MAYR, Sigismund
– Di origine tedesca, si ignorano sia l’anno di nascita sia la città di provenienza.
Le sole notizie che lo riguardano sono desumibili dai corredi paratestuali delle edizioni uscite dalla sua tipografia. Almeno dal 1493 operò a Roma collaborando con il connazionale Johann Besicken. Stando all’Indice generale degli incunaboli la produzione di questa società ascenderebbe a 23 incunaboli, l’ultimo dei quali realizzato nel 1496, fatto che induce a ritenere che il sodalizio tra i due tipografi si sia sciolto in quell’anno o poco dopo. Il M. decise di trasferirsi a Napoli, puntando su una ripresa dell’attività tipografica, completamente cessata tra il 1499 e il 1502 per effetto della crisi politico-militare che travolse la dinastia aragonese.
La fine della guerra tra Spagna e Francia per il possesso del Regno di Napoli favorì un graduale ritorno alla normalità, e la situazione di relativa tranquillità sociale rese possibile la ripresa dell’attività tipografica, che tuttavia non avrebbe più raggiunto le punte qualitative e quantitative del trentennio precedente. Tra gli atti di Gonzalo Fernández de Córdoba, entrato vittoriosamente in Napoli il 16 maggio 1503 assumendo la carica di viceré, se ne ricorda uno, del 1504, che «ordinava» a Pietro Summonte di «haver pensiero di far stampare le opere del Pontano, del Sannazaro et altre» (così un documento, attualmente perduto, del Repertorio de’ privilegi della R. Cancelleria dell’Arch. di Stato di Napoli, cit. in Minieri Riccio).
Tale documento si collega alla prima fase dell’attività napoletana del M.: dalla sua officina uscì nel marzo dello stesso 1504 la princeps dell’Arcadia di Iacopo Sannazaro curata da Summonte, il quale avrebbe continuato a collaborare con il M. per l’edizione di molte opere di G. Pontano. Tuttavia, prima di quella data il M. aveva già dato inizio alla sua attività a Napoli, riproducendo, con qualche aggiunta, l’edizione non autorizzata dell’Arcadia, stampata a Venezia l’anno precedente da Bernardino da Vercelli con il titolo di Libro pastorale nominato Arcadio (Mauro, pp. 347 s.). La data del colophon dell’edizione del M., 26 genn. 1503, segna l’inizio della tipografia cinquecentina napoletana.
Dall’editio princeps dell’Arcadia nella sua redazione definitiva prese l’avvio uno dei più clamorosi successi editoriali del secolo. Accanto al nome dello stampatore compare Summonte, nelle vesti di curatore dell’edizione, con l’esplicito riferimento al privilegio del viceré: «Impressa in Napoli per Maestro Sigismundo Mayr: con somma et assidua diligenza di Petro Summontio: nel anno. MDIIII. del mese di Marzo. Con privilegio del Illustrissimo. S. Gran Capitanio Vice Re: et generale Locotenente dela Catholica Maiestà: che per X anni in questo Regno tal opera non si possa stampare: né stampata portarsi da altre parti: sotto la pena: che in esso si contiene».
Da questo momento si andò consolidando il sodalizio tra il M. e Summonte, il cui zelo filologico appare finalizzato al salvataggio dell’eredità culturale degli esponenti più illustri della Napoli aragonese. Dopo una seconda edizione dell’Arcadia «novamente in Napoli restampita», probabilmente nel 1505 (Ersparmer, p. 40), ed emendata degli errori corsi nella prima, fu infatti avviata nel settembre 1505 la pubblicazione delle opere di Pontano con l’edizione delle poesie latine (Parthenopei, De amore coniugali, De tumulis ecc.). Curatore fu ancora Summonte, che dedicò il volume a Iacopo Sannazaro. Anche questa stampa reca, dopo il colophon, il dispositivo del privilegio decennale accordato dal viceré (Manzi, n. 4).
