ARQUER, Sigismondo
Nacque a Cagliari (da famiglia che si diceva "de sangue noble y limpia de infaçones de Aragón", ma che apparteneva piuttosto al ceto borghese dell'alta burocrazia), probabilmente nel 1523. Il padre suo, Giovanni Antonio, godeva fama di "persona di grande qualità e dottrina", tanto da essere scelto come consigliere dal viceré Antonio de Cardona; i nobili più potenti e faziosi, che mal sopportavano di essere ostacolati nei loro inveterati abusi, erano riusciti a farlo imprigionare nel 1543 dal visitatore e commissario generale dell'Inquisizione, Pietro Vaguer, accusandolo falsamente prima di concussione e poi di complicità nel processo per negromanzia intentato contro lo stesso viceré. Mentre il padre soffriva nelle carceri del S. Uffizio, il giovane A. frequentava lo Studio di Pisa ed è ben comprensibile che il rancore contro l'Inquisizione lo sospingesse ad accostarsi a quanti allora sognavano un riordinamento politico-religioso meno oppressivo e più giusto. Anche quando, dopo tredici mesi e sedici giorni di prigionia, il padre suo fu riconosciuto innocente e "ad maioris gratiae cumulum" ebbe dal reggente principe Filippo il titolo di cavaliere trasmissibile ai discendenti, l'A. non desistette dal coltivare sentimenti di ostilità, se non di vendetta, contro gli oppressori.
Laureatosi in diritto civile e canonico, si addottorò poi a Siena in teologia il 2 1 maggiO 1547. Nel frattempo aveva avuto occasione di conoscere studiosi oltramontani che frequentavano le università toscane e si era fatto stimare per la seria cultura e per il forte carattere; non sorprende quindi che il celebre geografo Sebastiano Múnster gli abbia chiesto di collaborare alla nuova edizione della sua Cosmographia,forse per suggerimento del senese Lelio Sozzini che nel 1547 fu ospite del Múnster a Basilea.
La breve monografia sulla Sardegna procurò fama e insieme sventura all'A.; certo è da considerarsi il primo lavoro scientifico sulle caratteristiche antropogeografiche dell'isola e, se tragiche vicende non glielo avessero impedito, l'A. non avrebbe mancato di scrivere un'opera di grande respiro (com'egli stesso auspicava: "Si Dominus requiem et ocium dederit, prolixiorem de rebus Sardorum scribemus historiam"). Con schiettezza polemica denunciò l'ignoranza e la depravazione morale dei clero sardo ("sacerdotes indoctissimi sunt, ut rarus inter eos sicut et apud monacos inveniatur qui latinam intelligat linguam; habent suas concubinas maioremque dant operam procreandis filiis quam legendis libris"): non erano infondate tali critiche, anche se troppo generalizzate, e fin dal 1462il pontefice Pio II aveva lamentato che in quegli scandalosi concubinati si dilapidassero ricchezze destinate al sostentamento dei poveri. Non esitò l'A. neppure a condannare apertamente gli arbitri e le ingiustizie dei ministri dell'Inquisizione ("qui tanta severitate contra suspectos procedunt, ut paucis verbis exprimi nequeat. Nam miseros homines multis annis in carcere detinent, examinant et torquent, priusquam eos vel damnent vel absolvant"); concludendo, annotò con espressioni di sapore filoprotestante che i Sardi "vivunt bene secundum legem naturae, optime victuri si synceros haberent verbi Dei praccones".
Questa Sardiniae brevis historia et descriptio fu pubblicata dal Miinster a Basilea nel 1550(inserita nel libro II della Cosmographia, pp.242-250), Ma passarono diversi anni prima che fosse incriminata; così l'A. poté per qualche tempo esercitare indisturbato la professione forense e anzi, segnalandosi per la singolare preparazione giuridica, pervenire a un alto grado della pubblica amministrazione.
