GOZZOLINI, Silvestro
Nato a Osimo in una famiglia resa illustre dall'omonimo santo fondatore della Congregazione benedettina dei silvestrini, il G. visse intorno alla metà del XVI secolo. Le poche notizie biografiche su di lui sono contenute in una lettera al duca di Urbino Guidubaldo II Della Rovere allegata al trattato I modi onde i principi hanno denaro del G., rimasto manoscritto e datato al 1561.
Il G. lasciò presto Osimo per trasferirsi a Napoli, probabilmente giovandosi dell'aiuto di un ramo della sua famiglia trapiantato nel Regno dal 1449. Qui, all'incirca alla fine del viceregno di Pedro de Toledo (1553), entrò a servizio come segretario del marchese di Padula ed eletto del seggio di Porta Capuana Giovanni Bernardino Carbone. Costui ebbe dal marchese Francesco Ferdinando d'Avalos - inviato a Napoli nell'ottobre 1554 a presentare alla città gli atti d'investitura del Napoletano concessi a Filippo (II) dal padre Carlo V e a ricevere il giuramento di fedeltà dei sudditi - l'incarico di rivedere i conti dell'amministrazione del Toledo. Il Carbone delegò l'operazione al proprio segretario che, evidentemente, doveva già possedere una certa esperienza in campo economico e finanziario. Il G., applicando lungo un periodo di 24 anni, in maniera corretta e forse per la prima volta in Italia, il principio della media aritmetica, iniziò lo spoglio dei registri, trovando che smentivano i giudizi già da allora diffusi sull'eccessivo fiscalismo spagnolo, di fatto paragonabile a quello degli altri governi. L'indagine del G., che forse avrebbe potuto condurre a risultati contrari alle aspettative dei suoi committenti, venne interrotta bruscamente a seguito di un ordine da Madrid.
Essendo in corso in quel momento la guerra di Siena (1554-55), il G. fu assunto come cancelliere e segretario contabile della compagnia di cavalli condotta da Bonifacio Caetani. Egli la seguì in Toscana, ma si astenne dal prendere parte ad azioni belliche, continuando a occuparsi soltanto degli aspetti economici.
Al termine della guerra il G. tornò nelle Marche, dove fu arrestato per ragioni rimaste oscure. Mentre veniva condotto dalle guardie a Macerata evase, riparando prima a Camerino e poi nel Ducato di Urbino, da dove sperava di trasferirsi a Venezia. A Pesaro, incontrato il canonico, poligrafo e inventore Felice Paciotti (fratello del più noto Francesco, ingegnere militare), accettò di lavorare per lui, costretto a ciò da un nipote che, impossessatosi dell'intero patrimonio familiare, gli lesinava gli aiuti. Tuttavia, il Paciotti impiegò il G. solo per un breve periodo e in mansioni diverse da quelle concordate, compensandolo solo con il vitto e l'alloggio. Troncata presto, quindi, anche questa attività, il G. chiese aiuto al duca Guidubaldo II, alla cui corte avevano già servito membri della sua famiglia, presentandogli due trattati di economia, non datati ma composti tra il 1559, anno della morte del papa Paolo IV cui si accenna nel primo, e il 1564, epoca dell'istituzione dell'Università di Urbino, consigliata nel secondo (il Celli data entrambi al 1561). La nascita di tale ateneo sembra essere l'unica possibile prova dell'accoglienza da parte del duca delle idee del G., che non ha lasciato altre tracce di sé.
Restano pertanto ignote la data e le circostanze della morte del G., avvenuta, presumibilmente, nel Ducato di Urbino o nella stessa Pesaro poco tempo dopo.
Dell'indagine amministrativa svolta dal G. a Napoli non resta, a parte il suo racconto, nulla. I due trattati Discorso sopra la città di Pesaro con un altro di tutto lo Stato e I modi onde i principi hanno denaro sono invece custoditi manoscritti nella Biblioteca apostolica Vaticana (Urb. lat., 957, cc. 1-46; 988, cc. 1-81). Il primo ipotizza, da una prospettiva mercantilista, l'aumento della ricchezza di Pesaro e del contado tramite l'introduzione dell'industria della lana, dei "banchi di sconto" pubblici (per togliere agli ebrei la gestione del credito) e dell'Università, aggiungendo interessanti proposte urbanistiche (finalizzate a una più razionale distribuzione degli uffici e delle dignità pubbliche nelle varie parti della città) e pedagogiche, tra cui la "ginnastica educativa" dei giovani. Il secondo descrive gli strumenti finanziari atti a reperire le risorse necessarie all'adozione di tali riforme, consistenti nel bando di inutili lussi e mollezze e in un'oculata amministrazione dei tributi, destinati a crescere parallelamente ai prezzi, a patto che vengano imposti sempre per coprire spese necessarie e gestiti da personale esperto, evitando il consueto ricorso agli appaltatori.
Composti con stile colloquiale e ricchi di digressioni, i trattati del G. evidenziano la cultura autodidatta dell'autore (che, per esempio, pur vivendo nel medesimo Ducato, ignora il Discorso sull'Annona del vescovo di Senigallia Marco Vegerio Della Rovere). Hanno però il pregio di essere frutto di un'accurata e realistica osservazione della realtà economica e sociale del Pesarese, unita a una buona conoscenza degli strumenti matematici del tempo.
Fonti e Bibl.: L. Celli, Di S. G. da Osimo economista e finanziere del secolo XVI. Due trattati inediti preceduti da un saggio storico sull'autore e sull'Italia economica del secolo stesso, Torino-Roma 1892; C. Grillantini, Storia di Osimo, I, Pinerolo 1957, pp. 340 s.; A. Fanfani, Storia del lavoro in Italia dalla fine del sec. XV agli inizi del XVIII, in Storia del lavoro in Italia, III, Milano 1959, p. 11; G. Barbieri, Statistica e "scienza economica" in alcuni scrittori del XVI e XVII secolo, in Economia e storia. Riv. di storia economica e sociale, VI (1959), pp. 451 s.; G. Casati, Diz. degli scrittori d'Italia, III, p. 220.