MUSITELLI, Silvana
(Lilia Silvi). – Nacque a Roma il 23 dicembre 1921, in una famiglia della borghesia agiata.
Di temperamento vivace, tanto che in famiglia le diedero il soprannome di “piccolo terremoto”, dimostrò fin dalla più tenera età una notevole disposizione per la recitazione e una passione frenetica per la danza, frequentando la scuola di ballo del teatro dell’Opera di Roma, ma dovette abbandonare i suoi sogni da ballerina per disturbi alle gambe. Nel medesimo tempo mostrò disposizione per il canto e per la musica in generale, prendendo lezioni da suor Silvestra – suora spagnola dell'ordine delle Dorotee, e insegnante presso le scuole magistrali dov'era iscritta – che la fece assumere come corista presso la scuola rionale che frequentava alle elementari e le fece cantare il motivetto Una gita a li castelli durante la festa dell’Infiorata di Genzano.
Recitò quindi nel teatro dei Pupi per il dopolavoro di Casa reale e subito dopo al cinema riuscendo, appena quattordicenne, a ottenere un ruolo nel film Il cantico dell’amore (con lo pseudonimo Alice D’Artena) sotto la guida di Salvatore Fernando Ramponi.
Il film – dove fu doppiata da Wanda Tettoni – si rivelò un insuccesso ma venne riproposto nel 1940 con titolo cambiato in La capanna dell’amore, grazie alle notorietà che nel frattempo Silvana aveva conquistato con interpretazioni indovinate in altre opere cinematografiche. Il film riscosse comunque il medesimo esito negativo, sia in termini di pubblico sia di critica. Nel frattempo, a cominciare da Il signor Max (1937), aveva assunto il nome d'arte Livia Silvi, suggeritole da un insegnante di latino e poi confermato dal regista Domenico Gambino, amico di famiglia, che la diresse in due film tra il 1939 e il '40. Sempre con riferimento al doppiaggio, Lilia ebbe la voce di Rosetta Calavetta in un altro film, Il segreto di Villa Paradiso, discreto poliziesco per la regia di Domenico M. Gambino realizzato nel 1939 e distribuito nel gennaio 1940, dove interpretò una ragazzina addetta a un distributore di benzina.
Con sfrontata sicurezza e audacia, Lilia Silvi riuscì, usando vari stratagemmi, ad accedere a Cinecittà, inaugurata da poco, eludendo la sorveglianza del severo portiere Pappalardo che controllava attentamente l’ingresso agli studi, riuscendo a girare due o tre film prima di approdare a una meritata popolarità con il personaggio di una pestifera scolaretta, spavalda e impicciona, nella commedia Assenza ingiustificata (di Max Neufeld, 1939), compagna di scena di Alida Valli, con la quale instaurò un rapporto di amicizia leale e duratura. Il film, cui partecipò grazie alla conoscenza casuale con Sergio Amidei – conquistato dalla sua vivacità e dalla sua candida personalità – fu un successo strepitoso per l’epoca e le dette occasione di conoscere Amedeo Nazzari, divo di prima grandezza e con il quale poi fece coppia in commedie ch'egualmente riscossero enorme successo e popolarità.
Subito dopo vide campeggiare il proprio nome sui manifesti pubblicitari, unica donna accanto a Sergio Tofano e Andrea Checchi in Giù il sipario (1940), commedia dolceamara di Raffaello Matarazzo ambientata nel mondo della prosa teatrale.
Il lancio definitivo nell'universo cinematografico si deve comunque alla commedia briosa-sentimentale di stampo hollywoodiano, su sceneggiatura di Amidei e Alessandro De Stefani, Dopo divorzieremo (di Nunzio Malasomma, 1940) in cui Lilia riuscì ad assicurarsi anche il plauso della critica, sempre come ragazzina dal carattere turbolento, mostrando un self-control inimmaginabile per la sua consueta irruenza, accanto a Nazzari, costretto a sposarla per burla, e in contrasto a una affascinante e bellissima Vivi Gioi.
Proprio in merito al successo di Dopo divorzieremo, Nunzio Malasomma fu chiamato in Spagna per realizzare la versione iberica dal titolo El marido provisional con interpreti Roberto Rey e Maria Mercader che di lì a poco giunse in Italia, mentre il terzo ruolo fu ancora di Lilia Silvi, che con sfrontata audacia dichiarò d'essere a conoscenza della lingua spagnola. Una bugia vera e propria, nel carattere della signorina “terremoto”, ma, fortunatamente per lei, tutto si risolse per il meglio.
