SILENZIO
. Diritto. - Indica nell'uso tecnico giuridico il comportamento di chi non contraddice o non si oppone a una proposta o a un atto altrui.
Diritto romano. - Questo comportamento nelle fonti romane non significa né consenso, né dissenso; esso manifesta soltanto patientia, quando chi tace si trovi in condizione da potersi giuridicamente e fisicamente opporre a un atto altrui e abbia conoscenza di questo atto La patientia, secondo i giuristi romani si distingue dalla voluntas vera e propria per essere qualcosa di meno.
Questa affermazione, tuttavia, parrebbe in contrasto con numerose decisioni delle stesse fonti, in cui la patientia e il silenzio sono rispettivamente equiparati alla volontà e al consenso. Fermo restando il principio che il silenzio non equivale a consenso, quelle decisioni delle fonti, in cui nei risultati pratici si vedono attribuiti al silenzio gli effetti del consenso, si spiegano come prodotto della libera interpretazione giurisprudenziale o come creazione di organi quasi legislativi, che procedettero all'equiparazione stessa non già seguendo criterî logico-giuridici, ma solo in base a criterî di utilità sociale, non riducibili a principio. D'altra parte, la lettura dei passi, in cui è negata quella distinzione logica e la patientia appare forma di voluntas e il silenzio di consenso, prova soltanto che i giuristi romani non sempre osservarono rigidamente la proprietà di linguaggio che di solito osservavano e raccomandavano. Quando la compilazione giustinianea si studiò da un punto di vista esclusivamente dommatico e l'interprete si trovò in presenza, tanto di passi in cui era affermata la distinzione teorica e pratica fra il silenzio e il consenso, quanto di passi in cui era l'affermazione contraria, sorse, naturalmente, il problema di sapere se e quando il silenzio potesse valere consenso.
Diritto italiano. - Non esistono speciali disposizioni che determinino in generale il valore del silenzio. Di fronte agli articoli di legge, che attribuiscono al silenzio efficacia di consenso, sta aperto il problema pratico se quelle statuizioni abbiano carattere di ius singulare o non piuttosto possano considerarsi quali particolari applicazioni di un principio generale. Se l'indagine storica delle decisioni delle fonti romane non è fallace, non vi può essere dubbio ad accogliere come esatta la soluzione di coloro, i quali sostengono l'eccezionalità dei casi in cui al silenzio è attribuita la stessa efficacia del consenso e che perciò negano si possa procedere a estensioni analogiche delle statuizioni legislative.
Bibl.: O. Ranelletti, Il silenzio nei negozi giuridici, in Riv. ital. scienze giuridiche, XIII (1892), p. i segg.; V. Simoncelli, Il silenzio nel diritto civile, in Rend. Ist. Lombardo, XXX (1897), p. 253 segg.; G. Pacchioni, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Riv. dir. commerciale, II (1906), p. 23 segg.; S. Perozzi, Il silenzio nella conclusione dei contratti, ibid., I (1906), p. 509 segg.; A. Sraffa, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Giurisprudenza italiana, IV (1908), p. 353 segg.; P. Bonfante, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Scritti giuridici varii, Torino 1921, III, p. 150 segg.; B. Dusi, Istituzioni di diritto civile, ivi 1929, I, p. 131; G. Donatuti, Il silenzio come manifestazione di volontà, in Studi in onore di P. Bonfante, IV, Milano 1930, p. 459 segg.; C. Magni, Il silenzio nel dir. canonico, in Riv. di dir. privato, IV (1934), p. i segg.