Ritornato a Cagliari, dopo l'onorifico invito a tenere un corso straordinario di lezioni nello Studio senese, ebbe micarico nel 1548 dal Consiglio della città di curare l'approvvigionamento annonario, acquistando grani a Sassari; raggiunse, quindi, a Madrid il padre e lo aiutò competentemente a disimpegnare l'incarico avuto dal magistrato civico di Cagliari, per patrocinarne gli interessi presso la corte. L'imperatore Carlo V e il principe Filippo apprezzarono molto l'A., tanto da assumerlo al loro servizio e affidargli mansioni sempre più impegnative, fino a nominarlo nel 1554 avvocato fiscale per la Sardegna. Era questa una delle cariche più importanti, ma di tutte la più difficile nell'isola perché si sarebbero dovuti inevitabilmente offendere gli interessi di potenti consorterie, risolute a spadroneggiare e a disfarsi senz'alcuno scrupolo degli oppositori. Fu così che l'A. s'invischiò pericolosamente nelle beghe locali, continuando la tradizione della sua famiglia che anche nel passato si era valsa degli uffici burocratici per sostenere e guidare il ceto borghese cagliaritano contro la nobiltà feudale, le cui famiglie più autorevoli erano quelle degli Aymerich, Aragall, Torrellas e Zapata.
Il viceré de Heredia sostenne l'azione coraggiosa dell'A., che perseguitò inflessibilmente e condannò i mandanti dell'oltraggio subito da un pubblico magistrato, Bartolomeo Selles, e dell'assassinio del fratello di costui, Girolamo, nel convento di S. Domenico (avevano denunciato la consorteria degli Aymerich, dei Torrellas e dei Fogondo, per le reiterate abusive esportazioni di grani dall'isola, mentre la città di Cagliari era cronicamente minacciata dalla carestia). Sollecitata dai canonici Aymerich, Sanna e Zapata, la Penitenzieria della S. Sede condonò il n-iisfatto al maggior iinputato, Pietro Aymerich, che era sfuggito aß'arresto; i canonici Aymerich e Corbu ne approfittarono per dedurne addirittura motivi di scomunica contro lo stesso viceré e i suoi consiglieri. L'A. fece allora convocare dal viceré un Consiglio straordinario, cui parteciparono l'arcivescovo di Cagliari, de Heredia, e quello d'Oristano, che era inquisitore apostolico; fu dichiarato giuridicamente e teologicamente nullo il condono, s'itnprigionarono e, nell'autunno del 1555, simandarono in Spagna i promotori della strana scomunica. Gli Aymerich non si diedero per vinti, anzi ricorsero a una serie di espedienti sleali pur di conseguire la rivincita: Giacomo, figlio illegittimo di Salvatore Aymerich (capo riconosciuto e temuto della nobiltà sarda), fu fatto sposare ad Anna figlia dell'assassinato Girolamo Selles; tramarono anche per avvelenare l'A. e, non essendovi riusciti, ritorserò l'accusa insinuando che questi si fosse servito di relazioni illecite per imbastire e denunciare un inesistente complotto da parte dei suoi avversari.
Disgraziatamente era morto alla fine del 1555 il viceré de Heredia; il reggente Girolamo Aragall, imparentato con gli Aymerich, colse l'occasione per imprigionare l'A. nel settembre del 1556. Il padre dell'imputato però ne fece avocare la causa a Madrid, dove l'A. si recò nel giugno Idel 1557: riconosciuto innocente, per ricompensa ebbe anzi il privilegio di nominare persona di suo gradimento come sostituto nel suo ufficio di avvocato fiscale. Si fece pertanto sostituire dal vecchio padre, mentre il fratello suo Pietro Giovanni ricopriva la carica di maestro razionale.
