili molti metodi per l’analisi degli eventi avversi, e ciascuno di essi differisce per scopo, punti di forza e criticità. La scelta del metodo o dei metodi impone di considerare alcuni elementi, tra i quali la necessità di effettuare valutazioni rapide, in quanto le informazioni non devono essere fini a sé stesse, ma devono costituire il necessario preludio per intraprendere iniziative efficaci. Pertanto, la raccolta dei dati non deve procrastinare l’azione e la soluzione del problema. L’adeguatezza del metodo è legata alle questioni da affrontare, alle risorse disponibili e al contesto di applicazione. I metodi basati su procedure standardizzate di raccolta di dati sono più efficaci rispetto a quelli che stimano la natura, la frequenza e l’impatto economico degli eventi avversi.
Sistemi di segnalazione e raccolta di informazioni
Un sistema di segnalazione efficace costituisce una componente essenziale di ogni programma per la sicurezza del paziente. L’obiettivo primario è quello di conoscere e apprendere dalle esperienze e dagli errori. Infatti non è il sistema in sé che può determinare un incremento della sicurezza, ma è il cambiamento a propiziarlo. La segnalazione ha come funzione principale quella di avviare un’indagine approfondita che porti all’identificazione delle insufficienze del sistema e quindi alla promozione dei necessari cambiamenti per prevenire il ricorrere dell’evento.
Dalla letteratura internazionale è possibile enucleare alcuni concetti di base che definiscono le caratteristiche ‘ideali’ dei sistemi di segnalazione, come descritto nella tabella 3. I sistemi di segnalazione, in base all’obiettivo principale, possono essere suddivisi in due principali categorie, quelli rivolti all’apprendimento e al miglioramento del sistema (sistemi learning) e quelli rivolti a rendere responsabili le varie organizzazioni rispetto alla segnalazione (sistemi accountability). La maggior parte dei sistemi di segnalazione sviluppati è orientata verso una delle due categorie; tuttavia gli obiettivi dei due sistemi non sono fra loro incompatibili.
I sistemi learning di solito sono volontari, disegnati per garantire un continuo miglioramento; le raccomandazioni elaborate dopo accurate analisi sono utili per ridisegnare e migliorare i processi sanitari riducendo errori e danni. Il sistema più noto è quello australiano, in cui 200 organizzazioni sanitarie inviano i dati all’AIMS (Australian Incident Monitoring System), promosso dall’APSF (Australian Patient Safety Foundation) facendo riferimento al sistema di classificazione degli eventi HIT (Healthcare Incident Type), che richiede informazioni dettagliate relativamente a tipologia dell’incidente, fattori contribuenti, esiti, azioni intraprese e conseguenze. Procedure di questo tipo sono state implementate anche in Giappone, in Gran Bretagna e in Italia (a opera del Ministero della Salute).
Per quanto riguarda i sistemi accountability, essi sono basati sul principio della responsabilità; la segnalazione è generalmente obbligatoria e spesso limitata a una lista definita di eventi, per es. gli eventi sentinella. I Paesi che hanno attivato un sistema di questo tipo sono la Slovenia, la Repubblica Ceca, i Paesi Bassi e anche numerosi Stati degli Stati Uniti, dove è diffusa una prassi in cui vi è l’obbligo di segnalare alcuni eventi gravi. L’efficacia di questi sistemi dipende dalla capacità di coloro che li gestiscono di indurre le organizzazioni a segnalare, analizzare e intervenire con appropriate misure correttive.
Altri metodi per la rilevazione del rischio clinico
Riunione sulla sicurezza (o briefing). Semplice e facile da usare per promuovere una cultura e un approccio condivisi alla sicurezza del paziente, è uno strumento che consente di creare un ambiente in cui la sicurezza del paziente viene vista come una priorità, in un clima che stimoli la condivisione di informazioni circa le situazioni, effettive o potenziali, di rischio per il paziente. Consiste in un breve confronto, una discussione colloquiale, ma strutturata, in merito ai potenziali rischi per il paziente presenti nell’unità operativa. In termini quantitativi permette una facile valutazione del raggiungimento di obiettivi di sicurezza, per es. attraverso la misurazione del numero di errori, dei problemi, degli eventi potenziali e dei rischi. Il briefing sulla sicurezza può fare riferimento a una lista standard di possibili rischi, deve essere di facile uso e applicabilità e non punitivo. La conduzione della riunione richiede la scelta di un moderatore capace di spiegare le ragioni e gli obiettivi.
Il briefing può essere effettuato all’inizio del turno di lavoro di un’unità operativa in un reparto ospedaliero, riunendo per pochi minuti tutti gli operatori e raccogliendo i problemi, i dati e le eventuali osservazioni (in caso di mancanza di situazioni specifiche è possibile fare riferimento a problemi potenziali). Al termine del turno di lavoro si effettua un’altra breve riunione (o debriefing).
