GIGLI, Silvestro
Nacque a Lucca nel gennaio 1463 da Nicolao. La sua famiglia, da cui già nel Duecento e nel Trecento erano usciti numerosi dottori e notai, apparteneva al patriziato lucchese e aveva conosciuto una brillante ascesa grazie allo zio del G., Giovanni, collettore degli spogli in Inghilterra, vescovo di Worcester e ambasciatore d'Inghilterra alla corte di Roma.
Dopo i primi studi, nel febbraio 1472 ricevette gli ordini minori e iniziò ancora giovane a collaborare alle lucrose attività dello zio. Nel corso degli anni Novanta del Quattrocento accumulò numerosi benefici della diocesi di Lucca, che gli vennero rassegnati dallo zio o da altri parenti e che lo resero "cortigiano molto commodo, et insigne" (Lucca, Bibl. statale, ms. 1008, c. 23r).
Limitandoci ai più importanti, basterà ricordare il priorato di S. Michele in Foro, un canonicato nella cattedrale di S. Martino, le rendite dell'abbazia di Cantignano e l'ospedale di S. Michele di Contesora.
La carriera ecclesiastica del G. ricevette poi nuovo impulso dall'improvvisa morte dello zio, avvenuta a Roma nel 1498. Infatti papa Alessandro VI, richiamandosi al diritto della S. Sede di disporre delle diocesi il cui titolare fosse morto in Curia, nel concistoro del 23 dic. 1498 conferì al G. il vescovato di Worcester. Ottenuta la ratifica del re d'Inghilterra, che intendeva servirsi di lui come suo agente a Roma, il G. prese possesso del vescovato, che mantenne per tutta la vita, ma che non amministrò direttamente, limitandosi a percepirne le rendite.
Tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento il G. rimase a Roma, partecipando a importanti eventi, come il battesimo del figlio di Lucrezia Borgia, Roderico, e l'elezione papale del 1503, nel corso della quale ebbe l'incarico di custode del conclave. Ma soprattutto egli cominciò ad assumere una funzione di rappresentanza degli interessi inglesi a Roma, affiancandosi ad Adriano Castellesi, che aveva ottenuto la collettoria d'Inghilterra e che nel 1503 venne nominato cardinale. Tra il G. e il Castellesi si venne peraltro a determinare una certa specializzazione di funzioni, perché il più autorevole Castellesi si incaricò di trattare le questioni politicamente più delicate, mentre al G. restò appoggiata la cura degli affari ordinari. La buona armonia tra i due non durò tuttavia a lungo. Già dal 1504 cominciarono a circolare una serie di accuse reciproche, che resero difficoltosa l'attività della legazione inglese. Fu forse anche per eliminare i motivi di frizione che all'inizio del 1505 il G. venne incaricato di portare in Inghilterra alcuni doni di Giulio II al re e la dispensa papale che veniva concessa al principe ereditario, il futuro Enrico VIII, di sposare Caterina d'Aragona, già moglie di suo fratello. Tuttavia, nonostante la partenza del G., lo scontro con il Castellesi proseguì.
Sembra anzi che il G. abbia subito una sorta di processo presso la Curia romana, dove si fece rappresentare da procuratori; fu forse in questa occasione, e non, come di solito si ritiene, nel 1513, che l'umanista lucchese Niccolò Tegrimi compose un'orazione in sua difesa. L'esito di questa ancora oscura vicenda fu favorevole al G., anche grazie agli appoggi che si era saputo procurare alla corte inglese. Infatti, il Castellesi venne riconosciuto colpevole di averlo calunniato e di aver diffamato il pontefice in alcune lettere scritte a Enrico VII, per cui nel 1507 preferì fuggire da Roma e venne privato della collettoria d'Inghilterra, che il papa assegnò a Pietro Griffi.
Tra il 1505 e il 1512 il G. rimase in Inghilterra. Probabilmente non si recò mai a Worcester, ma visse a corte, adempiendo a qualche funzione di rappresentanza, come quando nel 1508 presentò a Enrico VII Andrea Borgo, ambasciatore di Massimiliano d'Asburgo; oppure quando nel 1509 partecipò al funerale del re. Ma, soprattutto, il G. strinse solidi legami con alcuni personaggi dell'entourage del giovane re Enrico VIII, come l'umanista Andrea Ammonio, grande amico di Erasmo, e, principalmente, Thomas Wolsey, che negli anni successivi l'avrebbe costantemente protetto.
