CANTELMO, Sigismondo
Nacque, forse ad Alvito, intorno all'anno 1455 da Pietro Giampaolo, duca di Sora e conte di Alvito e di Popoli, e da Caterina Del Balzo. Non si sa quale parte egli abbia avuto, durante la sua adolescenza e la prima giovinezza, nelle vicende in seguito alle quali suo padre perdette tutti i suoi feudi. Certo è che quando, nel 1487, Pietro Giampaolo fu costretto a ridursi a Roma insieme con il figlio minore Ferrante, lasciando Alvito, ultimo possesso che gli era rimasto, il C. già da parecchi anni stava a Ferrara, gentiluomo alla corte del duca Ercole, che certo aveva conosciuto i Cantelmo durante gli anni passati nel Regno di Napoli, specie quando, come Pietro Giampaolo, aveva combattuto in favore di Giovanni d'Angiò. Il C. risulta addetto al servizio della duchessa Eleonora, della quale egli era un lontano parente.
A Ferrara il C. sposò (in prime e non già in seconde nozze come dice il Santoro fondandosi su un errore del Vincenti) Margherita, figlia del ricco notaio Bartolomeo Maloselli, dalla quale ebbe due figli, Ercole e Francesco. Erroneamente la tavola genealogica del Litta dà come suoi figli anche Giulio Cesare e Ferrante, suoi fratelli.Le ricchezze della moglie, che possedeva molti beni nel Mantovano e nel Ferrarese, e la liberalità dei duchi Ercole ed Alfonso consentirono al C. un tenore di vita molto signorile anche quando la sua famiglia ebbe perduto tutto ciò che possedeva nel Regno. Nel 1484 il duca lo fece cavaliere aurato, gli donò diversi fondi ed anche il palazzo che era stato fatto costruire nel 1469 dal fuoruscito fiorentino Diotisalvi Neroni; nel 1494, il cronista Isnardi lo annoverava tra gli abitanti di Ferrara provvisti di maggiori entrate (2.000 ducati l'anno).
Uomo d'arme, valentissimo negli esercizi cavallereschi, il C. fu anche un compito uomo di corte. Ci è rimasta memoria di giostre e tornei ai quali partecipò a Ferrara nel 1478, nel 1481, nel 1484, nel 1486 e nel 1490. Nel 1487si distinse nella grande giostra tenuta a Bologna in occasione delle nozze di Lucrezia d'Este con Annibale Bentivoglio. Nel carnevale del 1501 era a Mantova, ospite della marchesa Isabella, e di là scrisse al duca Ercole descrivendogli minutamente gli apparati e gli ornamenti scenici (tra cui i Trionfi diCesare e i Trionfi del Petrarca dipinti dal Mantegna) usati per le rappresentazioni del Filonico, dell'Ippolito, del Penulo di Plauto e degli Adelfi di Terenzio. Aveva anche pratica di spettacoli teatrali: sappiamo, per esempio, che a Ferrara in occasione delle nozze di Alfonso d'Este con Anna Sforza aveva, insieme con Niccolò da Correggio, preparato e diretto le rappresentazioni del Menecmi e dell'Anfitrione di Plauto e dell'Andria di Terenzio.
Nel 1493, avendo il duca Ercole deciso di mandare il figlio Ferrante alla corte di Francia, fu il C. ad organizzare il viaggio e ad accompagnare con altri gentiluomini il giovane principe. Ad Amboise, dove giunsero il 3 dicembre, furono ricevuti dal re e dalla regina. In un altro colloquio il C. parlò al re, che preparava la sua discesa in Italia, della situazione del Regno di Napoli e dei feudi che i suoi vi avevano perduto. Carlo VIII disse che accettava i Cantelmo nel numero dei suoi buoni e leali servitori e che confortava Pietro Giampaolo a seguitare le trame intraprese, delle quali egli era informato.
Venuto il re in Italia ed avviata la spedizione nel Meridione, il C. partì nel gennaio 1495da Ferrara per raggiungere l'esercito francese. Pietro Giampaolo era già in Abruzzo ed aveva ricuperato alcuni dei suoi feudi. Nel maggio il C. era a Napoli e di là scrisse al duca Ercole descrivendo efficacemente la grande cavalcata di Carlo VIII alla chiesa di S. Antonio, dove solennemente infeudò ai suoi nobili francesi molte terre del Regno, ma non diede nessuna reinvestitura a baroni italiani, e quindi neppure ai Cantelmo. Pochi giorni dopo il re partì da Napoli, lasciandovi viceré Giberto di Montpensier, e tosto la fortuna dei Francesi cominciò a declinare e il partito aragonese riprese vigore.
