SIEPE (fr. haie; sp. seto; ted. Hecke; ingl. hedge)
Piantagione lineare (stretta, fitta e lunga) di piante ordinariamente arbustive, avente scopi diversi, ossia: impedire il passo alle persone e agli animali per proteggere terreni coltivati; adornare strade, viali o aiuole; difendere speciali colture da venti impetuosi, salsi o freddi, ecc. Generalmente le siepi sono vive, ossia formate da piante in vegetazione. Possono invece essere morte, ossia formate di legname, canne, fili metallici, o altro materiale convenientemente messo in opera. Le siepi vive sono frequentemente formate di piante spinose come: biancospino, marruca, spinacristi, agazzino o prugnolo, crespino, fico d'India, agave, robinia, ecc. Meno difensive, ma più ornamentali sono le siepi vive formate di arbusti inermi, prevalentemente sempreverdi, come: sambuchella o alaterno, ibisco, tamarice, ligustro, rosmarino, evonimo, lauroceraso, oleandro, bosso, tuia, Ficus beniamina, geranio, ecc. Per formare siepi molto alte, le più adatte come frangiventi, vengono talora usate piante arboree, come leccio, cipresso, olmo, ecc. La scelta delle piante viene fatta secondo il clima, il terreno e lo scopo cui la siepe deve servire. Da qualche tempo le siepi vive vanno perdendo sempre più della loro tradizionale importanza, perché in molti casi sono vantaggiosamente sostituite con siepi morte formate di rete metallica o filo di ferro spinato, fissati a supporti di cemento armato. Queste siepi costano, per l'impianto, più di quelle vive, ma presentano vantaggi notevoli per la più efficace chiusura, per la minore spesa di manutenzione e per la minima occupazione di terreno.
Il codice civile italiano contiene precise disposizioni circa le siepi. Trattandosi di siepi vive, formate cioè da piante in vegetazione (sambuchi, roveti, biancospino, ecc.) esse debbono esser piantate a distanza di almeno mezzo metro dal confine; la distanza è di un metro se le siepi siano di ontano, di castagno, o di altre simili piante che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e di due metri se si tratti di siepi di robinie (art. 579). Deve peraltro ritenersi che con la prescrizione trentennale si acquista il diritto di tenere una siepe viva a distanza minore della legale dal fondo del vicino. È posta poi nel codice italiano una presunzione legale di comunione per le siepi poste a confine tra due fondi: presunzione iuris tantum che viene esclusa dallo stesso art. 568, che la stabilisce, quando il fondo sia cinto, o vi sia termine di confine o prova in contrario. I diritti dei comproprietarî sulle siepi comuni sono regolati dalle norme della comunione per quanto riguarda i frutti della siepe (art. 675); per l'atterramento degli alberi sorgenti nella siepe comune provvede l'art. 569 che riconosce il diritto a richiederlo a ciascuno dei proprietarî. Non va riconosciuto però a uno di essi il diritto di chiedere l'abbattimento della siepe per sostituirvi a spese comuni un muro o fili metallici (art. 677, 683). Anche alle siepi è comune il diritto, che ha il proprietario, di costringere il vicino a recidere i rami di albero che si protendono sul suo fondo. Norme speciali sono dettate per le siepi relativamente alla polizia delle strade ferrate e acque pubbliche (art. 69, 73, 75, 168 legge sui lavori pubblici 20 marzo 1865, n. 2248; art. 72 t. u. 9 maggio 1912, n. 1447 all. F).
La legge affida ai pretori, quale che sia il valore delle controversie, le azioni per guasti e danni dati alle siepi e quelle dirette a ottenere l'osservanza delle distanze legali riguardo alle siepi, purché esperimentate entro l'anno dal fatto che vi diede origine (art. 82 n. 1 e 4 cod. proc. civ.).
Bibl.: A. Dickson, L'agricoltura degli antichi, in BIbl. di storia economica di V. Pareto, II, i, Milano 1905, p. 402 segg.; A. Lizier, L'economia rurale dell'età prenormanna nell'Italia meridionale, Palermo 1907, p. 9; C. Ferrini e G. Pulvirenti, Delle servitù prediali, I, Torino 1920, p. 576.