GONZAGA, Sigismondo
Secondo tra i figli maschi di Federico I marchese di Mantova e di Margherita di Wittelsbach, il G. nacque a Mantova nel 1469. Destinato fin dai suoi primi anni alla carriera ecclesiastica, già all'età di dieci anni ricevette la tonsura, e poco dopo fu protonotario apostolico e primicerio della chiesa collegiata di S. Andrea, titolo che era stato ricusato a suo favore dallo zio cardinale Francesco.
Alla morte di questo, sopraggiunta nel 1483, tutte le aspettative dei marchesi di Mantova per un nuovo galero in casa Gonzaga furono poste sulla sua persona, con iniziative condotte presso la Curia romana dal padre e, in seguito alla morte di questo nel 1484, dal fratello Francesco II.
La scelta fece insorgere un grave disaccordo tra i signori di Mantova e i cugini Gonzaga di Gazzuolo, certi invece che l'assegnazione della porpora spettasse piuttosto a Ludovico, fratello di Federico e del defunto cardinale, essendo Ludovico vescovo eletto di Mantova.
Numerosi, continui e condotti per diverse vie furono quindi i tentativi intrapresi da Mantova nel corso di oltre un ventennio per raggiungere lo scopo. Nel frattempo, per fornire al G. un'adeguata formazione, gli furono affiancati valenti educatori come il precettore Gianfrancesco Gennesi, suo educatore fino al 1478, allorché gli subentrò Giovanni Mario Filelfo, che fino al 1480 fu il suo insegnante di lettere, oltre all'umanista mantovano Battista Spagnoli, carmelitano, verso il quale il G. mostrò sempre una grande riconoscenza, concretizzatasi nel 1513 quando, grazie ai buoni uffici del G., protettore dei carmelitani dal 1508, lo Spagnoli fu eletto priore generale del suo Ordine.
Dopo aver completato la sua formazione, proseguita negli anni seguenti nello Studio di Pavia, il G. si dedicò alle sue funzioni di protonotario apostolico prendendosi cura degli affari del Marchesato al fianco della cognata Isabella d'Este, quando Francesco II era impegnato nelle campagne militari.
Nel novembre 1488 Francesco II aveva affidato alla sorella Elisabetta, duchessa di Urbino, l'incarico di recarsi a Roma per impetrare il cappello cardinalizio a favore del G., mentre nei primi mesi del 1490 era lo stesso marchese di Mantova ad adoperarsi attivamente, ma invano, presso il re dei Romani Massimiliano d'Asburgo e il duca Alberto di Baviera affinché fosse concesso al G. l'arcivescovado di Salisburgo, allora vacante. Allo stesso modo, l'anno successivo, Francesco II cercò appoggio presso il cognato, Ludovico il Moro, al fine di intercedere presso il cardinale Ascanio Sforza, fratello del Moro, a favore del Gonzaga. La promozione sembrava ormai imminente dopo l'elezione, avvenuta nell'agosto 1492, del pontefice Alessandro VI (Rodrigo Borgia), della cui scelta, all'interno del conclave, il cardinale A. Sforza fu il principale artefice. Il 18 febbr. 1496 anche il doge di Venezia, Agostino Barbarigo, intervenne presso il papa, affinché assecondasse la richiesta dei Mantovani suoi alleati, ma senza risultato.
Che l'obiettivo stesse molto a cuore al marchese di Mantova lo dimostra il fatto che egli si dichiarava disposto, per quello scopo, a recuperare la somma di 16.000 ducati all'occorrenza anche impegnando e vendendo i gioielli di famiglia. Le trattative continuarono invano negli anni seguenti, durante i quali il G. seguitò a collaborare attivamente con il fratello negli affari politici, come nel maggio del 1500, quando fu inviato a Milano presso i Francesi per rendere conto ai recenti conquistatori di quel Ducato, che avevano fatto prigioniero Ludovico il Moro, della condotta non del tutto filofrancese di Mantova.
La nomina del G. a cardinale giunse a essere infine inserita anche fra le clausole del patto matrimoniale, stipulato con molto opportunismo nel 1502 da Francesco II, tra suo figlio Federico e la figlia di Cesare Borgia, incontrastato dominatore dell'Italia centrale.
Con la scomparsa dalla scena politica dei Borgia e l'elezione del nuovo pontefice Giulio II, avvenuta nel 1503, l'interesse si spostò ai Della Rovere, con i quali Francesco Gonzaga intavolò immediatamente trattative per il matrimonio tra sua figlia Eleonora e il nipote del papa, Francesco Maria. L'accordo prevedeva ancora una volta la promozione del Gonzaga. Celebrate le nozze, il 2 marzo 1505, il 12 dicembre successivo veniva resa nota nel concistoro la tanto attesa nomina del G. a cardinale diacono; a lui fu poi assegnato il titolo di S. Maria Nuova, già di suo zio Francesco, e una pensione annua di 2000 ducati.