II C. combatté a Cassino, a San Vincenzo sul Volturno e in altre località. Nel settembre corse con duecento uomini d'arme a Salerno, dov'era coi suoi il Montpensier, sfuggito all'assedio di Castelnuovo. Poi fu di nuovo in Abruzzo con Pietro Giampaolo e Ferrante, che avevano rioccupato i loro antichi feudi. Nella primavera del 1496 era con i Francesi, concentrati intorno a San Severo. Nel maggio si sparse a Ferrara la voce, raccolta da un cronista, che in uno scontro egli aveva salvato la vita a Francesco Gonzaga, capitano generale delle truppe veneziane, alleate degli Aragonesi; ma la notizia non ha conferma.
Il 5 ag. 1496, quando ormai l'esercito francese era ridotto a mal partito e il Montpensier aveva dovuto patteggiare ad Atella una tregua, si riunirono, nel castello d'Isola di Sora, Graziano de Guerres, capitano di Carlo VIII negli Abruzzi, il C. e il fratello Ferrante, anche a nome del padre, Giovanni Della Rovere, prefetto di Roma, e parecchi altri baroni; essi giurarono di restar fedeli e leali servitori del re di Francia, di combattere a morte contro tutti i suoi nemici e in particolare contro gli Aragonesi. Un simile accordo, in un momento che appariva così difficile per le armi francesi, si può spiegare solo con la speranza di una nuova imminente spedizione di Carlo VIII in Italia, del resto più volte promessa dal re. Ma questa attesa fu delusa e, morto il Montpensier e ritiratisi i Francesi dal Regno, i Cantelmo, dopo aver resistito per qualche mese, furono costretti nel gennaio 1497a sottomettersi al nuovo re Federico, col quale erano imparentati. Il re li perdonò, ma non lasciò loro alcuno dei feudi che essi avevano per breve tempo rioccupato. Pochi giorni dopo il vecchio Pietro Giampaolo morì: il C. e il fratello Ferrante ebbero dal guardaroba reale il panno per farsi gli abiti di lutto. Poi il C. tornò a Ferrara, mentre Ferrante restò al servizio del re Federico e morì, sul finire dell'anno, di una ferita riportata combattendo per lui contro il principe di Salerno ancora ribelle.
Nel luglio 1498 il C. era con Almerico Sanseverino e Cesare Rangoni al comando delle squadre d'uomini d'arme, balestrieri e stradiotti assoldati da Alfonso d'Este per il duca di Milano. L'impresa di Luigi XII e di Ferdinando il Cattolico contro re Federico per la spartizione del Regno di Napoli gli ridiede la speranza di riacquistare i feudi nel Regno. Nell'estate del 1501 egli era già in Abruzzo con il fratello Giulio Cesare, e aveva rioccupato Ortona e Popoli, mentre Giulio Cesare era stato nominato presidente del Consiglio per la provincia d'Abruzzo dal viceré, duca di Nemours. Il C. tornò a Ferrara al principio del 1502 e nel marzo accompagnò Alfonso d'Este che andava a rendere omaggio a re Luigi. Erano frattanto cominciate le ostilità tra Francesi e Spagnoli e il C., tornato nell'estate in Abruzzo, inviava al duca Ercole notizie entusiastiche sui progressi delle armi francesi. Ma l'anno seguente la fortuna militare si capovolse e di nuovo crollarono le speranze del C., che si ritirò con le truppe francesi al Garigliano e partecipò alla battaglia che segnò la fine dell'impresa di Luigi XII nell'Italia meridionale (28-30 dic. 1503).
Il duca Alfonso, succeduto ad Ercole nel gennaio 1505, protesse e favorì il C. ancor più del padre. Nella primavera del 1504 il C. lo aveva accompagnato in Francia, alla corte del re, ed era rimasto colà anche quando, nel maggio, Alfonso ne era partito. Restò, sembra, in Francia per tutto l'anno 1505, soggiornando a Tours e a Blois dove si trattava la pace tra Francia e Spagna, e sostituì per qualche tempo l'oratore estense, Francesco Maria Rangoni, ammalato.
