sildenafil
Il meccanismo di funzionamento degli inibitori della 5-fosfodiesterasi
Nel 1998 il premio Nobel per la medicina o la fisiologia fu assegnato a tre scienziati (R. Furchgott, L.J. Ignarro, F. Murad) che nel 1986 avevano dimostrato che il monossido d’azoto (NO) è l’importante mediatore endogeno che svolge un ruolo essenziale nel controllo della vasodilatazione. Lo studio era stato molto complesso, in quanto NO non viene accumulato nelle cellule del nostro organismo, ma prodotto solo al momento del bisogno e con tempo di emivita molto breve. NO si forma nell’endotelio dei vasi e diffonde verso le cellule della muscolatura liscia, determinandone il rilassamento. Nel 1991 S. Snyder ha dimostrato che NO non si forma solo nell’endotelio dei vasi, ma anche nei neuroni, e l’ha classificato come neurotrasmettitore. Lo stesso autore ha svolto un esperimento in cui ha dimostrato che l’erezione prodotta in un ratto stimolando elettricamente i nervi penieni può essere impedita bloccando farmacologicamente la formazione di NO. Basandosi su questi risultati, I. Osterloh ha potuto comprendere il meccanismo dell’effetto collaterale (erezione) osservato durante le prove cliniche effettuate con il sildenafil, una molecola prima proposta e poi scartata per la cura dell’angina pectoris.
In seguito a uno stimolo sessuale (fisico o psichico) si produce NO a partire dall’amminoacido L-arginina, che viene scisso dall’enzima nitrossido sintasi (NOS) in L-citrullina e NO. Quest’ultimo viene rilasciato dalle terminazioni nervose non-colinergiche, non-adrenergiche e dalle cellule endoteliali del pene, diffondendo nelle cellule della muscolatura liscia e legando lo ione ferro del sito attivo di un altro enzima, la guanilato ciclasi. Questo legame stimola la produzione del guanosinmonofosfato ciclico (cGMP) il quale, a sua volta, stimola la proteinchinasi G; questa determina la fosforilazione delle proteine che hanno il compito di impedire l’entrata del calcio nella cellula del muscolo liscio. La riduzione del calcio produce un rilassamento muscolare. Tutti questi eventi producono la dilatazione delle arterie del pene con aumento del flusso di sangue a livello dei corpi cavernosi, e conseguente erezione. L’erezione termina quando l’enzima fosfodiesterasi idrolizza il cGMP. Esistono diverse isoforme di fosfodiesterasi, ma quelle che metabolizzano in modo esclusivo il cGMP sono il tipo 5, 6 e 9. Nel pene sembra avere un ruolo predominante la fosfodiesterasi di tipo 5. Alcune forme di impotenza possono essere trattate aumentando il tempo d’azione del cGMP attraverso l’inibizione della fosfodiesterasi di tipo 5. Il sildenafil è stato il primo inibitore di questo enzima.
Dopo il sildenafil, commercializzato a partire dal 1998, sono stati introdotti in terapia anche il tadalafil e il vardenafil. Le molecole hanno tutte lo stesso meccanismo d’azione, ma si differenziano per la farmacocinetica (l’effetto del tadalafil è più rapido e si prolunga fino a 36 ore), la potenza (il vardenafil è il più potente) e la selettività nei confronti della 5-fosfodiesterasi (tadalafil e vardenafil sono i più selettivi). La loro efficacia dipende dall’integrità anatomica del pene e della sua innervazione, ma anche da una libido normale, che dipende dal sistema nervoso centrale. Dal momento che la loro azione consiste nel potenziare un’attività fisiologica, difficilmente provocano problemi di priapismo, che sono comuni invece con sostanze che agiscono a prescindere dalla libido e dall’innervazione (come le prostaglandine).
Il sildenafil è un forte inibitore della 5-fosfodiesterasi, ma anche con minor selettività delle isoforme 1 e 6. L’isoforma 6 svolge un ruolo importante nel funzionamento dei coni e bastoncelli della retina e quindi nella visione. Inoltre, essa regola i livelli del cGMP intracellulari facendoli aumentare in caso di buio e diminuire quando si ha la fotoeccitazione della rodopsina. Questo delicato meccanismo viene alterato se la fosfodiesterasi non funziona adeguatamente, con conseguenti disturbi della visione, ma anche distruzione dei fotorecettori e degenerazione della retina. Gli inibitori della 5-fosfodiesterasi passano la barriera sangue-retina e bloccano la 6-fosfodiesterasi; a questo blocco sono imputate le modeste anomalie osservate quando l’attività della retina viene registrata con gli elettroretinogramma. Tuttavia, occorre ricordare che anche la 5-fosfodiesterasi è presente in alcune strutture oculari, nelle cellule della retina e nei vasi retinici, per cui gli effetti oculari degli inibitori dell’enzima potrebbero essere dovuti a cambiamenti nel flusso sanguigno oculare. Per questo motivo, l’utilizzo di inibitori più selettivi della 5-fosfodiesterasi rispetto alla 6 non garantisce l’assenza di effetti oculari. Pertanto, in attesa di delucidare meglio i meccanismi di tali effetti, alcuni ricercatori sconsigliano l’uso degli inibitori della 5-fosfodiesterasi in persone con difetti genetici che riguardano coni e bastoncelli.
È stato ipotizzato l’utilizzo degli inibitori della 5-fosfodiesterasi per potenziare la sensibilità degli organi genitali femminili attraverso una maggiore vasodilatazione, ma le prove a sostegno sono ancora molto scarse. L’inibizione della 5-fosfodiesterasi può essere sfruttata per la terapia di altre patologie in cui NO e cGMP svolgono un ruolo importante, per es. nei pazienti che soffrono di ipertensione polmonare, in quanto con questi farmaci si ottiene una vasodilatazione con meccanismo del tutto simile a quello descritto per il pene. Tra i fattori scatenanti un’emorragia subaracnoidea è stata ipotizzata una riduzione dell’attività di NO sulle arterie cerebrali, e diversi modelli animali hanno dimostrato che l’inibizione della fosfodiesterasi può ridurre l’estensione del danno e favorire il recupero. Gli inibitori delle fosfodiesterasi sono stati proposti anche nella fibrosi cistica, in quanto in alcuni modelli in vitro hanno stimolato la produzione di mucina.