CHIGI, Sigismondo
Nacque a Roma il 15 marzo 1736 dal principe Agostino e da Giulia Augusta Albani. Nel 1747 entrò come convittore nel collegio Tolomei di Siena, il celebre "seminarium nobilium" retto dai gesuiti. A soli sedici anni diede prova di varia cultura in due operette scritte nel collegio: Lucis theoria magnae Deiparae Senensium patronae auspiciis publice propugnata cum adiectis ad calcem plurimis ex universa philosophia propositionibus (Senis 1752) e Specimen phisicae experimentalis... publice exhibitum (ibid. 1752).
Ritornato a Roma, cominciò a legarsi con gli ambienti letterari, diventando membro di numerose accademie della città e della Toscana. Per l'Accademia dell'Arcadia, nella quale prese il nome di Astridio Dafnitico, compose una elegia in latino, raccolta nel volume Arcadum carmina altera pars (Romae 1756, pp. 49 ss.). Il 14 ott. 1767 sposò a Roma Flaminia Odescalchi dei duchi di Bracciano. Successo nel titolo al padre, morto il 29 dic. 1769, il C. venne subito nominato da Clemente XIV, con breve del 12 genn. 1770, maresciallo di S. R. Chiesa custode del conclave (titolo dal 1712 in poi sempre confermato ai primogeniti della famiglia Chigi). Nel giugno 1771 morì di parto la moglie, dopo avergli dato tre figli, Virginia, Eleonora e Agostino; per lei il C. fece costruire da Agostino Penna un sepolcro nella cappella Chigi di S. Maria del Popolo. Ritiratosi a Lucca, il C. cercò sollievo nella poesia: compose un Sermone all'Oraziana sopra un tema dato dall'Accademia di Lucca nel 1774, rimasto inedito (cfr. A. Ademollo, Un processo, p. 6; non risulta tra i manoscritti Chigiani della Biblioteca Vaticana), che non poté recitare di fronte all'Accademia perché alla morte di Clemente XIV, avvenuta il 22 sett. 1774, fu costretto a ritornare a Roma, per assumere la custodia del conclave.
In occasione di questo lungo conclave, dal quale uscì eletto Pio VI, il C. pubblicò alla macchia il dramma per musica Il Conclave dell'anno MDCCLXXIV (Roma 1774).
L'operetta era scherzosamente attribuita al Metastasio, ma il celebre poeta romano prestava solo numerosi suoi versi per una satira violenta delle fazioni del conclave, guidate dai cardinali de Bernis e Albani. L'abile descrizione degli intrighi dei conclavisti, delle loro speranze e dei loro voltafaccia, alternata con quella dei loro momenti di riposo, nei quali alcuni ballano e si lamentano dover rimanere rinserrati privi dei piaceri della vita mondana, e il clamore suscitato dal fatto che l'operetta venne bruciata per mano del boia a piazza Colonna il 19 nov. 1774 spiegano la sua fortuna; infatti almeno una decina di edizioni apparvero tra il 1774 ed il 1799, oltre ad alcune contraffazioni e traduzioni.
Solo chi avesse avuto conoscenza delle "segrete cose" del conclave avrebbe potuto scrivere certi particolari, ma il Sacro Collegio trovò un capro espiatorio nell'abate fiorentino Gaetano Sertor, che fu esiliato. A questo il dramma è stato generalmente attribuito anche in seguito, ma un documento pubblicato da S. Cappello dimostra che il vero autore è il Chigi.
Nel luglio 1775 il C. si distinse tra tutti i nobili romani per l'accoglienza che riservò all'arciduca Massimiliano d'Austria, venuto a Roma per l'anno santo. Oltre a dare una grande festa da ballo al palazzo Chigi, fece costruire dall'architetto Pietro Camporese una spettacolare e costosa macchina di fuochi artificiali, rappresentante la fucina di Vulcano, che venne incendiata la sera del 27 luglio, alla presenza di un numeroso pubblico. La magnifica accoglienza ebbe anche un valore politico e non piacque alla Curia, anche per la diffusione di una stampa di Giuseppe Vasi, rappresentante la macchina, nella quale v'era una satira volterriana della religione cattolica.