Il binomio Silvi-Nazzari funzionò alla perfezione, grazie anche a un solido affiatamento che permise ai due attori d'essere chiamati da produttori e registi per film di sicuro successo, soprattutto nel biennio 1941-42, nonostante la situazione bellica. In questo frangente la Silvi ebbe l’occasione di interpretare due personaggi a lei molto congeniali e dei quali fu molto orgogliosa, anche perché la critica sui giornali fu meno ostile.
Il primo (Scampolo, 1941), diretto con sobrietà da Malasomma, tratto dalla commedia omonima di Dario Niccodemi e cavallo di battaglia a teatro di prime donne come Dina Galli e Anna Magnani, fu il banco di prova per Lilia impegnata nel personaggio della stiratrice, a metà strada tra una ragazzina e una donna. Senza sbavature né sentimentalismi la Silvi fu schietta e disinvolta, perfettamente in parte accanto a un Nazzari in piena forma. Sempre con Nazzari nel 1942 interpretò La bisbetica domata (di Ferdinando Maria Poggioli), adattamento in chiave moderna del testo di William Shakespeare, di cui tuttavia nei titoli di testa non si fa alcun cenno, sostanzialmente per questioni politiche, dal momento che l’Italia si trovava in guerra con l’Inghilterra.
La Silvi ci mise tutta l’anima e il suo temperamento “tutto pepe”, a costo di mostrarsi sopra le righe, ringhiosa e irascibile, ai limiti dell’isteria benché a suo agio nel personaggio, pur con parecchie critiche negative e un esito commerciale inferiore alle aspettative. E accanto a lei, sempre Nazzari, poi partner (nei panni d'un pilota d'aereo in avaria) nella gradevolissima commedia Giorni felici (di G. Franciolini, 1942), del quale si innamorano non solo lei, Lilia, ma anche altre sue compagne di una vacanza estiva (Vera Carmi e Valentina Cortese). Sempre nel 1942, positivo per condizioni personali ma angustiato dalla situazione bellica, fu al centro di un magnifico terzetto, insieme con Irasema Dilian e Carla Del Poggio, in Violette nei capelli diretto con grazia e un briciolo di furbizia da Carlo Ludovico Bragaglia.
Qualche anno prima, il 28 agosto 1940, quasi di nascosto, si era unita in matrimonio con Luigi Scarabello, calciatore di squadre liguri (prima Spezia, poi Genoa), medaglia d'oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936, dall'unione con il quale ebbe tre figli (due femmine e un maschio). Riuscì anche a farlo recitare, con lo pseudonimo Sergio Landi, in due film in cui lei era fra le principali interpreti: la commedia Barbablù, realizzata da Bragaglia nel 1941, e il già citato Violette nei capelli. Il marito le fu inoltre accanto, come assistente alla regia, in film in cui era impegnata.
Tra il 1943 e il 1944, in anni turbolenti e difficili, la Silvi fu presente in altri due film in cui interpretò i soliti ruoli, a lei congeniali, di ragazza briosa e spontanea, scatenata e impulsiva: La vispa Teresa di Mario Mattòli e in Il diavolo va in collegio di un regista francese in vacanza in Italia, Jean Boyer, di mediocre accoglienza.
In quei primi anni Quaranta, la Silvi confermò di avere una certa disposizione per il canto, riuscendo a incidere alcune gradevoli canzoncine, Leitmotive di alcuni film da lei interpretati, tra cui: Giorni felici di Bixio - Nisa con il trio Aurora; quindi Sento il cuor che batte di D’Anzi inserita in La vispa Teresa, Il valzer dell’usignolo di Bruno - Di Lazzaro in Il diavolo va in collegio e La bisbetica domata di Bixio - Nisa dal film omonimo.
Al termine della guerra, tentò di riprendere i contatti con il cinema per accorgersi con amarezza che tutto era cambiato, che lei era cresciuta e che difficilmente poteva ottenere i ruoli desiderati. Nel 1946 fu sotto la guida di Carmine Gallone nella commedia Biraghin nel ruolo di un’allieva ballerina del teatro alla Scala, film discreto ma che non le arrecò nulla di nuovo. Nel 1951 fu, invece, una tamburina sanculotta, di supporto a Renato Rascel in Napoleone, modesta farsa di Carlo Borghesio.
