TIZIO, Sigismondo
TIZIO (de’ Ticci, Ticianus), Sigismondo. – Nacque nel 1458 a Castiglion Fiorentino, allora sottoposta a Firenze, ma con magistrature locali parzialmente autonome (Taddei, 2009, pp. 215-225). Il padre, Agapito di Andrea, era notaio e rivestì vari incarichi pubblici. La madre, Maddalena Vecchietti, era nata a Firenze (anche se, nel ricostruire la storia di Castiglione alla fine del XIV secolo, Tizio si servì del libro di ricordi di un avo materno, Pietro di Nestagino).
Tra i fratelli, Andrea, il maggiore, e Giovanni studiarono diritto; Agostino e Federigo studiarono medicina. Oltre agli stimoli ricevuti in famiglia, Sigismondo poté contare su buoni precettori, come Antonio Castelli e Giovanni Tami (Black, 1996), da cui imparò il latino. Tra gli eventi politici di maggior rilievo vissuti dal giovane Tizio – che anni dopo li rammenterà nelle Historiae – va ricordata la congiura dei Pazzi (1478), che per la guerra che ne seguì ebbe delle ripercussioni anche su Castiglione, sottoposta alle scorrerie delle truppe del Duca di Calabria.
Chiamato, appena ventenne, a far parte del Consiglio generale di Castiglione, di lì a poco si trasferì a Perugia per studiare diritto (1480). Non tornò più nel paese natale, se non per brevi periodi. La permanenza perugina, tuttavia, non durò a lungo: i continui scontri tra le famiglie degli Oddi e dei Baglioni e, in particolare, i tumulti scoppiati nel febbraio-marzo del 1482, spinsero Tizio, nel settembre di quell’anno, a spostarsi a Siena.
Neppure il contesto politico senese poteva dirsi tranquillo, per l’indole pacifica di Tizio, ma, pur disapprovando la litigiosità dei propri concittadini d’adozione – definiti «male bestie» (Piccolomini, 1903, p. 20) –, egli trascorse nella città toscana il resto della vita. Presso lo Studio frequentò i corsi di diritto di Giovanni Battista Caccialupi e di Bulgarino Bulgarini, ricordato nelle Historiae con ammirazione, e le lezioni di eloquenza di Niccolò Borghesi. Con quest’ultimo, esponente tra i più autorevoli del Monte dei Nove, Tizio strinse presto un rapporto di amicizia che lo coinvolse, suo malgrado, nella lotta tra le fazioni che si contendevano il potere in città.
A Tizio, che viveva ospite presso Borghesi, fu affidata la gestione degli affari di lui quando questi, nel dicembre del 1483, partì per Faenza. Nel novembre dell’anno successivo, si recò a Roma per tentare, invano, di convincere Borghesi a rientrare in città, onde scongiurarne la condanna al confino e alla confisca dei beni. Salvati a stento i propri averi, Tizio trovò accoglienza presso Andrea Todeschini Piccolomini, nipote di papa Pio II. Nei quindici anni successivi egli visse in casa Piccolomini, dove si occupò della formazione dei figli di Andrea: Alessandro, Giovanni e Pierfrancesco.
La nuova mansione non gli impedì di ottenere il diploma in utroque e di intraprendere, tra il 1487 e il 1492, la vita ecclesiastica. Nonostante il rapporto non idilliaco con il fratello di Andrea, il cardinale Francesco (futuro papa Pio III), il 14 febbraio 1495 gli fu concessa la parrocchia di S. Pietro a Cedda, vicino Poggibonsi. Intanto, la discesa in Italia di Carlo VIII toccò direttamente anche Siena, dove il sovrano francese fece il suo ingresso il 2 dicembre 1494. Tizio ne diede un ritratto fisico e morale molto negativo, e nel giugno seguente, quando Carlo riapparve a Siena, reduce dalla spedizione napoletana, vide con sdegno i senesi intenti a coinvolgere il re straniero nelle proprie discordie interne.