Il 10 nov. 1776 il C. sposò in seconde nozze a Napoli Maria Giovanna Medici d'Ottaiano. Anche in questa occasione si distinse per magnificenza: ordinò due sfarzose carrozze da Parigi e diede inizio ai lavori di decorazione dell'appartamento cosidetto neoclassico di palazzo Chigi, lavori che vennero eseguiti in gran parte da Felice Giani e Liborio Coccetti. Il matrimonio non fu felice: la nuova moglie non ebbe figli e circolarono molti pettegolezzi su presunti maltrattamenti che il C. le avrebbe riservato. I due coniugi giunsero così alla rottura e, falliti vari tentativi di riconciliazione, nei quali ebbero parte alti prelati e lo stesso Pio VI, Maria Giovanna Medici nell'ottobre 1777 abbandonò il C. e ritornò a Napoli. Preso da una delle passioni dell'epoca, l'archeologia, il C. tra il 1777 e il 1780 fece eseguire alcuni scavi, rivelatisi fortunati, nella tenuta di Porcigliano del barone Del Nero. Ma accanto a questa passione è a quella per i cavalli, tradizionale nella famiglia, fondamentale rimaneva quella per l'arte e per la letteratura. Ammiratore delle opere della scuola pittorica senese, il C. progettò di farle disegnare ed incidere tutte, ma riuscì solo in parte nel suo piano. Ordinò al pittore Giuseppe Locatelli una copia della Madonna della Scala del Correggio e fece eseguire a Vienna un ritratto del Metastasio che donò poi all'Accademia dell'Arcadia. Nella Biblioteca Vaticana sono conservati alcuni manoscritti che il bibliotecario della famiglia, Giuseppe Baronci, nel riordinamento del 1929, ha attribuito al C.: una tragedia incompiuta, alcune opere poetiche e appunti di carattere storico (Mss. Chigiani, SV 6, nn. 1, 2, 4, 6, 7, 8, 10, 12); invece la Risposta ad una tragicomica lettera intorno agli studi d'Italia (Mss. Chigiani, S V 7, n. 12) non può essere attribuita al C. per ragioni stilistiche. Ennio Quirino Visconti ci dà notizia di un "eloquentissimo" Discorso, ora introvabile, scritto dal C. "per l'elezione del Re dei Romani" (probabilmente nel 1764 quando Giuseppe II fu eletto re dei Romani). Nel 1781 il C. pubblicò anonima a Parigi L'economia naturale e politica.Un secondo volume dell'opera uscì a Parma nel 1783.
In questo poemetto didascalico, lodato da Giovanni Girolamo Carli e da E. Q. Visconti, il C., a differenza dei poeti romani dell'epoca, che avevano quasi dimenticato i classici, imita, a volte scopertamente, Omero ed Esiodo, Virgilio ed Orazio, oltre ai trecentisti e cinquecentisti italiani.
L'operetta, significativamente dedicata al granduca di Toscana Pietro Leopoldo, che aveva dato una impronta illuministica alla revisione delle strutture della società e dello Stato, e che proprio in quegli anni colpiva duramente i privilegi della Chiesa di Roma, è caratterizzata dallo spirito filosofico che vi circola. Il C. partecipa al dibattito sul riformismo economico mostrando fiducia nel progresso della società e dando numerosi consigli ai sovrani per farsi amare dai sudditi ed ottenere da questi il rispetto delle leggi.
Stretti sempre più i rapporti con gli ambienti colti romani, il C. si era fatta la fama di principe "amante delle Muse e delle buone Arti". Il Metastasio era stato suo corrispondente (cfr. la lettera al C. del 27 giugno 1768), il Milizia gli dedicò i Principi di architettura civile (1781), il Cesarotti e il Bettinelli mostrarono di apprezzare il suo ingegno, l'Alfieri sedette alla sua mensa, lo scrittore d'arte Guglielmo Della Valle e altri letterati come Dionigi Strocchi furono suoi amici. Il C. si dimostrò pure splendido mecenate proteggendo E. Q. Visconti, che nominò suo bibliotecario dandogli come assistente Carlo Fea ed aiutando nel 1783 Vincenzo Monti, che allora si trovava in difficoltà economiche. Il poeta gli dedicò i celebri sciolti Al principe Don S. C., dove si mostra pieno di gratitudine, con accenti che sembrano sinceri, a differenza di quelli delle poesie che numerosi altri letterati composero in suo onore.
Nel periodo precedente la Rivoluzione francese il C., che già aveva professato idee vicine a quelle degli enciclopedisti, assunse una posizione critica nei riguardi del governo pontificio. I rapporti che egli ebbe con gli ambienti massonici e forse anche con Ottavio Cappello, promotore a Roma della setta avignonese degli "illuminati", riflettono bene l'insoddisfazione della nobiltà romana del secondo Settecento, splendida e fastosa, ma priva di ogni effettivo potere politico. Nel 1790 il C. si trovò al centro di un clamoroso processo. Il card. Filippo Carandini, prefetto del Buon Governo, lo accusò di aver depositato una somma ingente in una banca senese a favore di un avventuriero, affinché questi lo avvelenasse.
