sicurezza del lavoro
sicurézza del lavóro. – La cruda aritmetica dei numeri documenta l’urgenza di un rinnovato impegno a favore della sicurezza dei lavoratori, supportato un diffuso consenso sociale. D’altra parte, quelle stesse statistiche, attestando un progressivo decremento nei numeri assoluti degli infortuni, dimostrano altresì che se molto resta da fare, non poco è già stato fatto: in particolare, la scelta di relegare all’interesse della storia lo schema regolamentare incentrato sul comando legislativo e sul correlativo dovere di obbedienza da parte del destinatario, la cui rigidità, indotta dalla decisione di confinare i doveri di diligenza nei limiti di quanto prescritto dalla legge, lo rendeva lacunoso e poco adatto a disciplinare con efficacia la fluida mutevolezza di quasi tutti i fattori di rischio rilevanti (art. 2 lett. s del d. lgs) decreteto legislativo n. 81/08, che d'ora in avanti sarà abbreviato con LsL). È infatti in prossimità dell’avvento di questo diverso modello regolamentare – incentrato sulla cooperazione tra pubblico e privato nell’identificazione dei rischi e nella loro gestione (art. 28 e 29 LsL) e sulla valorizzazione delle componenti organizzative degli obblighi di sicurezza (art. 30 LsL) – che l’interprete coglie incoraggianti miglioramenti nell’andamento degli indici degli eventi infortunistici. Sulla spinta del diritto comunitario prende quindi forma un cambiamento strutturale del quadro disciplinare, con significative implicazioni di rilievo costituzionale, nella misura in cui assegna all’autonomia privata compiti di tutela dell’interesse pubblico, e in termini di policy, nella misura in cui rischia di patrocinare soluzioni inidonee a conseguire il risultato atteso. Da entrambe le prospettive la scelta è stata criticata, sul presupposto che il legislatore ha così finito per mettere la volpe (l’agente di mercato auto-interessato) a guardia del pollaio (la tutela della salute dei lavoratori), per di più addossando al privato un compito da lui inesigibile, in conflitto con fondamentali direttrici costituzionali. Il registrato contrasto, non ha però trovato conforto nella giurisprudenza, né conferme nei dati statistici. Forse perché quel rischio trova un idoneo fattore di minimizzazione nella presenza di un efficace modello di condizionamento delle decisioni aziendali che, operando in modo articolato, si dimostra idoneo ad accorciare la distanza tra incentivi individuali all’adempimento e interessi sociali, contribuendo così a preservare l’integrità della sicurezza dei lavoratori. Compito che il sistema svolge senza necessità di ricorrere oltre misura alla leva della minaccia di pena, le cui ‘rozze’ modalità operative, se non limitate ai casi di risoluta refrattarietà del destinatario all’impegno preventivo, mal si adattano all’intima logica di funzionamento di un sistema di regole che aspira a tutelare la salute dei lavoratori attraverso il sistematico miglioramento organizzativo delle aziende e il costante coinvolgimento operativo dei loro vertici, esteso ben oltre il minimale obiettivo rappresentato dal rispetto di specifici obblighi e puntuali divieti, nella consapevolezza, però, delle obiettive difficoltà che gravano sulla piena funzionalità dell’impegno preventivo, anche in presenza di un’attitudine cooperativa del destinatario. Un pragmatico realismo di cui la riforma del 2008 ha fatto tesoro, confortata anche dalla positiva sperimentazione avviata dal d. lgs. 758/94. Il legislatore ha così trovato la forza di generalizzare la facoltà di estinguere le accertate infrazioni alla normativa antinfortunistica se il soggetto si adopera efficacemente per colmare dette lacune, riorientando la qualità dei propri presidi cautelari (art. 301 LsL). Una rinuncia selettiva della punibilità, salvi i casi in cui l’imperizia abbia causato un infortunio o un pericolo immediato (art. 14 LsL), che si innesta in un più ampio quadro di interventi finalizzati a valorizzare, per scopi regolativi, le capacità motivazionali proprie di adeguati sistemi di incentivazione, economica e non, del comportamento conforme; di interventi di riduzione dei costi connessi al corretto adempimento degli obblighi; di collaborazione diretta con enti pubblici nella programmazione degli interventi di messa in sicurezza dei luoghi di lavoro. Un fitto reticolo di strumenti disciplinari che rimane però presidiato, in caso di fallimento preventivo, dalla presenza di robuste fattispecie codicistiche che colpiscono la rimproverabile causazione di offese alla vita e all’incolumità fisica dei lavoratori (art. 589 e 590 cod. pen.) e che possono operare, come ben dimostra il caso Thyssen, anche con estrema durezza (art. 575 cod. pen.). La divaricazione tra la flessibilità preventiva della disciplina di settore e la rigidità punitiva delle fattispecie del diritto penale generale non va però enfatizzata. Lo dimostra il fatto che parte della giurisprudenza è oggi impegnata nel tentativo di ridurre progressivamente quel fossato, attingendo dalla filosofia operativa della LsL nuova linfa per ridefinire taluni dei passaggi logici necessari per declinare correttamente i generali criteri di imputazione della responsabilità individuale. Il buon esito di questo impegno è senz’altro auspicabile, al fine di aumentare il complessivo grado di razionalità del sistema ed evitare così di perpetuare, sebbene sotto diverse forme, la visione paleoottocentesca, foriera di irragionevoli conseguenze sociali, di chi afferma l’esistenza di una insanabile contrapposizione tra gli interessi della economia e (tutti) i valori della persona.