Il metodo va adattato alle esigenze dell’unità operativa ed è efficace se sono garantite la regolarità e la continuità degli incontri e se vengono date risposte ai problemi che emergono. I vantaggi immediati sono rappresentati da maggiore responsabilizzazione nei comportamenti individuali, maggiore attenzione alla sicurezza dei pazienti, miglioramento del clima lavorativo e del lavoro di squadra.
Giri per la sicurezza. Questo metodo (noto anche come safety walkrounds) consiste in visite che i responsabili della sicurezza effettuano nelle unità operative per identificare, con il personale, i problemi legati alla promozione della sicurezza. Il personale viene invitato a raccontare situazioni, fattori causali o concomitanti, eventi evitati, problemi potenziali e possibili soluzioni. Un importante valore aggiunto del metodo deriva dal fatto che le informazioni raccolte in questo processo possono portare, talvolta, all’introduzione di un’immediata modifica che migliori il processo assistenziale e la sicurezza, consentendo di identificare le priorità e condividere le soluzioni con l’équipe clinico-assistenziale. La raccolta deve essere anonima e i problemi che emergono vengono inseriti in un data-base che registra le segnalazioni e le conseguenti azioni correttive.
Le modalità organizzative prevedono incontri fra gli esperti e un piccolo gruppo di personale o singoli operatori, presso le unità operative, della durata di pochi minuti, in cui si cerca di raccogliere le segnalazioni del personale in merito a situazioni di rischio. Coloro che conducono il safety walkround hanno una lista di domande e problemi a cui attingere, per facilitare e stimolare le segnalazioni e sottolineare l’importanza di questo processo. Fra le barriere più frequenti da superare vi sono la paura da parte degli operatori di essere puniti o colpevolizzati in qualche modo per avere effettuato la segnalazione, e la diffidenza e la mancanza di fiducia nelle conseguenti azioni correttive. È quindi molto importante fornire un feedback alle unità operative, in modo da rendere esplicite l’importanza attribuita alle segnalazioni e la considerazione con cui queste sono trattate. Deve essere chiaro, inoltre, che oggetto dell’indagine non sono i comportamenti individuali, ma i sistemi in atto per la sicurezza del paziente. Il metodo ha il vantaggio di essere a basso costo e di stimolare il personale a osservare comportamenti e pratiche in modo critico e a riconoscere i rischi e i cambiamenti necessari nel contesto specifico.
Focus group. Si tratta di una metodologia, tipica della ricerca sociale e introdotta da anni anche nella sanità, che serve per identificare tutti gli aspetti di un problema partendo dalle esperienze e dalle percezioni delle persone che con tale problema sono entrate in contatto. Consiste in una discussione facilitata, della durata di circa un’ora e mezza, condotta da un moderatore preparato, con la partecipazione di singole figure professionali, dell’intera équipe, dei pazienti, dei familiari e di altre persone interessate al problema (stakeholders). Durante la discussione possono emergere eventi avversi o quasi eventi, insufficienze latenti, nonché gli elementi essenziali che concorrono a determinare la cultura locale della sicurezza, utili per individuare le strategie più efficaci da introdurre nello specifico contesto.
Revisione di cartelle cliniche. Rappresenta uno dei metodi più impiegati per la valutazione della qualità, permette la valutazione di processi ed esiti e può fornire informazioni sull’uso di check-lists, protocolli terapeutici, comunicazione e documentazione. Il metodo è stato inizialmente sviluppato dalla California medical association alla fine degli anni Settanta, quindi utilizzato a scopi epidemiologici nell’Harvard medical practice study (Baker 2004) e successivamente nella maggior parte degli studi epidemiologici nei reparti ospedalieri. La revisione delle cartelle cliniche può essere utilizzata anche per valutare la prevenzione degli eventi avversi in seguito all’introduzione di nuove pratiche e per monitorare il livello di implementazione delle stesse. Le cartelle cliniche vengono revisionate in base a indicatori specifici per la sicurezza, tra cui la mortalità o altri esiti non desiderati. Il grado di rilevazione degli eventi attraverso questo processo è molto discusso e si basa sostanzialmente sulla qualità e quantità delle informazioni contenute nella documentazione. Ne consegue che le cartelle cliniche possono essere valide come screening per identificare dei casi, ma forniscono informazioni di contesto molto ridotte. Un’altra limitazione nell’utilizzo di questa tecnica è il suo costo elevato, la necessità di una preparazione omogenea dei rilevatori, delle griglie di lettura e delle relative modalità di rilevazione.
Revisione focalizzata. La selezione delle cartelle cliniche da sottoporre a revisione può essere focalizzata su un tipo specifico di evento e può identificare i punti critici del processo assistenziale. La revisione di una cartella clinica così orientata può far emergere non solo il verificarsi di un evento avverso, ma anche la correttezza dell’intero processo clinico-assistenziale.