Alla fine del 1512 il G. tornò a Roma come capo della delegazione inglese al concilio Lateranense. Egli, tuttavia, pur prendendo parte a diverse sedute del concilio, non vi svolse alcun ruolo e continuò a occuparsi di affari politico-diplomatici.
A Roma i rapporti di forza all'interno della legazione inglese erano profondamente mutati. Il Castellesi era tornato nel 1513 e aveva ripreso la sua funzione di tutore degli interessi inglesi, ma era stato affiancato dal cardinale Christopher Bainbridge. I due erano però divisi da una profonda ostilità, che era anche conseguenza dei mutati equilibri politici alla corte inglese, nella quale era enormemente cresciuta l'influenza di Wolsey. Il G. si legò abbastanza strettamente a Bainbridge e iniziò una serrata lotta contro il Castellesi. Il terreno di scontro fu ancora una volta la collettoria d'Inghilterra, di cui il Castellesi aveva ripreso il controllo alla morte di Pietro Griffi, nominando subcollettore l'umanista Polidoro Virgilio. Questa carica era però reclamata da Ammonio, che riuscì a ottenerla nel 1515, dopo varie intricate vicende che causarono serie incrinature nei rapporti tra la monarchia inglese e il Papato, ma che rafforzarono ulteriormente i legami del G. con Wolsey, il quale nel settembre 1515 ottenne il cardinalato anche grazie alla discreta azione del Gigli.
Sconfitto il Castellesi, che aveva ormai perso il favore della corte inglese e che, a causa della sua partecipazione alla congiura dei cardinali contro Leone X, lasciò definitivamente Roma nel 1517, il G. dovette affrontare un nuovo, duro scontro con Bainbridge. I motivi dell'ostilità tra i due prelati, inizialmente abbastanza legati, restano oscuri, ma sono probabilmente da ricondursi alla volontà del G. di scalzare Bainbridge dalla carica di ambasciatore ufficiale d'Inghilterra, servendosi dell'amicizia di Wolsey e delle proprie conoscenze in Curia. Non va però sottovalutata anche la scarsa disponibilità del G. ad appoggiare la politica violentemente antifrancese del suo collega. Già nel maggio 1514 la situazione doveva essere giunta a un punto di rottura, poiché Bainbridge scriveva a Enrico VIII accusando il G. di rivelare i segreti inglesi all'ambasciatore di Francia e definendolo "the falsary orator of England" (Letters and papers… of the reign of Henry VIII, I, p. 809). Nel luglio 1514 Bainbridge morì improvvisamente e i suoi segretari, Richard Pace e William Burbank, gridarono all'avvelenamento. Venne aperta un'inchiesta e i sospetti caddero sul prete Rinaldo da Modena, che era al seguito di Bainbridge, ma che precedentemente aveva servito il Gigli. Nel corso dell'inchiesta Rinaldo accusò il G. di averlo istigato al delitto, ma poi, prima di suicidarsi, ritrattò. La ritrattazione venne accolta come vera senza molti problemi in Inghilterra, dove il G. poteva contare sull'appoggio di Ammonio e di Wolsey, che si impadronì rapidamente dei benefici di Bainbridge; tuttavia Leone X attese fino alla fine dell'anno per affermare ufficialmente l'innocenza del G., che è tesi peraltro accettata dalla storiografia. Ormai scagionato e riconciliato con Pace, il G. rimase l'unico tutore degli interessi inglesi a Roma. In una prima fase, egli non disimpegnò un'attività veramente autonoma, ma si limitò a inviare al re e a Wolsey notizie della corte di Roma e a trasmettere a Leone X i pochi messaggi che venivano dall'Inghilterra.
Del resto, in questa fase, i rapporti tra l'Inghilterra e il Papato furono piuttosto sporadici, tanto che Leone X si lamentò più volte della scarsa frequenza con cui riceveva lettere di Enrico VIII. L'attività della legazione procedeva così lungo i binari di una tranquilla routine, interrotta ogni tanto da brevi momenti di tensione, come all'inizio del 1517, quando il G. venne aspramente rimproverato dal re per non aver ottenuto che l'amministrazione del vescovato di Tournai rimanesse nelle mani di Wolsey. La carica di ambasciatore inglese non impediva del resto al G. di tutelare anche gli interessi di amici e conoscenti o quelli della Repubblica di Lucca, che nel 1505 e nel 1518 si adoperò perché egli divenisse vescovo della città.