Non si può dire se per caso o per scelta il M. si trovò coinvolto nel progetto editoriale di Summonte. Oggettivamente, le edizioni delle opere di Pontano (sobri ma nitidi in folio di impianto ancora incunabulistico, stampati prevalentemente in caratteri romani) configuravano un programma di medio periodo, avviato nel 1505 e concluso nel 1512 con la pubblicazione di nove titoli in tutto. Il progetto non era immaginabile senza il supporto di investimenti da ricondursi probabilmente all’aristocrazia del Regno (in buona parte partecipe di quell’Accademia che proprio intorno al Pontano aveva vissuto la sua più esaltante stagione) e la strategia editoriale di Summonte, il quale ribadiva a ogni occasione la qualità del testo da lui attinto dagli autografi, ricollocati dopo l’edizione, in ossequio alla volontà testamentaria dell’autore, nella biblioteca annessa alla chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli («fideliter ex archetypis Pontani ipsius manu scriptis, quae post operum editionem P. Summontius, qua par fuit in Jovianum suum pietate, Neapoli in Bibliotheca Divi Dominici servanda collocavit»: colophon del De prudentia, Manzi, n. 11). Che il M. sia stato docile braccio operativo delle strategie editoriali di Summonte si rileva anche dalle dediche che precedono le edizioni di Sannazaro e Pontano, tutte firmate da Summonte e indirizzate a personaggi di alto rango.
Si deve tuttavia tenere presente che la tipografia napoletana, fin dalle origini e per un buon tratto del XVI secolo, non assunse mai i connotati di moderna impresa industriale, rimanendo confinata nell’ambito di una operosità artigianale, nella maggior parte dei casi legata a forme di mecenatismo o di committenza di tipo professionale (Toscano, pp. 147-156). Al M. va riconosciuto il merito di aver saputo dimostrare nell’esecuzione del progetto editoriale di Summonte doti di elevata qualità, che non mancò egli stesso di rivendicare negli anni successivi. Già nel colophon del De bello Neapolitano et De sermone di Pontano (maggio 1509, Manzi, n. 14) si trova la dizione «ex officina Sigismundi Mayr artificis diligentissimi», accoppiata al vanto di aver prodotto un’opera rigorosamente rispettosa sul piano della resa linguistica («Mira orthographiae ratione impressum»), così come in calce al De rebus coelestibus di Pontano del 1512 (ibid., n. 30) si autoproclama «summo ingenio artificis».
Nessuna delle tipografie attive a Napoli in quegli anni riuscì a competere per qualità e quantità con quella del M., ma dalle edizione del corpus pontaniano affiorano alcuni nomi di collaboratori, che di lì a qualche anno divennero stampatori in proprio.
Così nel colophon del De fortuna (1512) si legge: «Neapoli per Sigismundum Mayr germanum singularis ingenii Artificem, Antonio Vuerengrundt, Hyeronimo Taegio, Petroque Kirchberg ministris» (ibid., n. 27), mentre il De rebus coelestibus registra: «Ex officina Sigismundi Mayr Germani, summi ingenii, Ioannetto Salodio, Antonio Vuerengrundt, Evangelista Papiensi, Pedro Kirchberg et Jo. Philippo Nanio» (ibid., n. 30). Non meno importanti, data la penuria di fonti, anche le notizie relative ai responsabili della correzione dei testi. Accanto a Summonte, nelle Commentationes super centum sententiis Ptolemaei (ibid., n. 29) troviamo registrati i nomi dei suoi collaboratori: «An. MDXII. Ac fideliter omnia ex archetypis Pontani ipsius manu scriptis: quae Neapoli in Bibliotheca divi Dominici cu[n]ta servantur. Curavit rem diligenter P. Summontius Petro Rosa: Dionaeo Tornaquintio & Io. Vincentio Summontio coadiutoribus».