Screening. Questo metodo ha lo scopo di identificare possibili eventi avversi utilizzando le banche di dati sanitari raccolti secondo i flussi informativi correnti, tra i quali le schede di dimissione ospedaliera, i sistemi di farmacovigilanza e quelli di emovigilanza. Le banche dati possono essere interrogate in modo retrospettivo o in tempo reale, utilizzando criteri di screening per individuare quelle condizioni che segnalano la necessità di ulteriori indagini al fine di accertare il reale verificarsi di un evento: per es., la prescrizione di un determinato antidoto può rappresentare un indicatore di un possibile evento avverso dovuto a farmaci, che richiede ulteriore approfondimento.
Osservazione diretta. È un metodo utile per scoprire errori in terapia e deve essere effettuata da un operatore addestrato e in grado di conoscere e analizzare l’intero processo terapeutico. Quanto osservato viene successivamente messo a confronto con il processo standard per identificare le eventuali discordanze. L’osservazione richiede molto lavoro e quindi ha costi elevati, ma offre molte informazioni che facilitano la comprensione, non solo rispetto all’accaduto, ma anche sul processo e sulle dinamiche che portano all’evento. È un metodo che può essere usato anche in modo discontinuo, compatibilmente con le risorse, sia per identificare le insufficienze del sistema sia per monitorare gli effetti delle azioni di miglioramento adottate.
Altre fonti di informazioni. Sono disponibili altri metodi che consentono di raccogliere informazioni relative alla sicurezza; tra questi, l’analisi dei reclami e sistemi specifici di sorveglianza, quali la farmacovigilanza, l’emovigilanza, la sorveglianza sui dispositivi medici e sulle infezioni ospedaliere.
Strumenti per l’analisi del rischio e degli eventi avversi
Sull’esempio di quanto effettuato da lungo tempo nelle industrie ad alto rischio, anche in sanità sono state applicate tecniche per l’analisi degli incidenti e degli eventi avversi, in quanto ciò costituisce la base per apprendere e prevenire. Tra tali tecniche, le più sperimentate sono l’analisi delle cause radice (RCA, Root Cause Analysis), l’audit clinico, l’audit degli eventi significativi (SEA, Significant Event Audit), il già citato sistema australiano di monitoraggio AIMS, la tecnica degli incidenti critici (CIT, Critical Incident Technique), il metodo di confronto con standard (CWS, Confronting With Standard) e l’analisi dei modi e degli effetti delle insufficienze (FMEA, Failure Mode and Effects Analysis, e FMECA, Failure Mode, Effects and Criticality Analysis).
Tra gli strumenti sopraindicati, i programmi di gestione del rischio clinico utilizzano più frequentemente alcune tipologie per l’analisi del rischio e degli eventi avversi, secondo due possibili approcci, uno di tipo reattivo, a seguito del verificarsi di un evento, e uno di tipo proattivo, analizzando i processi per evidenziare i rischi prima del verificarsi di un evento avverso. Alla prima categoria di strumenti appartengono il SEA e la RCA, alla seconda la FMEA: questi tre strumenti sono comunque tra loro complementari e possono essere utilizzati in maniera combinata.
Audit clinico
La parola audit (dal latino auditus -us «audizione, ascolto») fu utilizzata dapprima in ambito economico, quando i proprietari terrieri chiedevano ai loro amministratori di presentare rendiconti sull’uso delle risorse, in un determinato periodo di tempo. Il primo audit in ambito sanitario è quello descritto da Florence Nightingale, infermiera e statistica, nel 1854, durante la guerra di Crimea; la motivazione che la indusse a inventare questo metodo di valutazione era l’elevata mortalità dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico. Dopo l’applicazione del metodo di analisi, vennero introdotte rigorose procedure sanitarie standard e meticolose indagini statistiche. Grazie all’applicazione delle misure preventive, i tassi di mortalità si ridussero progressivamente dal 40% fino al 2%.
L’audit è un processo di revisione sistematica della pratica clinica rispetto a standard espliciti e concordati, con l’obiettivo di identificare le aree che necessitano di cambiamenti e di migliorare la qualità delle cure (NICE 2002). L’audit valuta l’uso delle risorse, l’esito delle prestazioni assistenziali e i loro limiti, la necessità di miglioramento e, se condotto in maniera coerente e rigorosa, può raggiungere gli obiettivi di migliorare la pratica clinica, garantire che i pazienti ricevano la migliore cura possibile (evidence-based), consentire un confronto con gli standard, migliorare il lavoro multidisciplinare (comunicazione-collaborazione), favorire l’ottimizzazione delle risorse disponibili e, infine, rappresentare un’opportunità di formazione e aggiornamento.