Negli anni seguenti il G. soggiornò a Roma a lungo e in varie riprese, rimanendovi in modo quasi continuo per tutto il 1507 e il 1508; si trasferì poi, nel corso del 1509, nei territori della Marca di Ancona dove, dal 24 febbr. 1508, aveva assunto la carica di legato apostolico a latere con la facoltà di nominare otto conti palatini, e alternò negli anni seguenti la sua residenza tra Ancona, Recanati e Macerata. Eletta quest'ultima città come propria sede, vi avviò la costruzione del grande palazzo della Legazione.
Dopo l'8 ag. 1509 il G. dovette abbandonare in tutta fretta Macerata per accorrere a Mantova, chiamato da Isabella d'Este per affiancarla nella grave crisi che aveva colpito lo Stato mantovano in seguito alla cattura di Francesco da parte dei Veneziani e alla successiva sua prigionia a Venezia. La richiesta della marchesa era avallata dal pontefice, che l'11 agosto pregava espressamente il G. di recarsi a Mantova per placare gli animi. Insieme con Isabella, il G. sottoscrisse numerose istruzioni volte a superare il difficile momento nel quale era precipitato il Marchesato. Ritornato quindi a Macerata nel 1511, ospitò presso di sé, tra l'estate e l'autunno di quell'anno, il giovane nipote Federico durante il periodo in cui fu trattenuto come ostaggio da Giulio II in seguito alla liberazione del marchese di Mantova, avvenuta nel luglio 1510. Fino al 1513 il G. alternò la propria presenza tra Macerata, Mantova - dove nell'agosto 1512 prese parte agli incontri della Dieta imperiale -, e altre località dello Stato pontificio al seguito di Giulio II; al fianco del pontefice in quegli anni anche il G. contribuì alla cacciata dei Francesi dai territori italiani appartenenti alla Chiesa e alla conquista di Bologna, dove ricoprì per breve tempo la carica di legato temporaneo in sostituzione del cardinale Giovanni de' Medici, rimasto prigioniero nella battaglia di Ravenna. Già in precedenza, il 23 ott. 1510, aveva aggiunto ai propri titoli quello di legato di Mantova al quale seguì, il 10 febbr. 1511, la nomina a vescovo amministratore della diocesi mantovana, dove era subentrato allo zio Ludovico, scomparso qualche settimana prima.
Nel febbraio 1513 morì Giulio II e dal conclave uscì eletto Leone X la cui scelta, stando ai documenti mantovani, avvenne anche grazie ai buoni uffici svolti dal G. che fu, infatti, ricompensato l'anno successivo dal nuovo pontefice con la concessione di una guardia di onore di quattro persone e con il feudo di Solarolo nel Faentino, che rimarrà ai Gonzaga fino al 1574.
Sinceri e frequenti furono i rapporti del G. con il fratello marchese e ancor più con la cognata, Isabella d'Este, la quale nel 1521, dopo la morte di Leone X, in occasione del conclave che avrebbe eletto Adriano VI, non esitò, per comprare i voti dei cardinali a favore del G., a offrire "li gioie e le possessioni sue quante ne aveva" (Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, b. 2963); in quel conclave il G. rifiutò inspiegabilmente di servirsi di un diplomatico esperto come Baldassarre Castiglione, che fu invece richiesto espressamente da Giulio de' Medici, il futuro Clemente VII, cui il Castiglione oppose il proprio rifiuto per rispetto al Gonzaga. Svanita in quell'occasione la sua elezione, il G. non fu eletto neanche nel conclave successivo, che scelse invece Giulio de' Medici.
I cordiali rapporti intercorsi con il fratello e Isabella non impedirono al G. alcune decisioni ben ferme nei confronti di entrambi, soprattutto nelle occasioni in cui egli dovette difendere, in contrasto con le rivendicazioni dei marchesi di Mantova, le sue prerogative nell'esercizio di diritti che gli spettavano in virtù del suo rango di principe della Chiesa, in alcuni casi anche contraddicendo pareri favorevoli emessi dal pontefice a vantaggio dei marchesi; la stessa fermezza egli manifestò nel 1511, rifiutando la sua approvazione circa investiture di terre, castelli e luoghi fortificati appartenenti al vescovato e rivendicati dal fratello. Nella conduzione della diocesi si occupò prevalentemente degli incarichi amministrativi, delegando quelli pastorali ai suoi vescovi suffraganei, fino al 1516 il francescano Niccolò Grossetto e dal 1517 il teologo agostiniano Ambrogio Flandino, figura di grande rilievo dottrinale, autore di numerosi testi filosofico-teologici condotti su posizioni filoerasmiane.