Sembrava che per l'A., rimasto a Madrid lontano dalla litigiosa e vendicativa nobiltà isolana, fossero finiti i pericoli; invece, si andava preparando segretamente l'istruttoria di quel processo che gli sarebbe riuscito fatale dinanzi all'Inquisizione spagnola. Tale processo fu provocato, ancora una volta, dagli Aymerich, che divulgarono ad arte, in numerose copie appositamente stampate e sottolineando i giudizi compromettenti sul clero sardo e sugli inquisitori, la monografia giovanile dell'A. inserita nell'opera di uno sfratato protestante qual era il Miinster. Il tentativo fu favorito dal nuovo viceré Alvaro de Madrigal, adescato alla causa degli Aymerich con i quali era imparentato. Non altrettanto succube della faziosa nobiltà si dimostrò il nuovo arcivescovo di Cagliari, Antonio Parragues de Castilleio (era morto alla fine del 1558 il buon arcivescovo de Heredia). Agli Aymerich era sembrato di averlo naturale alleato contro un sospetto di eterodossia come l'A., perché il Parragues era stato severo inquisitore nelle Fiandre e a Trieste, ed anzi dietro loro consiglio, prima del suo insediamento, aveva protestato presso il viceré per la presenza in importanti uffici pubblici di persone di dubbia fede religiosa; ma l'arcivescovo non tardò a ravvedersi, e la sua stima nei riguardi dell'A. si confermò tanto da affidargli pratiche di fiducia presso la corte, nell'autunno del 1560, e da esprimere sul suo conto, il 2 dic. 1561, un giudizio del tutto positivo quando Filippo II, preoccupato dalle insistenti accuse, volle esserne informato direttamente. Ciò nonostante, la segreta istruttoria contro l'A. procedette inesorabile, forse perché nella monografia sulla Sardegna i severi giudizi a carico degli inquisitori isolani ("secundum Hispaniae morès et constitutiones") coinvolgevano tutta l'Inquisizione spagnola; si aggiunse l'imprudenza da parte dell'A. di assumere al suo servizio un tale Gervasio Vidini (presentatogli subdolamente da fautori dei suoi avversari), sospetto di protestantesimo e già rifugiatosi a Ginevra. Certamente contribuì a incriminarlo la divulgazione della sua monografia, per essere stata tradotta in italiano (cfr. Sei libri della cosmografia universale,II, Basilea 1558, pp. 272-282).
Nel 1563 l'A. fu arrestato e rinchiuso nelle carceri dell'Inquisizione a Toledo; appena informati, i suoi fratelli si vendicarono ferendo a pugnalate uno dei presunti accusatori,, il console Torellas (l'anno dopo un fratello, Antonio Arquer, riparò a Ginevra). I capi d'accusa contro l'A. furono di aver mantenuto rapporti con Sebastiano Münster, Gaspare Centelles e altri luterani, divulgando in Sardegna e Spagna opinioni ereticali. Cercò di difèndersi impugnando l'attendibilità di accuse mossegli da avVersari privati, che avrebbero. subornato falsi testimoni; ma la difesa gli riuscì difficile, venendogli taciuti i nomi dei singoli accusatori. Non gli restò che compilare un lungo memoriale, indicando i motivi d'inimicizia privata di quanti (in numero di sessantacinque) poteva supporre che avessero testimoniato a suo carico. Invano si appellò al Gran Consiglio di Spagna e, fallito un tentativo di sottrarsi, fuggendo dal carcere, a un processo che riteneva infirmato da pregiudizi, sopportò con fermezza d'animo la tortura e dichiarò intrepidamente di preferire senz'altro la morte piuttosto che mentire. Non venne meno a tale proposito nemmeno quando fu condotto al rogo il 4 giugno 1571.
Bibl.: J.-B.-G. Galiffe, Le refuge ital. de Genève aux XVIème et XVIIème siècles, Genève 1881, p. 167; L. Manzi, S. A. geografo e storico del sec.XVI, Cagliari 1890; S. Lippi, Gli archivi di Spagna e la storia sarda,in La piccola rivista,I (Cagliari 1899), 5; D. Filia, La Sardegna cristiana,II,Sassari 1909, pp. 236 s.; E. Concas, La "Sardiniae brevis historia et descriptio" di S. A.,in La regione,I (1923), pp. 55 e ss.; R. Di Tucci, L'arcivescovo Parragues e S. A., ibid, II(1924), 2; R. Ciasca, Bibliografia sarda, I,Roma 1931, p. 77; E. Concas, S. A. e la sua "Sardiniae brevis historia et descriptio", in Mediterranea, VIII (1934), pp. 40-45; D. Scano, S. A., in Arch. stor. sardo, XIX (1935), pp. 3-137, XC; P. Leo, S. A. a Siena, in Studi sardi,V(1941), pp. 9-118; Id., Ancora su S. A., ibid.,VIII (1949), pp. 132 s.; G. Spini, Di Nicola Gallo e di alcune infiltrazioni in Sardegna della Riforma Protestante,in Rinascimento, II(1951), pp. 151-155; A. Dettori, Un'inedita passione fra le carte di S.A., Cagliari 1956.