L’audit viene generalmente descritto come un processo ciclico, composto da varie fasi (v. figura), che sono di seguito illustrate. Innanzi tutto, la scelta del tema è di fondamentale importanza e può riguardare la valutazione di trattamenti, di servizi e di politiche sanitarie e relativi cambiamenti introdotti nelle organizzazioni. I criteri che possono identificare le priorità per l’audit sono la frequenza con la quale si verificano alcuni problemi, la gravità delle conseguenze di alcuni eventi avversi e la possibilità di porre in atto soluzioni o misure preventive. La definizione dello scopo e degli obiettivi dell’audit prevede di individuare gli intenti e gli obiettivi in modo dettagliato e specifico. L’identificazione degli standard è fondamentale, in quanto l’audit clinico è un’attività basata sul confronto con standard assistenziali definiti (di cure o di servizi attesi) con cui confrontarsi. Gli standard devono avere determinate caratteristiche, sintetizzate nell’acronimo SMART, ovvero devono essere Specific (correlati al tema), Measurable (concretamente definibili), Achievable (raggiungibili con le risorse disponibili), Research based (basati sulle evidenze) e Timely (attuali). La raccolta e l’analisi dei dati possono derivare dalla revisione della documentazione clinica, dalle interviste ai pazienti e/o allo staff, dall’uso di questionari e da informazioni desunte da sistemi di segnalazione. I dati vanno raccolti utilizzando metodi quantitativi, qualitativi o entrambi, e vanno sottoposti a un’analisi statistica descrittiva. L’analisi dei dati, effettuata in riferimento allo standard scelto, deve consentire di prendere decisioni appropriate, anche tenendo conto di tutte le opzioni a disposizione. Al termine della fase di analisi si dovrà elaborare un piano di intervento con raccomandazioni, azioni, responsabilità e tempistica. Il monitoraggio dei cambiamenti per valutare se sono stati ottenuti i risultati attesi prevede il cosiddetto re-audit, seguendo lo stesso processo dell’audit, da effettuarsi dopo che i cambiamenti sono stati introdotti e solo relativamente agli standard interessati nel cambiamento. L’audit può essere attuato effettuando revisioni fra pari, in cui un gruppo di clinici discute di singoli casi per valutare se siano state fornite le migliori prestazioni possibili, ovvero revisione di casi critici o eventi avversi in cui un gruppo di clinici revisiona casi che hanno avuto un esito inatteso o particolarmente grave, e infine tramite la valutazione dei pazienti, in cui vengono raccolte, mediante focus groups, informazioni dai pazienti rispetto alla qualità delle cure ricevute.
Analisi delle cause radice
L’analisi delle cause radice è uno strumento che consente all’organizzazione di conoscere le cause e i fattori che contribuiscono a determinare un evento avverso o incidente critico, offrendo la possibilità di sviluppare raccomandazioni e implementare azioni per il miglioramento del sistema. È un approccio sistematico che scava in profondità per conoscere le cause radice di un problema, e si basa su un corredo di tecniche e strumenti utili per investigare gli eventi avversi. La RCA è stata dapprima usata in ambito ingegneristico, per es. nell’aviazione e nell’industria aerospaziale, in quanto, da molti anni, in questi settori si è creata la necessità di sviluppare strategie per indagare gli incidenti gravi e per conoscere i fattori di alto rischio; in tal modo sono state alimentate banche dati in grado di raccogliere una quantità enorme di informazioni derivanti dall’applicazione di questa tecnica di analisi, e i dati raccolti hanno aiutato a conoscere le cause e i fattori contribuenti che hanno determinato gli eventi avversi.
Il sistema sanitario è simile alle suddette attività industriali per quanto riguarda l’affidabilità delle interazioni complesse e le comunicazioni fra gli individui, le attrezzature, i dispositivi e l’ambiente circostante, ma le organizzazioni sanitarie non raccolgono dati in maniera così estesa, stante la variabilità delle risposte umane e la molteplice combinazione di interventi. Diversi organismi internazionali hanno prodotto linee guida per condurre la RCA in ambito sanitario, tra questi la Joint commission, organizzazione indipendente e non-profit, che negli Stati Uniti accredita e certifica più di 15.000 organizzazioni sanitarie e alla quale viene riconosciuto un ruolo importante per lo sviluppo dei programmi di qualità, in quanto promuove l’adozione e il mantenimento di standard di performance nelle organizzazioni sanitarie. La conduzione di una RCA prevede un processo articolato in fasi successive, con domande poste secondo una sequenza logica, fino ad arrivare all’identificazione delle cause radice, rispetto alle quali non è possibile indagare ulteriormente.
I vantaggi della RCA sono rappresentati dal fatto che si tratta di un metodo di analisi orientato all’individuazione delle vulnerabilità del sistema e delle azioni correttive, piuttosto che a identificare colpe attribuibili a singole persone. Le principali criticità del metodo, invece, risiedono nella sua forte complessità, dato che esso richiede un notevole impegno di tempo e una formazione specifica e talora non consente di giungere a scoprire le cause radice.