Contro ogni elementare norma giuridica lo stesso Carandini, forte dell'appoggio di Pio VI, istruì il processo contro il C., ma non portò prove concrete sul presunto tentativo di avvelenamento. Secondo A. Ademollo il C. sarebbe stato completamente innocente; il Carandini, amante di Maria Giovanna Medici, con questa accusa si sarebbe voluto vendicare del C., che non aveva più permesso il ritorno a Roma della seconda moglie. È stata prospettata pure l'ipotesi del processo politico. In effetti nel 1790 il governo pontificio, assai preoccupato dagli avvenimenti francesi, sospettoso di ogni idea nuova che circolava a Roma, non esitò a processare alcuni individui giudicati pericolosi, tra i quali il Cagliostro, che aveva tentato di insediare nella città una loggia massonica di "rito egiziano". Anche il C., per le sue satire violente, per le idee illuministiche, per le critiche alla politica economica del governo, era un personaggio assai sgradito alla Curia romana. Invece A. Moretti ha sostenuto la colpevolezza del C. ed ha scagionato sia il Carandini sia Pio VI dalle accuse rivolte loro dall'Ademollo.
Il 1º sett. 1790 il C. abbandonò Roma, non intendendo sottoporsi a questo processo infamante. L'11 ott. 1790 emancipò il figlio Agostino e gli donò tutti i suoi beni. Il 25 febbr. 1791 venne emessa la sentenza del processo: il C. venne condannato alla "perpetua relegatio" e privato del titolo di maresciallo di S. R. Chiesa.
Il C. morì a Padova il 23 maggio 1793.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Archivio Chigi (numerose lettere del C. all'uditore F. Mami, al segretario L. Cappello, ai tre figli, delle quali è prevista l'edizione critica a cura di A. Alberti; carte relative all'amministraz. del patrimonio del C.); Ibid., Mss. Chigiani, S II 9, cc. 23-28, M. VIII. LVIX. 9 (alcune lettere inviate al C.); Arch. Segr. Vat., Secr. Brev., 3691, f. 810 (nomina a maresciallo di S. R. Chiesa); Arch. di Stato di Roma, Tribunale del Governatore,Criminale,sec. XVIII, b. 1815 quater (atti del processo del 1790); T. Pendola, Il collegio Tolomei di Siena e serie dei convittori, Siena 1852, p. XLV; M. G. Morei, Memorie istor. dell'Adunanze degli Arcadi, Roma 1761, p. 214; Lettere di mons. G. d'Adda-Salvaterra, in F. Calvi, Curiosità stor. e diplomatiche..., Milano 1878, pp. 348 s., 384-386; C. Fea, Miscell. filologica,critica e antiquaria..., II, Roma 1936, pp. 213-228; E. Carusi, Lettere inedite di G. Marini, II-III, Cittàdel Vaticano 1938-40, ad Indicem; G. G.Carli, due lettere su L'econornia naturale, in Giornale de' letterati (Pisa), LII (1783), pp. 89-103; L. De Angelis, Notizie degli scrittori sanesi, I, Siena 1824, ad vocem; E. Q. Visconti, Stato attuale della romana letter., in Due discorsi inediti, Milano 1841, pp. 27, 33 s., 38; A. Ademollo, Un processo celebre di veneficio a Roma nell'anno 1790, Roma 1881; L. Vicchi, V. Monti,le lettere e le arti in Italia dal 1750 al 1830(decennio 1781-1790), Faenza 1883, pp. 215-218; L. A. Ferrai, V. Monti e don S. C., in Giorn. stor. della lett. ital., IV (1886), 1-2, pp. 259-267; [A. Viti], Vite di romani illustri, I, Roma 1889, p. 75; G.Cugnoni, Notizie degli studi del principe Agostino Chigi Albani, Roma 1893, pp. 24-30; A.Moretti, Un principe C. avvelenatore o un ventennio di storia papale(1775-1795), Siena 1904; U. Frittelli, Albero geneal. della nobil famiglia Chigi, Siena 1922, pp. 142 ss.; P. Paschini, I Chigi, Roma 1946, pp. 44 s.; M. P. Azzuri, I liberi muratori a Roma nel sec. XVIII, in L'Acacia masson., VI (1952), 2, p. 41; S. Cappello, L'autore del "Dramma del Conclave", in Strenna dei romanisti, XIV (1953), pp. 214-218; N. Del Re, Ilmaresciallo di S. R. Chiesa..., Roma 1962, pp. 48, 102; G.Natali, Il Settecento, Milano 1964, ad Indicem; R. Lefevre, Palazzo Chigi, Roma 1972, pp. 178-189; G. Morelli, Il dramma "Il Conclave del 1774", e il suo autore, in Strenna dei romanisti, XXXV (1974), pp. 345-350; C. Francovich, Storia d. masson. in Italia..., Firenze 1975, pp. 398, 421; E. Bonora, Dizion. della lett. ital., Milano 1977, ad vocem; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccl., XIII, p. 84; XLII, pp. 286 s.