Intorno al 1500 abbandonò casa Piccolomini, forse a causa di un dissenso con il cardinale Francesco, o forse per i dissapori con alcuni familiari di lui. L’allontanamento non implicò comunque una rottura dei rapporti, soprattutto con Andrea e i suoi figli. Negli stessi mesi egli ricevette altri due benefici, di S. Antimo a Bibbiano e di S. Andrea a Mucigliano. Questi, insieme alla parte dell’eredità del padre Agapito (morto novantaseienne nel gennaio del 1494), lo resero economicamente indipendente, permettendogli di trasferirsi in una casa vicina alla chiesa di S. Sebastiano (allora di recentissima fondazione, nell’attuale piazzetta della Selva), dove visse per sei anni. Svolse l’ufficio di penitenziere in occasione dell’indulgenza plenaria indetta nella cattedrale senese nel 1501, e di nuovo per la Pentecoste del 1503, quando rifiutò di concedere l’assoluzione nei casi riservati, scontrandosi perciò con alcuni canonici meno rigorosi.
Il 22 settembre 1503 Francesco Piccolomini fu eletto papa Pio III. Tizio prese parte ai festeggiamenti, pur avendo invano suggerito ad Andrea di spostare la data di incoronazione del pontefice, poiché secondo i suoi calcoli astrologici quella prescelta (l’8 ottobre) non era propizia. Pio III morì dopo neppure un mese di pontificato. L’8 novembre 1503 Tizio scrisse al nipote del defunto papa, il suo vecchio allievo Alessandro, una vivace lettera di sfogo e insieme di condoglianze per le condizioni difficili in cui, oltre alla famiglia Piccolomini, si trovavano un gran numero di senesi a causa del fallimento del banco degli Spannocchi a Roma (Palmieri Nuti, 1877; Piccolomini, 1903, pp. 206-210).
Il suo distacco dalla politica – ancor più evidente durante il dominio di Pandolfo Petrucci – non impedì a Tizio di prendere posizione pubblicamente durante l’interdetto lanciato su Siena da Giulio II nel settembre del 1504: nonostante gli ordini contrari della Balìa, Tizio obbedì al pontefice, astenendosi dall’amministrazione dei sacramenti. Intanto, nell’agosto del 1506, acquistò da Domenico Spinelli una casa nel terzo di Camollia, vicino alla chiesa di S. Maria delle Grazie, dove visse il resto della sua vita, e dove cominciò la stesura delle Historiae nella forma pervenuta.
In data imprecisata fu nominato vicario arcivescovile da Giovanni Piccolomini, e tra il dicembre del 1523 e il febbraio del 1524 rinunciò ai benefici di S. Pietro a Cedda e di S. Andrea a Mucigliano a favore di due protetti, Pietro di Donato di Staggia e Paolo di Angelo da Castiglione, non senza un’irregolarità di cui fece ammenda due anni più tardi.
La pestilenza che colpì Siena nell’estate del 1523 gli portò via molti amici, e durante quella dell’estate del 1527 trovarono la morte i fratelli Agostino e Federigo. Da qualche tempo viveva in casa sua un figlio di Federigo, Agapito, a favore del quale Tizio diede disposizione nel suo testamento (oggi irreperibile). Intanto, nel 1526, la politica di Clemente VII, alleato con i fuorusciti Noveschi, si volse contro Siena. La città resistette bene all’assedio dell’esercito pontificio e fiorentino, che Tizio, sulla base della lettura di un passo di Macrobio, consacrò all’inferno durante la messa del 23 luglio. Tre giorni dopo, la battaglia di Camollia vide i senesi ottenere una vittoria insperata. Tizio ne gioì, pur non avendo preso direttamente le armi (come altri sacerdoti) per difendere la città, e pur non condividendo i sentimenti antipapali sfogati dai senesi durante i festeggiamenti.
Nella primavera dell’anno successivo la notizia del sacco di Roma lo colpì profondamente, tanto che egli fu tentato di interrompere la scrittura. Nonostante la percezione di una morte ormai imminente, continuò a lavorare alle Historiae, e gli furono assegnate due nuove parrocchie, dei Ss. Giacomo e Cristoforo (novembre 1527) e di S. Salvatore (luglio 1528).
Morì a Siena tra la fine di agosto e gli inizi di dicembre del 1528.