Gli elementi essenziali per condurre in maniera efficace la RCA sono l’interdisciplinarità del gruppo di lavoro, il coinvolgimento di coloro che sono stati interessati dalla situazione oggetto di analisi, l’individuazione dei cambiamenti necessari al sistema e l’imparzialità nell’evidenziare potenziali conflitti di interesse. Le informazioni di cui si viene a conoscenza non devono essere divulgate e i livelli di riservatezza e protezione dei dati sono stabiliti a priori. La conduzione dell’analisi si avvale di alcuni strumenti quali il diagramma di causa-effetto di Ishikawa, detto anche a spina di pesce, e il diagramma ad albero, per visualizzare graficamente le relazioni. Il diagramma di Ishikawa assomiglia allo scheletro di un pesce in cui la testa rappresenta l’esito primario dell’evento avverso, le grandi spine rappresentano le cause di tale evento e le spine piccole i fattori che contribuiscono a tali cause. Il diagramma ad albero è una forma alternativa di diagramma di causa-effetto che può essere utilizzata in maniera efficace. Sono disponibili diverse classificazioni per raggruppare le cause; le principali categorie sono rappresentate da: comunicazione, addestramento, formazione, fatica e programmazione del lavoro, procedure e linee guida, ambiente e attrezzature e barriere. Il processo analitico prevede una serie di fasi: la costituzione del gruppo di lavoro, la raccolta delle informazioni, la revisione della letteratura, interviste e incontri per giungere alla spiegazione di quanto accaduto, identificazione dei fattori contribuenti e delle cause profonde, formulazione delle motivazioni causali e individuazione delle azioni correttive da intraprendere, compresa la definizione di indicatori di monitoraggio. L’obiettivo finale di una RCA è infatti lo sviluppo di azioni che riducano la probabilità che lo stesso evento si ripeta, in primo luogo eliminando tutte le circostanze che hanno permesso l’evento e, laddove non sia possibile, definendo i controlli più idonei per ridurre la possibilità di accadimento o per mitigare gli effetti. Il successo finale di qualsiasi processo di RCA dipende dalle azioni intraprese dall’organizzazione in risposta alle raccomandazioni del gruppo, le quali devono essere tracciate e monitorate.
Analisi dei modi e degli effetti delle insufficienze
La FMEA (o la FMECA, molto simile) è un metodo molto utilizzato per identificare le vulnerabilità dei processi con approccio proattivo. È un’analisi sistematica di tutti i problemi che possono manifestarsi, degli effetti conseguenti e delle relative cause correlate. L’obiettivo del suo utilizzo nei sistemi sanitari è quello di evitare incidenti che potrebbero causare danni a pazienti, familiari e operatori, diminuendo la variabilità dei processi, facilitando la corretta esecuzione delle attività e individuando le insufficienze appena accadono. È un metodo sistematico per esaminare un processo prospetticamente, con l’ottica di evidenziarne i possibili ‘buchi’ e quindi ridisegnarlo in modo più sicuro. Il metodo è stato ideato negli Stati Uniti nel 1949 dai militari, e applicato al mondo sanitario a partire dal 1990. È stato definito come uno strumento di prevenzione che identifica le aree deboli di un processo e sviluppa azioni protettive, con un approccio semiquantitativo che supporta le scelte individuando le priorità di intervento.
La metodologia si sviluppa in varie fasi che prevedono: la scelta del processo da analizzare, l’individuazione di un gruppo di lavoro multidisciplinare formato da esperti del processo che si vuole studiare, l’analisi del processo scelto, l’identificazione delle potenziali insufficienze, la determinazione delle possibili conseguenze, l’individuazione delle possibili cause, la stima della gravità, probabilità e rilevabilità, la determinazione dell’indice di priorità di rischio (IPR), la definizione e l’attuazione delle azioni preventive e, infine, la valutazione dell’efficacia degli interventi.
Il processo che viene analizzato con la FMEA deve essere scomposto in macroattività, ognuna delle quali viene a sua volta analizzata nelle sue singole fasi; per ciascuna fase vengono individuate tutte le possibili modalità di errore. Il passo successivo consiste nel valutare la probabilità che si verifichi un errore, la sua rilevabilità all’interno del sistema e la gravità delle sue conseguenze, al fine di effettuare la stima del rischio; a questo punto si assegna un punteggio a ciascuno dei parametri facendo riferimento a scale di valutazione definite, per es. scale di misura con punteggi che variano da 1 a 10, per assegnare le probabilità di occorrenza (P), rilevabilità (R) e gravità (G). Si calcola quindi l’IPR, che è dato dal prodotto dei tre valori precedentemente determinati, per cui IPR=P×R×G.
L’obiettivo della FMEA è quello di individuare gli ambiti nei quali i miglioramenti del processo sono maggiormente necessari. Infatti, le insufficienze individuate non sono tutte ugualmente prioritarie e quindi quelle che risulteranno con gli indici di rischio più elevati saranno considerate a più alta priorità di intervento. Un punteggio IPR elevato è l’espressione di una potenziale insufficienza che può provocare gravi conseguenze, ha un’elevata probabilità di accadere e ha scarse possibilità di essere scoperta prima di raggiungere il paziente.