Nell’ottobre 1509 la collaborazione di Summonte con il M. produsse la seconda edizione di Tutte le opere del Cariteo (Benedetto Gareth), che seguiva la prima e più ridotta stampa realizzata da Giovanni Antonio De Caneto nel 1506. Il biennio 1513-14 sembrerebbe segnare, stando alla produzione superstite, un momento di flessione. Per il 1514 il Censimento delle edizioni italiane del XVI secolo riporta un breve trattato di Bernardino Landucci, De sensu composito et diviso, sebbene si tratti di edizione priva del nome del tipografo e solo congetturalmente attribuita al Mayr. Ai tre titoli registrati da Manzi per il secondo semestre del 1515 va aggiunto il Libellus de martyrio ac miraculis divi Ianuarii di Cesare Angelo Carpano. Ancora tre titoli per il 1516, mentre all’inizio del 1517 (ultimo anno di attività) uscì un’opera di gran mole, l’in folio di 180 carte della Expositio di Agostino Nifo al De coelo et mundo di Aristotele, ultimato il 23 marzo (Manzi, n. 39), con dedica dell’autore al cardinale Luigi d’Aragona, primo e per molti anni unico libro a presentarsi a Napoli munito dell’imprimatur dell’autorità ecclesiastica. Al mese di luglio risalgono il De agricultura opusculum di Antonino Venuti e le Utili instructioni di Giovanni Galluccio (ibid., nn. 37, 40), ritenuti gli ultimi libri prodotti dal M., in quanto il 30 dicembre successivo il Tractato perutile et deletabile nominato amatorium di Gregorio Mazza risulta «Impresso in Napoli per Madona Caterina qual fo mogliere de magistro Sigismondo Mayr» (ibid., n. 41).
Tuttavia, da un atto notarile risulta che il M. era già morto il 13 maggio 1517 e la vedova si era accollata i costi per la fornitura di carta ordinata dal M. e consegnata «in apoteca sitam et positam in vicus de sanguini» (Macchiavelli, p. 95). È questa l’unica indicazione dell’ubicazione della tipografia del M.: il vico «de Sanguini» (denominazione derivante dai De Sangro di Vietri), attualmente vico di S. Luciella, che collega trasversalmente via S. Gregorio Armeno con via S. Biagio dei Librai.
La morte del M. non comportò la fine dell’attività della tipografia, che continuò a produrre grazie alla moglie Caterina De Silvestro. Dopo il Tractato di Mazza troviamo talvolta la più generica indicazione «In aedibus Sigismundi Mayr teutonici» (Consuetudines inclyte civitatis Neapolis, 22 maggio 1518, Manzi, n. 42) con un bel frontespizio raffigurante Carlo II d’Angiò in trono in atto di approvare il testo delle consuetudini presentatogli da Bartolomeo da Capua, oppure, nel colophon della Gelosia del sole di G. Britonio (aprile 1519, Manzi, n. 44), «Impresso in Napoli: della stampa di Maestro Sigismondo Mair Alemano». Questo espediente può rivelare una cosciente strategia della vedova di presentarsi come continuatrice dell’opera del M., esibendo un marchio di qualità consolidata, in anni in cui la presenza a Napoli di altri tipografi poteva creare non pochi problemi di concorrenza. Nel 1523 (26 marzo) il colophon del De regnandi peritia di A. Nifo registra la semplice sottoscrizione «Neapoli in aedibus Dominae Catherinae de Silvestro» (Manzi, n. 52) e comunque dal 1520 il nome della vedova del M. compare costantemente.