Tra le varie questioni seguite dal G. va anche ricordata, data la levatura del protagonista, quella della dispensa per Erasmo. Nel 1516 Erasmo, che desiderava essere liberato dalle censure in cui temeva di essere incorso per aver mancato ai suoi obblighi di religioso, aveva scritto, su consiglio di Ammonio, una nota lettera in cui, usando degli pseudonimi, spiegava la sua situazione. La lettera venne rimessa al G. e fu anche grazie al suo patrocinio se Erasmo poté ottenere, nel marzo 1517, due brevi liberatori. Di ciò Erasmo fu sempre grato al G., come è evidente dall'affettuosa lettera che gli scrisse il 17 gennaio 1521.
Nel frattempo il G. continuava ad accumulare cariche e benefici, che in parte rassegnò a parenti. In particolare, ottenne da Leone X l'abolizione, con bolla del 28 giugno 1518, dell'antico priorato di S. Michele in Foro a Lucca e la sua trasformazione in collegiata secolare presieduta da un decano. La famiglia Gigli, che nell'operazione aveva speso 2000 ducati d'oro, ne ottenne il giuspatronato, con diritto alla nomina di decano, canonici e beneficiati. Già dal 1517, inoltre, il G. aveva ottenuto il titolo di collettore d'Inghilterra, vacante per la morte di Ammonio.
A partire dal 1519 le attività del G. presero un ritmo frenetico. Da un lato, il mutare della situazione politica europea rese particolarmente delicato il ruolo di ambasciatore a Roma; dall'altro, il G. mirava ormai a ottenere il cardinalato e cercava in ogni modo di mettersi in buona luce presso il papa e presso la corte inglese. I risultati della sua azione non furono peraltro particolarmente brillanti. Se, infatti, riuscì a ottenere l'ammissione in Inghilterra del nunzio Lorenzo Campeggi e la concessione a Wolsey delle facoltà di legato, nella vicenda dell'elezione imperiale del 1519 svolse un ruolo del tutto marginale. Il papa, d'altra parte, era poco soddisfatto della politica estera di Enrico VIII, in particolare del ritardo con cui veniva percepita la mezza decima sui beni del clero inglese, e delle sempre crescenti pretese di Wolsey. Di conseguenza, la posizione del G. tendeva a indebolirsi. La corte inglese cominciava a pensare di affiancargli un altro ambasciatore e il traguardo del cardinalato si allontanava. Su pressioni delle potenze il 18 sett. 1520 il papa propose l'elevazione al cardinalato del vescovo di Tolosa per la Francia, del vescovo di Liegi per la Spagna e del G. per l'Inghilterra, ma i cardinali diedero il loro assenso solo al primo. Il G. non dovette considerare definitiva questa sconfitta, visto che continuò a insistere presso Enrico VIII perché inviasse commendatizie in suo favore, ma era ormai chiaro che la partita era persa. Del resto, più volte nel corso del 1520 e del 1521 il cardinale Giulio de' Medici scrisse che non solo il papa riteneva il G. indegno del cardinalato ma era anche poco soddisfatto della sua attività di ambasciatore.
Nella primavera del 1521 il G. si ammalò improvvisamente; il 29 marzo inviò in Inghilterra un pamphlet antiluterano, tuttavia in aprile era già moribondo.
Il G. morì a Roma il 18 apr. 1521, mentre L. Campeggi già si adoperava per ottenere la sede di Worcester. La sua morte venne salutata da un impietoso epitaffio di M. Sanuto (I diarii, XXX, p. 173).
Cortigiano abile, ma privo di autentiche capacità politiche e sostanzialmente inadeguato alle cariche che esercitò, il G. fu un tipico esponente di quei patriziati cittadini che traevano la loro forza dai benefici ecclesiastici e che sempre più nel corso del Cinquecento si sarebbero trovati a dover difendere le loro posizioni, aderendo alla politica papale.
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