Le soluzioni da proporre nel ridisegnare il processo possono essere indirizzate verso le componenti umane, tecniche o organizzative, e comprendere la semplificazione, l’automatizzazione, la standardizzazione, i meccanismi con sicurezza intrinseca, le funzioni forzate e la ridondanza.
Valore etico delle azioni di sanità pubblica e sicurezza delle cure
In ogni epoca e in tutte le culture l’etica è stata al centro delle attività sanitarie, ma la complessità dei sistemi sanitari moderni ha contribuito ad accentuare l’importanza di tale questione, le discussioni e i conflitti sui valori, i diritti, le responsabilità; i principi etici influenzano ormai le scelte e le priorità delle politiche sanitarie nei vari Paesi.
Esiste una stretta connessione anche tra etica e qualità delle cure. Infatti, la variabilità delle cure dipende da una molteplicità di motivazioni che comprendono fattori epidemiologici, fattori clinici, disponibilità di trattamenti e competenze, ma dipende anche dal modo di pensare degli operatori sanitari; inoltre l’etica e le ragioni morali sono il principale catalizzatore del cambiamento e giocano un ruolo fondamentale nella qualità dell’assistenza sanitaria. L’etica medica fornisce standard di comportamento e guida nella pratica clinica e nella ricerca, nella relazione con il paziente, con i colleghi e con la società, ispira i criteri per le scelte, le decisioni e le priorità; tutto questo indica la necessità di un codice deontologico che unisca i comportamenti e sia inteso come parte integrante della formazione dei professionisti. Il nuovo codice deontologico dei medici e degli odontoiatri propone un nuovo stile formativo e richiama quanto espresso dal Comitato nazionale di bioetica nel dicembre 2001 (Scopi, limiti e rischi della medicina, http://www.governo.it/bioetica/testi/141201. html, 13 aprile 2010), ovvero la necessità che la formazione comprenda aspetti sia scientifici sia etico-deontologici. In particolare, il nuovo Codice di deontologia medica dei medici chirurghi e degli odontoiatri, risalente al dicembre 2006, all’art. 14 pone l’attenzione sul tema della sicurezza dei pazienti e della prevenzione del rischio clinico: «Il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e contribuire all’adeguamento dell’organizzazione sanitaria, alla prevenzione e gestione del rischio clinico anche attraverso la rilevazione, segnalazione e valutazione degli errori. [...] Il medico a tal fine deve utilizzare tutti gli strumenti disponibili per comprendere le cause di un evento avverso e mettere in atto i comportamenti necessari per evitarne la ripetizione» (http://portale.fnomceo.it/PortaleFnomceo/showVoceMenu.2puntOT?id= 5, 13 aprile 2010).
I principi basilari dell’etica medica sono la beneficenza e la non maleficenza, il rispetto per l’autonomia del malato, la giustizia e l’integrità morale della professione. Il principio di beneficenza consiste nel dovere di rimuovere o prevenire un male o un danno e quello di non maleficenza nel dovere di non arrecare danno. In tema di sicurezza dei pazienti questi rappresentano i principi etici contro gli errori di omissione e di commissione. Inoltre, particolarmente rilevante è la regola di trasparenza, vale a dire assumersi la responsabilità di segnalare eventi avversi, quale fattore centrale per il cambiamento culturale e cardine del tema della sicurezza dei pazienti.
L’approccio sistemico al tema del rischio clinico presuppone un cambiamento culturale ed etico, con il passaggio da una responsabilità individuale a una di sistema: questo approccio solleva alcune questioni etiche, in particolare se il trasferimento delle responsabilità al sistema possa minimizzare quella individuale. Questo passaggio mette in evidenza la dicotomia tra la responsabilità retrospettiva e la responsabilità prospettica. La prima presuppone che chi ha commesso un errore sia responsabile; pertanto è attribuita agli operatori a diretto contatto con i pazienti e fa riferimento a modalità di lavoro basate sull’individualismo e non sul lavoro di squadra, e a modelli etici basati sull’autoregolazione dei professionisti. Viceversa, la responsabilità prospettica si riferisce non solo all’individuo, ma anche alla collettività e quindi, essendo non più individuale ma collettiva, si può dire che tutti siamo responsabili perché ciascuno ha un ruolo e un compito, tra loro integrati. Questo tipo di responsabilità individua un nuovo paradigma per gli eventi che accadono nei sistemi complessi, tale da orientare tutti coloro che agiscono nel sistema verso il miglioramento della sicurezza, specificando i doveri nel creare un ambiente più sicuro, in termini di azioni preventive, analisi degli errori, soluzioni correttive e obbligo di trasparenza. Questo approccio presuppone che tutti gli individui operanti nel sistema siano fortemente consapevoli, valorizzati e quindi responsabili (empowerment dell’individuo per migliorare il sistema): la responsabilità deve essere estesa a tutti i componenti del sistema, compresi coloro che esercitano il controllo e prendono decisioni. Inoltre, è opportuno che sia considerato anche il ruolo del paziente nella sicurezza delle cure. Vi è un generale accordo sul fatto che il paziente deve avere un ruolo centrale nel suo percorso di cura, ma la questione che si pone è se il paziente possa o meno essere considerato responsabile della sicurezza delle cure che riceve. Infatti i pazienti non sono i committenti di una prestazione, non hanno scelto la loro condizione di malati, ma devono avere un ruolo attivo nella sicurezza, che per essere esercitato richiede che essi siano messi nella condizione di agire, con le strategie e gli strumenti di coinvolgimento disponibili.