L’attività tipografica di Caterina De Silvestro mostra un progressivo calo quantitativo fino al 1525, anno in cui sposò Evangelista Presenzani da Pavia, il cui nome, nella forma «Evangelista Papiensi», compare tra i collaboratori del M. già nel colophon del De rebus coelestibus di Pontano (1512). Il 10 nov. 1525 la società tra Evangelista Presenzani e Caterina De Silvestro è dichiarata nel colophon del Monoctium di Jeronimo Pérez: «Fuit hec Quaestio Impresse Neapoli per M. Evangelistam Papiensem: Et eius uxorem heredem M. quondam Sigismundi Mayr Calcographi» (Manzi, n. 57). Per il 1526, ultimo anno di attività della tipografia, l’intera produzione superstite (sei unità: cfr. Manzi, nn. 59-64) è firmata esclusivamente da Evangelista, che quattro volte su sei si autocertifica come «haeredem M. Sigismundi Mayr Theutonici». Si deve pensare che Caterina De Silvestro abbia delegato l’intera attività al secondo marito oppure che sia stata vittima dell’epidemia di peste che colpì Napoli dal finire del 1525 al 1527 (Macchiavelli, pp. 107 s.).
Sebbene una consolidata tradizione di studi (da ultimo Ascarelli - Menato) abbia unificato sotto il marchio Mayr anche l’intera produzione di Presenzani, questi, prima del matrimonio con la vedova, aveva stampato da solo almeno tre edizioni, due delle quali sfuggite alla ricognizione di Manzi. Due sono di G. Britonio: l’Epistola… de inani diluvii metu ad coniugem, «Impressa Neap[oli]: per. M. Evangelistam Papien[sem] XX. mensis Ianuarij M.D.XXIIII» (Toscano, p. 26), mentre all’anno successivo (8 marzo) risale il Triompho in lode di Ferrante Francesco d’Avalos, vincitore della battaglia di Pavia, il cui colophon recita «Stampata in Napoli nella Stampa di M. Evangelista di Presenzani di Pavia» (Manzi, n. 56), operetta molto rara, «la cui illustrazione ricorda caratteristiche dell’arte fiorentina» (Guerrieri, p. 195). Manzi (p. 19) ritiene che a quella data (8 marzo 1525) «la tipografia doveva essere sotto la direzione, tecnica non solo, di Evangelista». Ma è spiegazione che non rende ragione del mutamento della sottoscrizione a partire dal Monoctium di Pérez del novembre successivo, né tiene conto che nel settembre Evangelista produsse da solo un altro titolo: Capituli et constitutioni de la Fraternita et compagnia de Bianchi… sotto el titulo de Succurre Miseris de Napoli (In Napoli: per Evangelista di Presenzani Papien. Adì xii Septembro 1525). È più plausibile ipotizzare che Evangelista abbia cominciato in proprio l’attività di stampatore agli inizi del 1524 e che nei mesi successivi al settembre 1525 abbia sposato Caterina De Silvestro, fondendo in tal modo l’attività delle due tipografie.
Il M. impiegò prevalentemente «bei caratteri romani» (Manzi, p. 22), molto più raramente i caratteri gotici. Non fu mai stampato un intero libro con caratteri greci; nei casi in cui l’impiego di caratteri greci era necessitato (soprattutto citazioni), il tipografo lasciava degli spazi bianchi, suppliti manualmente dai correttori o dagli stessi acquirenti. Nel 1515 e nel 1517, nell’Oratio in laudem civitatis Neapolitanae di Zanobi Acciaiuoli (Manzi, n. 32) e nel commento di Nifo all’aristotelico De coelo et mundo, fanno la loro comparsa piccoli brani in caratteri greci. Il corsivo fu impiegato per la prima volta a Napoli da Caterina De Silvestro per il Ludus equestris in honorem Caesaris di Marcello Paloni e per l’Aerotopaignion di Girolamo Angeriano, entrambi del 1520 (ibid., nn. 46 s.), mentre l’unico testo che presenta postille in caratteri greci (solo a c. 3) è il De regnandi peritia (1523) di A. Nifo (ibid., n. 50).