A comprovare la fiducia che veniva riposta a Mantova nel G. anche per la conduzione degli affari dello Stato, nel 1519, alla morte di Francesco II, egli fu nominato, insieme con il fratello Giovanni e Isabella d'Este, curatore e amministratore del primogenito Federico fino al raggiungimento del ventiduesimo anno di età, così come dettato nelle ultime volontà del defunto marchese; quale tutore del nipote, sembra che gli raccomandasse come maestro per la lingua greca e l'astronomia l'umanista Pontico Virunio, al quale aveva fatto tradurre dal greco opere di veterinaria. Dai documenti appare inoltre come in quei primi anni di reggenza Isabella d'Este si consultasse continuamente con i cognati sulle questioni più delicate, come l'allontanamento di Tolomeo Spagnoli, fedele segretario del marito, reo di essersi approfittato della fiducia concessagli per operare a fini personali.
Il 10 maggio 1521 il G. cedette il vescovado di Mantova al nipote Ercole forse per renderne più accessibile la nomina cardinalizia fortemente rincorsa dalla madre Isabella; ciò nonostante, fino alla sua morte egli continuò a svolgere un ruolo attivo nelle faccende ecclesiastiche, civili e giudiziarie mantovane, come è confermato dal conseguimento, il 30 genn. 1524, dietro sua espressa richiesta a Clemente VII, della concessione ai vescovi mantovani, "che le cause tutte vertenti nel Foro Episcopale, così civili, come criminali, miste, spirituali e profane, nelle quali si dovrebbe l'appellazione alla Santa Sede, ponno qui dellegarsi ad uno o più dottori di questo Collegio" (Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, b. 3278) e ciò al fine di evitare il dispendioso e iniquo ricorso a Roma.
Il G. morì a Mantova il 3 ott. 1525.
Le sue spoglie furono poste in un cassone ligneo e non nel sarcofago previsto, finanziato da Ercole Gonzaga e progettato da Giulio Romano, ma mai portato a termine, di cui rimangono alcuni lacerti di affreschi di mano di Fermo Ghisoni nella sagrestia vecchia del duomo di Mantova; fino al 1567 i resti del G., insieme con quelli del suo predecessore Ludovico, vescovo eletto di Mantova, subirono diversi trasferimenti, fino a quando, nel 1595, il vescovo Francesco Gonzaga fece edificare il monumento funebre in un pilone del presbiterio del duomo.
Il G. è spesso considerato un personaggio di poco o nessun conto, marginale rispetto alla storia dei suoi più stretti consanguinei e persino irriso, a causa di una pasquinata romana, che lo definiva "babbion mantovano", alla quale non doveva essere del tutto estraneo Pietro Aretino, che nel Testamento dell'elefante lo scherniva per la sua "loquacità ed intolerabile spuzor del fiado". Indagini più approfondite e un'analisi sulla sua figura condotta senza pregiudizi hanno invece evidenziato nel G. la presenza di doti di conoscitore e amante delle arti e delle lettere, come testimonia, per quest'ultimo aspetto, un prezioso codice del Petrarca già posseduto dal G. e ora conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana; fu inoltre committente di edifici di grande interesse architettonico, a Macerata e a Mantova, dove si deve alla sua volontà la costruzione del palazzo episcopale contiguo al duomo, ora sede del seminario; l'edificio, ricostruito nel XIX secolo, ma di cui si conservano tuttora alcuni vani e un soffitto ligneo di pregevole qualità nell'intaglio, fu poi arricchito dal G. con la sua raccolta di antichità. Tra le costruzioni che egli fece modificare e ampliare vi fu, dal 1502, il palazzo di Marengo Mantovano, di cui era preposito, adottato in seguito come residenza estiva dal G., così come è da ricordare la sua committenza di una foresteria ad Assisi. Per lui eseguirono alcune opere anche artisti come Lorenzo Lotto, Pier Iacopo Alari Bonacolsi detto l'Antico, mentre Francesco Brianza risulta annoverato tra i suoi servitori. L'inventario del suo testamento, redatto il 2 ott. 1525, elenca innumerevoli pezzi d'arte: alcuni dipinti, arazzi e tappeti preziosi, 880 medaglie d'argento, 89 d'oro, 264 di bronzo, numerosi cammei e pietre preziose incise.
Ebbe al suo servizio Giovan Francesco Boccalini da Asola, medico, filosofo, astronomo, astrologo, matematico e letterato e nel marzo 1507 anche Vincenzo Calmeta, amico del Boccalini, si offrì di entrare al suo servizio, ma il G., dietro consiglio del fratello Francesco, rifiutò l'offerta. Allo stesso modo, salvo sporadici contributi, non sembra essergli stato dato in passato il giusto riconoscimento neppure nell'ambito del collezionismo delle antichità: nel 1520 richiese per sé, ma invano, la statua romana di Giulia rinvenuta poco tempo prima presso Tolentino.
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