In sintesi, in riferimento ai principi etici, è necessario considerare nella gestione del rischio clinico alcuni punti operativi, tra cui riconoscere e lavorare entro i limiti della propria competenza, mantenersi costantemente aggiornati, conoscere e osservare norme, regole, linee guida, codici di condotta pertinenti con la propria professione, conoscere e rispettare le competenze, le responsabilità, gli incarichi dei colleghi, integrarsi nell’ambiente di lavoro e rispondere alle legittime attese dei pazienti.
Una strategia per affrontare i rischi e gli errori nelle strutture sanitarie dovrebbe inoltre comprendere la definizione e il monitoraggio di standard di qualità, il confronto e la discussione, lo sforzo per contrastare la cultura del sospetto, sistemi per riparare, ove possibile, le conseguenze degli errori, il supporto alle persone danneggiate e agli operatori che sono stati causa di danno, l’incoraggiamento di una cultura in cui l’errore possa essere apertamente riconosciuto e analizzato.
La comunicazione
La comunicazione ha un ruolo significativo in tutti gli ambiti della promozione della sicurezza per i pazienti; costituisce, infatti, un processo che determina efficacia, efficienza e produttività dell’organizzazione, ma contribuisce anche, se non appropriata, completa o trasmessa nei tempi e nei modi più opportuni, all’insorgenza di fattori di rischio. La comunicazione ricopre infatti un ruolo centrale nell’eziologia, nell’aggravamento e nel contenimento degli effetti degli errori in medicina. In particolare, la comunicazione con il paziente è centrale per l’efficacia dei processi di cura e per promuovere un rapporto di fiducia tra il paziente e l’équipe assistenziale. Oltre a ragioni etiche e deontologiche, una comunicazione trasparente e onesta degli errori e degli eventi avversi è essenziale per promuovere e rafforzare la relazione medico-paziente-équipe, per coinvolgere in modo consapevole il paziente stesso nelle eventuali modifiche del piano assistenziale. Il suo impiego è essenziale nelle attività di introduzione e gestione dei sistemi per la sicurezza e nell’effettuazione di indagini per l’accertamento dei processi determinanti, così come nell’identificazione e introduzione di misure correttive e di promozione dello sviluppo del sistema; favorisce inoltre a livello di professionisti e di organizzazione l’apprendimento dall’errore e il miglioramento della pratica clinica. La comunicazione va promossa a livello di sistema, ma anche resa competenza e strumento professionale di ciascun operatore e dirigente.
Quando si verifica un evento avverso, l’approccio nei confronti dei pazienti deve essere aperto e trasparente; debbono essere fornite le informazioni sull’evento accaduto e si debbono mitigare le conseguenze di questo. Può essere utile spiegare al paziente l’incidente, avviare un’immediata analisi dell’accaduto e fornire supporto fisico e psicologico. Il fattore che influenza maggiormente la comunicazione è rappresentato dalla correlazione tra errore e gravità del danno; pertanto, la modalità di comunicazione di eventi avversi si basa sull’evento, sulle cause, sugli esiti, sul personale coinvolto e sui bisogni e le preferenze dei pazienti o dei loro rappresentanti. Le aziende sanitarie devono elaborare un protocollo sulle modalità di comunicazione specifica degli eventi avversi, in modo da assicurare l’adozione di un comportamento omogeneo da parte di tutto il personale.
In particolare, è necessario che sia promossa un’efficace comunicazione interna, termine con il quale si intende la comunicazione intercorrente tra i professionisti all’interno del gruppo di lavoro, il gruppo di lavoro e la dirigenza ai vari livelli dell’organizzazione sanitaria, le diverse unità operative e le diverse strutture sanitarie. La comunicazione tra professionisti è vitale all’interno delle strutture sanitarie. Non è raro riscontrare nella realtà lavorativa ospedaliera situazioni di grave conflitto tra i colleghi che danneggiano il morale di chi lavora e la sicurezza dei pazienti, laddove sarebbe invece richiesto un forte spirito di collaborazione nella gestione di attività assistenziali orientate a ottenere i migliori benefici per i pazienti. Una delle aree critiche in cui vi è bisogno di sviluppare la comunicazione interna è proprio quella della gestione del rischio clinico e della sicurezza del paziente. L’errore può divenire un’importante occasione di apprendimento se comunicato e condiviso all’interno dei gruppi di lavoro. Il momento di comunicazione dell’errore è comunque delicato, perché nella cultura è radicata l’idea di responsabilità individuale. Quando avviene un errore, si è abituati a ricercare immediatamente un colpevole, piuttosto che le condizioni che lo hanno favorito. È necessario quindi un cambiamento culturale per riconsiderare l’errore come un’occasione di apprendimento anziché come una colpa, creando in tal modo i presupposti per la segnalazione spontanea e l’analisi degli eventi avversi. La maggiore difficoltà si riscontra nel segnalare ai colleghi, all’interno del gruppo di lavoro, che la propria performance ha comportato o avrebbe potuto comportare un danno per il paziente.