Non trovando più ruoli soddisfacenti, si dedicò al teatro, suo primo amore, apparendo nella commedia leggera di Giulio Scarnicci e Renzo Tarabusi Chi vuol esser lieto sia… accanto a Carlo Campanini, Anna Maestri e Franco Scandurra. Successivamente calcò il palcoscenico a fianco di Pina Cei, Annibale Betrone, Filippo Scelzo, sebbene per breve tempo. Ritiratasi quindi a vita privata, si dedicò alla famiglia.
Per un lungo periodo fu lontana dai riflettori, facendo tornare a parlare di sé in occasione della presentazione nel 2005 della pubblicazione della sua biografia dal titolo Una diva racconta se stessa e il suo cinema. Tuttavia, dopo circa sessant’anni di assenza dal grande schermo, Lilia Silvi fece un colpo di scena inaspettato, ricomparendo nel film Gianni e le donne (2011) di Gianni Di Gregorio, abile nel dirigere donne anziane con garbo e misura, senza incedere in sbavature caricaturali.
Nel secondo decennio degli anni Duemila, ebbe un “breve” ritorno di popolarità grazie al documentario In arte Lilia Silvi, realizzato da Mimmo Verdesca, con interventi di Orio Caldiron, in cui, nell'arco di una lunga intervista, raccontava la sua carriera e le soddisfazioni ottenute dal plauso del pubblico nei primi anni Quaranta nonché, successivamente, la decisione “irrevocabile” di ritirarsi dalle scene per dedicarsi a marito e figli. Un documentario ben realizzato che ottenne un Nastro d’argento nel 2012 nell'ambito del Festival internazionale del cinema di Roma e che fece conoscere agli spettatori più giovani questo “fenomeno” del cinema italiano d’anteguerra. La Silvi ottenne inoltre il premio alla carriera «Chioma di Berenice», consegnatole da Giovanna Ralli presso la Casa del cinema di Roma nel novembre 2011; poco dopo, nel gennaio 2012, fu gratificata da una serata a lei dedicata (con la proiezione del documentario di Verdesca nel romano teatro Eliseo), mentre in aprile fu ospite, sempre con Verdesca, della trasmissione Apprescindere presentata da Pino Strabioli su RaiTre. Nel maggio dell’anno successivo, infine, fu insignita con il premio Marcello Sgarlata.
Morì nella sua casa di Nettuno (Roma) il 27 luglio 2013.
Filmografia (esclusi i film già citati nel testo): Il signor Max (M. Camerini, 1937); Partire (A. Palermi, 1938); Arditi civili (D.M. Gambino, 1940); Scarpe grosse (D. Falconi, 1940).
Fonti e Bibl.: Lilia Silvi, Una diva racconta se stessa e il suo cinema, introd. di S. Micheli, Firenze 2005.
Darling [D. Danton], Viaggi in casa di Lilia Silvi, in Cine illustrato, n. 47 (25 novembre 1946); G. Orcesi, Lilia Silvi: oggi stella, ibid., n. 48 (2 dicembre 1946); Filmilexicon degli autori e delle opere, VI, Autori, Roma 1964, pp. 605 s. (C.A. Peano); Il Cinema dei «Telefoni Bianchi», in Il Cinema. Grande storia illustrata, II, Novara 1981, p. 38; Aggiornamenti e integrazioni 1972-1991, a cura di A. Bernardini, Roma 1992, pp. 930 s.; E. Lancia - S. Masi, Stelle d’Italia. Piccole e grandi dive del cinema italiano dal 1930 al 1945, Roma 1994, I, pp. 97-100; R. Chiti et al., Le attrici. Diz. del cinema italiano, Roma 2003, pp. 324 s.; Storia del cinema italiano, a cura di E.G. Laura - A. Baldi, VI (1940-1944), Venezia-Roma 2010, pp. 62, 113, 116, 191, 211, 245 s., 333, 357; G. Rondolino, Diz. del cinema italiano 1945-1969, Torino 1969, p. 347; F. Savio, Cinecittà anni Trenta: parlano 116 protagonisti del secondo cinema italiano, 1930-1943, III (NAZ-ZAV), a cura di T. Kezich, Roma 1979, pp. 1009-1020.