BOLDONI, Sigismondo
Appartenente all'antica e illustre famiglia di Bellano, sul lago di Como, il B. nacque a Bellano il 5 luglio 1597 da Ottavio, giureconsulto, figlio unico di Nicolò, protomedico di Filippo II, e da Cecilia Cattaneo, settimo di quindici tra fratelli e sorelle. Gli storici di Milano lo dicono "milanese", indubbiamente perché Bellano apparteneva allo Stato di Milano, e perché era divenuta ambizione della famiglia Boldoni dirsi o farsi credere di Milano. In questo senso va intesa la qualifica di "patricius Mediolanensis" aggiunta al nome sul frontespizio delle sue opere.
Della sua fanciullezza si sa poco. Compì gli studi probabilmente a Milano e a Como; poi s'iscrisse all'università di Padova, nella facoltà di medicina e di filosofia.
Risale a questo periodo un elegante poemetto latino intitolato Larius, sulla linea della Descriptio Larii Lacus (Venetiis 1559) di Paolo Giovio. L'opera ebbe un notevole successo: pubblicata a Padova nel 1617, conobbe varie ristampe (Venezia 1637, Lucca 1660, Avignone 1776). È interessante non solo per le fedeli, minute descrizioni geologiche, topografiche, orografiche e idrografiche, ma anche per l'informazione storico-archeologica relativa a città e a paesi.
Tra il 1616 e il 1618 il B. pronunciò alcune fortunate orazioni nell'ateneo padovano e la sua carriera studentesca stava dando notevoli risultati quando fu bruscamente interrotta da un grave evento familiare. Morto il padre Ottavio, la divisione dei beni fu causa di una sanguinosa rissa tra i fratelli Flavio, Aurelio e il B., il quale giunse a ferire Flavio con un colpo di spada. L'episodio è narrato dallo stesso B. nel poema eroico La caduta deiLongobardi. Benché perdonato dai fratelli, per sfuggire al processo e sottrarsi alla pena, preferì fuggire, rifugiandosi a Padova dove si ammalò. Si riprese tuttavia rapidamente, e a Padova, ospite della famiglia Aviani, terminò gli studi laureandosi in medicina e filosofia. Passò quindi a Venezia dove fu accolto con onore, quindi a Pesaro e a Urbino. Trasferitosi a Roma, fu aggregato all'Accademia degli Umoristi e si assicurò il patrocinio di Scipione Cobelluccio, Roberto Ubaldini, Maffeo Barberini. Dopo quattro anni trascorsi a Roma, per l'intercessione di eminenti personalità in Curia e l'intervento del senatore milanese Giovanni Battista Arconati, poté rimpatriare. Nel 1622 venne nominato professore dell'ateneo pavese e nel gennaio del 1623 fu accolto nel Nobile Collegio dei medici, grazie all'appoggio di Giulio Arese, presidente del Senato milanese. Si dedicò quindi all'insegnamento, ma senza troppo impegno: il tempo libero lo dedicava alla composizione di opere letterarie. Nel giugno 1625, passando per Bologna e Firenze, raggiunse Roma, forse in cerca di qualche carica onorifica. Sappiamo che recava con sé un'autorevole raccomandazione del cardinale Ubaldini di Bologna; ma le sue aspirazioni andarono deluse. Durante i tre mesi del soggiorno romano, benché quasi sempre malato, lavorò alla correzione dei primi canti della Caduta dei Longobardi, già iniziata a Pavia, e lesse il secondo canto ad Alessandro Tassoni, ricevendone un incoraggiamento. Ritornato in Lombardia, compose alcuni epigrammi e corresse il terzo canto del suo poema abbozzando i successivi. Alla fine dell'anno riprese i suoi corsi a Pavia, ma, per sua stessa ammissione, con modesto impegno: questo non impedì che nel 1628 ottenesse la cattedra di filosofia più importante dell'università, strappandola al suo competitore Nicola Sacco, "philosophus editis voluminibus clarus", da trenta anni docente in quell'ateneo e dottissimo commentatore di Aristotele.
Il B., cui il successo parve ispirare nuova lena, esordì con una prolusione sul De coelo di Aristotele (pubbl. nel 1660 in Oratoria, raccolta d'orazioni ed epigrammi, stampata a spese di D. Giacomo Pananti, professore di teologia a Firenze). Nel 1629, sollecitato dagli amici, portò a termine l'ottavo canto della Caduta dei Longobardi. Il poema eroico, condotto secondo la esuberante moda letteraria del Seicento, sarà edito con rimaneggiamenti dal fratello Giovanni Nicolò (Milano 1656).