Nella prima fase dell’attività, le stampe del M. non presentano illustrazioni di particolare pregio. Solo dal 1512 le lettere di attesa sono sostituite da iniziali xilografiche. I continuatori del M. fecero più frequentemente ricorso alle illustrazione xilografiche, alcune delle quali di particolare pregio, come la Crocifissione stampata nel verso del frontespizio del Satis metuendi diluvii verissima liberatio di Giovanni Elisio del 1523 (ibid., n. 55: l’edizione è però priva del nome del tipografo), attribuita da Donati (p. 104) alla scuola del «Maestro dell’Esopo». Dalle superstiti edizioni del M. non si rileva l’uso di una specifica marca tipografica, mentre a giudizio di Bresciano la vedova avrebbe esibito nel trattatello astrologico Mundo praesens dirigit opus di Giovanni Abioso del 1523 (Manzi, n. 51) una propria insegna riproducente il monogramma di Cristo (iniziali Y.H.S.) nell’ostia radiante (Zappella, 1986, fig. 862). Altra marca raffigurante un ellissoide sormontato da asta con croce traversa (ibid., fig. 488) sarebbe stata impiegata precedentemente dal M. nell’edizione del De sensu composito et diviso di Bernardino Landucci. In entrambi i casi tuttavia, stante l’unicità dell’impiego, è plausibile pensare a elementi di corredo ornamentale più che a vere e proprie insegne tipografiche.
Fonti e Bibl.: L. Giustiniani, Saggio storico-critico sulla tipografia del Regno di Napoli, Napoli 1793, pp. 113-117; G. Bresciano, Le insegne dei tipografi napoletani dei secoli XV e XVI, Napoli 1919, p. 10; L. Donati, Discorso sulle illustrazioni dell’«Esopo» di Napoli (1485) e sulla «Passio» xilografica, in La Bibliofilia, L (1948), pp. 53-107; A. Mauro, Le prime edizioni dell’«Arcadia» del Sannazaro, in Giorn. italiano di filologia, II (1949), pp. 341-351; F.J. Norton, Italian printers 1501-1520, London 1958, p. 59; G. Guerrieri, L’illustrazione del libro a Napoli nel sec. XV e al principio del sec. XVI, in Studi bibliografici. Atti del Convegno dedicato alla storia del libro italiano…, Bolzano… 1965, Firenze 1967, pp. 175-196; L. Balsamo - A. Tinto, Origini del corsivo nella tipografia italiana del Cinquecento, Milano 1967, p. 119; C. Minieri Riccio, Biografie degli accademici alfonsini, Bologna 1969, p. 419; P. Manzi, La tipografia napoletana nel ’500. Annali di Sigismondo M. - Giovanni A. De Caneto - Antonio De Frizis - Giovanni Pasquet de Sallo (1503-1535), Firenze 1971; G. Zappella, Tipografia campana del Cinquecento: centri e stampatori. Diz. storico-bibliografico, Napoli 1984, pp. 16, 20 s.; Id., Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, Milano 1986, I, pp. 159, 253; II, pp. 498, 862; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze 1989, pp. 28 s.; F. Ersparmer, Introduzione a I. Sannazaro, Arcadia, Milano 1990, pp. 40 s.; T.R. Toscano, Contributo alla storia della tipografia a Napoli nella prima metà del Cinquecento (1503-1553), Napoli 1992, pp. 17-27; G. Macchiavelli, Caterina De Silvestro. Una donna tipografa nella Napoli del Cinquecento, in Per la storia della tipografia napoletana nei secoli XV-XVIII. Atti del Convegno internazionale… 2005, a cura di A. Garzya, Napoli 2006, pp. 91-111; L. Hain, Repertorium bibliographicum, nn. 8547, 13311, 12524; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, ad ind.; Le cinquecentine napoletane della Biblioteca universitaria di Napoli, a cura di G. Zappella - E. Alone Improta, Roma 1997, nn. 17, 20, 30, 49, 79, 81, 82, 91, 92, 133; Censimento delle edizioni italiane del XVI secolo, .