Una buona comunicazione interna e il lavoro di gruppo sono essenziali per il successo del programma di gestione del rischio clinico e più in generale per l’attuazione delle politiche di governo clinico. L’introduzione del briefing come metodologia organizzativa per lo sviluppo della cultura della promozione della sicurezza e come strumento per la prevenzione degli eventi avversi costituisce un’occasione importante di comunicazione interna. L’operatore sanitario che è stato coinvolto in un evento avverso dovrebbe comunicare l’accaduto al responsabile dell’unità operativa e/o al referente per la gestione del rischio clinico all’interno della stessa, laddove presente. I responsabili di struttura dovrebbero fornire un adeguato supporto a chi ha commesso l’errore e capire le origini cognitive e le condizioni di contesto che lo hanno favorito. La comunicazione degli eventi avversi può avvenire in forma scritta, tramite un’apposita scheda di segnalazione e secondo le procedure indicate dalla direzione aziendale, laddove presenti. Al fine di rendere sostenibile tale sistema di comunicazione, è necessario il massimo impegno da parte della dirigenza nel promuovere un effettivo coinvolgimento di tutti gli operatori, in modo tale da far percepire la comunicazione dei rischi come parte integrante del proprio lavoro, invece che come un carico burocratico aggiuntivo.
Strettamente correlata alla comunicazione è la tematica del coinvolgimento effettivo ed efficace dei vari portatori di interesse (stakeholders) nella promozione della sicurezza e nelle metodologie per la sua realizzazione effettiva. Il coinvolgimento deve far parte della visione aziendale, di dipartimento, di unità operativa, e deve essere previsto nelle strategie e nelle direttive e non lasciato esclusivamente alla buona volontà dei singoli. Infatti, soltanto azioni sinergiche potranno dare luogo a esiti favorevoli e a maggiore sicurezza per pazienti, personale, visitatori e altri soggetti che frequentano i servizi sanitari. Il coinvolgimento è un aspetto tecnico (e non solo generica buona volontà), che richiede competenza per effettuare scelte pertinenti rispetto alla singola persona, nonché adozione e impiego appropriato di metodologie e strumenti. È necessario che esso sia parte della formazione di inserimento dei nuovi assunti/trasferiti nei diversi servizi, oltre che di quella di base e continua degli operatori. Inoltre bisogna verificare l’efficacia delle diverse metodologie e costruire in ogni dipartimento un sistema per la raccolta di feedback da parte dei vari stakeholders; infine è necessario discutere nell’ambito dell’équipe del dipartimento/servizio metodologie e risultati, in modo da garantire che vi sia un costante apprendimento condiviso (organizzazione che apprende) e siano introdotti i conseguenti miglioramenti.
Conclusioni
La gestione del rischio clinico è un insieme di attività integrate tra loro che prevedono l’identificazione dei rischi, l’attivazione di un sistema di monitoraggio per la segnalazione e l’analisi degli eventi avversi, l’individuazione e l’applicazione di misure di contenimento, prevenzione e miglioramento.
A tal fine il Ministero della Salute ha istituito nel marzo 2003 una Commissione tecnica sul rischio clinico, che un anno dopo ha elaborato il documento Risk management in sanità. Il problema degli errori (http://www.medicalsystems.it/editoria/Caleidoscopio/CalPDF/199_CAL.pdf, 14 aprile 2010), contenente una serie di riflessioni e raccomandazioni per gli operatori del settore. Nel documento si afferma che «nell’ottica di ridurre gli errori è necessario individuare un modello organizzativo uniforme per la gestione del rischio clinico, elaborare direttive e Linee guida per la rilevazione uniforme degli errori e dei rischi di errori nelle strutture sanitarie, promuovere eventi di formazione per diffondere la cultura della prevenzione dell’errore, [...] sperimentare, a livello aziendale, metodi e strumenti di segnalazione degli errori, di raccolta ed elaborazione dei dati». Tutto questo dovrebbe avvenire tramite reti integrate a livello della singola struttura sanitaria, a livello regionale, nazionale e internazionale, onde essere in grado di gestire le informazioni ma anche di dare indirizzi e supporto per le iniziative da intraprendere nel settore.
Il modello organizzativo per la gestione del rischio clinico in ambito sanitario deve avvalersi delle competenze professionali presenti istituzionalmente, sinergicamente coordinate e opportunamente formate, il cui obiettivo finale ultimo è la sicurezza del paziente.
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