Sulla fine del 1628 cominciò a diffondersi in Lombardia la paura di un'invasione dei lanzichenecchi, e si temette per la pestilenza. Sotto questo aspetto l'epistolario del B. costituisce una fonte preziosa di notizie e giudizi, cui hanno attinto gli autori posteriori. È stato infatti dimostrato dal Gottifredi che Giambattista Giovio si è servito delle lettere del B. per le sue Lettere lariane a Saverio Bettinelli del 1803: in particolare della lettera XIX del 5 dic. 1802, che ha per titolo Di Chiuso. Origine della peste del 1629, e della lettera XXII del 2 genn. 1803, intitolata Di SigismondoBoldoni,della Peste e degli OspiziMilitari. Questo materiale sarà poi utilizzato dal Manzoni. Nelle sue lettere il B. descrisse le violenze e le devastazioni dell'esercito invasore, il primo caso di peste verificatosi a Chiuso, presso Lecco, l'estendersi del flagello fino a Bellano, dove il contagio lo colse il 3 luglio 1630.
Prima di morire sembra che abbia ricevuto, tra la fine del 1629 e l'inizio del '30, la cattedra primaria di filosofia all'università di Padova, succedendo al celebre Cesare Cremonini, che dal 1601 era stato titolare della "prima philosophiae ordinariae schola". La notizia non è certa perché il Cremonini morì il 2 apr. 1631. Non è però da escludere che la cattedra si fosse resa vacante già prima per rinuncia del titolare, già in età avanzata.
Opere: Larius, Patavii 1617; Apotheosis in morte Philippi III, Paviae 1621 (altra edizione, Anversa 1621), ristampata con il titolo Philippi IIIregis Catholici Apotheosis in fine dell'edizionedell'Epistolarum liberIoannis NicolaiBoldoni fratris operain lucem editus, Mediolani 1651, pp. 304-315 (l'Argelati, il Mazzuchelli e Giovanni Battista Giovio scrissero che i tomi stampati delle Epistolae erano due, ma confusero i due volumi manoscritti con il tomo stampato); La caduta dei Longobardi,Poema eroico del sig. S. B. con argomenti esupplementi del P. D.Gio. Nicolò Boldoni,suo fratello alla Reale Altezza di MadamaChristina Duchessa di Savoia regina di Cipro, Milano 1656; Oratoria, Lucca 1660; Carmina selectainedita nell'edizione delle opere curata da A. M. Durini: Larius cum accedunt Epistulaetriginta selectae,nec non Carminaquaedam latina ineditaet Liberquartus poematisitalici cui titulusLa caduta dei Longobardi..., Avenione 1776.
Bibl.: G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, I, Milano 1633, p. 208; I. Rivamonti, De Pestequae fuitanno 1630libri V, Mediolani 1640, pp. 52, 54-55, 273; A. Tadino, Raguaglio dell'origine... della gran peste contagiosa,venefica e malefica nellacittà di Milano et suoDucato dall'anno1629 fino all'anno1632, Milano 1648; F. Argelati, Bibliothecascriptorum Mediolanensium, I, Milano 1745, I, col. 183; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittorid'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1451 ss.; G. B. Giovio, Viaggio pel Lario e Descrizione, Como 1817; Lettere d'illustri scrittori italiani non mai pubblicate, edite da Z. Bicchierai, Firenze 1853; G. Arrigoni, Cenni intorno agli uomini celebri della famigliaBoldoni di Bellano, in Almanacco manuale della provincia diComo, Como 1850, pp. 17-23; C. Cantù, La Lombardia nel sec.XVII. Ragionamenti, Milano 1854, pp. 223-224; A. Belloni, Gli epigoni della Gerusalemme Liberata, Padova 1893, pp. 463, 523; F. Scolari, Saggio di bibliografia boldoniana, in Periodico dellaSoc. stor. comense, XII (1899), p. 168; O. M. Premoli, Storia deibarnabiti nel Seicento, Roma 1922, pp. 28-30; C. Gottifredi, Una fonte manzon. del Seicento,S. B., in Rassegna nazionale, s. 2, XXXIX (1922), p. 216; Id., I primi contatti del Manzonicon lelettere di S. B., in Rend. dell'Ist. lombardodisc.e lett., LV (1922), pp. 175 ss.; G. Boffito, Biblioteca Barnabitica, I, Firenze 1933, pp. 257-58; P. Gini, S. B. (1597-1630) filosofoall'univ. diPavia, in Periodico stor. comense, n. s., X (1956), pp. 9-71.