Si può ben credere che si sia prodigato per riavere i suoi feudi: egli non si rassegnò mai alla loro perdita e continuò per tutta la vita a intitolarsi duca di Sora. Ma nei patti della pace fu stabilito che i feudi venissero dati ai baroni, a qualunque partito fossero appartenuti, che legittimamente li possedevano al 16 ag. 1502. In queste condizioni evidentemente non doveva trovarsi il C., giacché a lui non toccò nulla.
Durante il suo soggiorno in Francia egli trattò diversi affari sia per il duca sia per il cardinal Ippolito; tra l'altro cercò di ottenere l'appoggio del re per il conferimento a Ippolito di alcuni benefici in Lombardia e condusse le trattative per far venire a Ferrara come maestro di cappella il musicista Antonio Brumel della scuola fiamminga. Tornò a Ferrara al principio del 1506.
Nell'ottobre di quell'anno giungeva a Napoli Ferdinando il Cattolico e correvano a riverirlo molti baroni: quelli che avevano parteggiato per la Spagna sperando concessioni e ricompense, quelli che avevano parteggiato per la Francia per fare atto di sottomissione, sperandone qualche vantaggio. Tra questi ultimi fu anche il C.; ma il suo tentativo fu ancora una volta inutile. Così furono inutili i tentativi che, allo stesso scopo, il C. fece per le vie legali. Nel 1501 infatti egli intentò lite ad Antonio di Onofrio Cantelmo per riavere il feudo di Alfedena, ma rimase soccombente; qualche anno dopo rivendicò, avverso il cugino Restaino di Giovanni Cantelmo, il comitato di Popoli, ma anche questa volta perdette la lite che si chiuse nel 1508 "con decreto di perpetuo silenzio".
Durante la guerra della lega di Cambrai contro Venezia il C. fu per qualche mese a Rovigo, per incarico del cardinale d'Este, e là provvide al vettovagliamento di truppe e ad assumere, per mezzo di spie, informazioni politiche e militari. In quella stessa guerra, il 30 nov. 1509, perdette il figlio Ercole, catturato ed ucciso sotto i suoi occhi.
Quasi nessuna notizia abbiamo dell'attività del C. negli anni seguenti. Solo sappiamo che, morto Giulio II ed eletto papa Leone X, fu mandato a Roma in missione speciale per rallegrarsi a nome del duca col nuovo eletto ed impetrare l'assoluzione di Alfonso dalla scomunica e dalle altre censure e la rimozione dell'interdetto su Ferrara. Partì da Ferrara il 12 marzo del 1513 insieme con Lodovico Ariosto, il quale andava a sua volta a Roma per conto del cardinale Ippolito.
Il C. morì a Ferrara il 27 ag. 1519.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Cancelleria ducale,Ambasciatori,Francia, bb. 1, 4, 10; Napoli, bb. 7, 9; Mantova, b. 1; Roma, b. 11; Particolari,ad vocem; Carteggi e docc. di Stati esteri,Napoli, b. 86, fasc. XLIV; Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 1231, 1235-1247;Modena, Bibl. Estense, Ms. Ital. 530:A. Isnardi, Ricordi diversi della città di Ferrara, c. 127; Ms. Ital. 178: G. M. Ferrarini. Cronaca di Ferrara, cc. 170, 172, 199; B. Zambotti, Diario ferrarese, in Rerum Ital. Script., 2 ediz., XXIV, 7, vol. 2, a cura di G. Pardi, ad Indicem; Lettere artistiche ined., a cura di G. Campori, Modena 1866, pp. 2-5; P. Vincenti, Historia della famiglia Cantelma, Napoli 1604, pp. 54-58;M. Equicola, Dell'istoria di Mantova, Mantova 1610, p. 225; M. A. Guarini, Compendio histor. delle chiese di Ferrara, Ferrara 1621, p. 270; D. Santoro, Della vita e delle opere di M. Equicola, Chieti 1906, pp. 27-34, 38-44; M. Catalano, Vita di L. Ariosto, Genève 1931, ad Indicem; R.Filangieri, Una congiura di baroni nel castello d'Isola..., in Archivio stor. per le provv. napol., n.s., XXVIII (1945), pp. 109-134; L. Chiappini, Gli Estensi, Milano 1967, pp. 223, 228; P. Litta, Le famiglie celebri italiane,s. v. Cantelmi di Napoli, tav. I.