Di un buon numero di opere di Tizio, oggi perdute, si ha notizia grazie ad alcuni cenni contenuti nelle Historiae. Le due più consistenti dovettero essere l’Historia conciliorum, in cui particolare attenzione era prestata al Concilio di Costanza, e l’Historia barbarica, cominciata probabilmente nei primi anni del Cinquecento e dedicata alla storia dell’Oriente islamico e delle esplorazioni geografiche, soprattutto portoghesi. Di quest’ultima sopravvivono due quaderni di lavoro, in cui Tizio aveva copiato una serie di fonti, dal Contra legem Sarracenorum di Riccoldo da Montecroce al Liber Machometi di Beltramo Mignanelli (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 9374, I-II; v. Mahmoud Helmy, 2013). Scrisse inoltre sul morbo gallico, intorno al 1497, un De mundi termino; nel 1523 compose un Libellus redargutionum ad cardinalem senensem e, in data imprecisata, volgarizzò la vita di un eremita senese del XII secolo, scritta in latino da Andrea Piccolomini.
L’opera più importante di Tizio, tuttavia, furono le Historiae (l’aggettivo senenses che si legge nell’autografo è aggiunta posteriore).
Scritte nel corso di oltre vent’anni in modo non lineare né continuo, le Historiae non furono mai rilette per intero dal loro autore, il quale tornò tuttavia sui propri passi, anche a distanza di anni, con aggiunte e integrazioni (v. le indicazioni di Manuela Doni Garfagnini, in Historiae senenses, 1992, pp. XI s.), con l’obiettivo di costruire una storia ufficiale di Siena, fondata su una base documentaria amplissima e variegata. In alternativa al modello umanistico, incentrato sulla critica delle fonti e sulla coscienza della discontinuità dei processi storici, Tizio propose una storiografia volta a salvaguardare l’identità civile e culturale della sua patria di adozione e di altre cittadine di antica origine, ricomponendo la realtà storica sulla base della continuità della tradizione. In questa prospettiva conservatrice, il discorso di Tizio si sviluppa in modo disorganico, ora seguendo una scansione annalistica, ora lasciando spazio a digressioni su questioni, come la povertà di Cristo e degli apostoli (Lodone, 2017), o personaggi significativi per la storia intellettuale, religiosa o artistica del tempo: dal filosofo Pietro de’ Rossi (Fioravanti, 1980) a Girolamo Savonarola, dal Pinturicchio al Sodoma (Bartalini - Zombardo, 2012). Ad autori antichi e recenti, a leggende e a cronache, nelle Historiae sono giustapposti documenti di prima mano, spesso riportati nei loro originali manoscritti e a stampa (soprattutto negli attuali volumi IX-X; per un esempio v. Zambelli, 1987).
Di particolare rilievo sono i dati storici, archeologici ed epigrafici sulla cultura etrusca raccolti da Tizio nelle Historiae e in un quaderno autografo, cominciato agli inizi del Cinquecento e ripreso negli anni Venti del secolo (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, K.VI.97), che riporta una serie di appunti critici sull’autenticità dei Gesta Porsennae (Rowland, 1989, p. 126)
Altri codici parzialmente autografi sono Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, E.IV.2 (Ricordi diversi riguardanti Arezzo e Siena: v. Pertici, 2012, p. 20) e il Chigiano E.IV.123 della Biblioteca apostolica Vaticana, in cui nel 1487, «in domo magnifici domini Andree de Picolhominibus», Tizio copiò il De consolatione philosophiae di Boezio e il De remediis fortuitorum di Seneca (Passalacqua - Smith, 2001, pp. 435 s.).
Dopo la morte di Tizio, i 7 grossi volumi delle Historiae furono donati dal nipote ed erede Agapito alla Signoria senese, la quale il 23 giugno 1530 le affidò per un anno ad Alessandro Guglielmi, che non le avrebbe più restituite: da allora l’opera rimase in mano di privati, finché nel 1658 Flavio Guglielmi e Volunnio Bandinelli ne fecero dono al concittadino Fabio Chigi, asceso al pontificato con il nome di Alessandro VII (Turrini, 1995). L’autografo delle Historiae – oggi in 10 volumi in conseguenza di una nuova rilegatura – è conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana, con la segnatura Chigi, G.I.31-35, G.II.36-40. Da esso furono tratte una prima copia agli inizi del Settecento (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, B.III.6-15) e una seconda negli anni 1725-27, su commissio-ne dell’abate Galgano Bichi (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms. II.V.140, in 10 volumi, più tre di indici). Una copia ottocentesca, frammentaria, è conservata a Parigi, Bibliothèque national de France, Nouvelles Acquisitions Latines, 3139.
Opere. Le Historiae, cui attinse a piene mani l’erudizione sette e ottocentesca, rappresentano tuttora un riferimento imprescindibile per chiunque si avvicini al Rinascimento senese. L’opera è in buona parte inedita: il progetto di edizione, promosso dall’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, si è arrestato dopo tre volumi (Historiae senenses, I, t. 1, parte 1, a cura di M. Doni Garfagnini, Roma 1992; I, t. 2, parte 1, a cura di G. Tomasi Stussi, Roma 1995; III, t. 4, a cura di P. Pertici, Roma 1998).
Fonti e Bibl.: G. Palmieri Nuti, Lettera di M. S. T. da Castiglione Aretino a M. Alessandro di M. Andrea Piccolomi Aragona, scritta il dì 8 novembre dell’anno 1503, Siena 1877; P. Piccolomini, Una lettera inedita dello storico S. T. (13 luglio 1512), in Archivio storico italiano, s. 5, XXVIII (1901), pp. 306-313; Id., La vita e l’opera di S. T. (1458-1528), Roma 1903; M. Martelli, Il Rinascimento. L’ambiente e l’influenza di S. T., in Siena: le origini. Testimonianze e miti archeologici, a cura di M. Cristofani, Firenze 1979, pp. 120-126; G. Fioravanti, Pietro de’ Rossi. Bibbia ed Aristotele nella Siena del ’400, in Rinascimento, n.s., XX (1980), pp. 87-159; P. Zambelli, Il mostro di Sassonia nelle inedite Historiae Senenses di S. T., in Interpres, VII (1987), pp. 214-218; I.D. Rowland, Due ‘traduzioni’ rinascimentali dell’Historia Porsennae, in Protrepticon. Studi di letteratura classica ed umanistica in onore di G. Secchi-Tarugi, a cura di S. Prete, Milano 1989, pp. 125-133; M. Doni Garfagnini, Le fonti della storia e delle antichità: S. T. e Annio da Viterbo, in Critica storica, XXVII (1990), pp. 643-712; I.D. Rowland, Abacus and Humanism, in Renaissance Quarterly, XLVIII (1995), pp. 695-727; P. Turrini, Le disavventure senesi delle Historiae di S. T., in Studi in onore di Arnaldo D’Addario, a cura di L. Borgia et al., II, Lecce 1995, pp. 645-656; Studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rinascimento, a cura di R. Black, Arezzo 1996, pp. 169 s.; M. Passalacqua - L. Smith, Codices Boethiani, III, London-Torino 2001, pp. 435 s.; M. Doni Garfagnini, S. T. e le Tavole Eugubine: l’uso delle fonti nelle Historiae Senenses, in Rinascimento, XLIX (2009), pp. 373-400; G. Taddei, Castiglion Fiorentino fra XIII e XV secolo. Politica, economia e società di un centro minore toscano, Firenze 2009, ad ind.; R. Bartalini - A. Zombardo, Giovanni Antonio Bazzi, il Sodoma, Vercelli 2012, pp. 49 s.; P. Pertici, Siena quattrocentesca: gli anni del Pellegrinaio nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, Siena 2012, ad ind.; N. Mahmoud Helmy, Tra Siena, l’Oriente e la curia: Beltramo di Leonardo Mignanelli e le sue opere, Roma 2013, pp. 294-296; I.D. Rowland, A proposito di S. T., in Honos alit artes. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri, a cura di P. Maffei - G.M. Varanini, II, Firenze 2014, pp. 411-415; M. Lodone, La doppia povertà. Una inedita disputatio tra Giovanni XXII e Michele da Cesena, in Picenum Seraphicum, XXXI (2017), pp. 91-116.