LANDINI, Silvestro
Nacque nel 1503 a Malgrate, piccolo castello nella Val di Magra, vicino Sarzana. Probabilmente fu figlio di Paolo, un cortigiano minore gravitante attorno ai marchesi Malaspina, e fratello di Angelica, moglie del marchese di Treschietto Antonio Malaspina, appartenente a un ramo collaterale della famiglia. Educato dalla madre e da un parroco locale e divenuto sacerdote "di sufficienti lettere" nell'estate del 1527, era a Parma nel 1540 a seguire i due padri gesuiti Pietro Fabro e Diego Laínez, sotto la guida dei quali compì i suoi primi "esercizi spirituali". Nella primavera del 1547, dopo un periodo di cinque anni a Malgrate, si spostò a Roma presso la chiesa di S. Maria della Strada, dove intraprese il noviziato sotto Ignazio di Loyola.
La sua insofferenza caratteriale determinò difficoltà di rapporti con Loyola e una crisi probabilmente accentuata da una grave malattia. Subito dopo la guarigione il L. fu inviato nelle sue terre a ritemprarsi, e la sua accettazione nell'Ordine fu sospesa: lacerato dal dubbio, nel giugno 1547 lasciò Roma per la Lunigiana. Durante il viaggio, durato circa tre mesi, inviò nove lettere a Loyola, nelle quali lo ragguagliava del suo operato e dichiarava di essersi pentito dell'atteggiamento tenuto. Anche grazie all'intercessione del padre Pietro Codacio, ottenne il perdono e l'ammissione.
Nell'autunno del 1547 il L. era nella Val di Magra, e fino all'ottobre 1548, in seguito alla decisione del vicario generale locale di conferirgli ampi poteri nella sua giurisdizione, agì in particolare nella vasta diocesi di Luni e Sarzana, comprendente anche le terre fiorentine di Casola e Fivizzano. Dopo un periodo trascorso di nuovo a Roma e poi a Foligno e Spoleto (ottobre 1548 - maggio 1549) fino all'estate del 1550 il L. percorse la Garfagnana fiorentina, lucchese, estense, soffermandosi nel contado bolognese e nelle aree collinari e rurali delle diocesi di Lucca e soprattutto di Modena, per dirigersi poi nuovamente a ovest, verso la Lunigiana.
In questi anni il L. si confrontò spesso con posizioni eretiche, risolutamente stigmatizzate nelle sue prediche. In particolar modo concentrò i suoi sforzi a Malgrate, Casola, Fivizzano per buona parte del 1548. Durante il secondo viaggio di ritorno in patria, nel territorio di Massa, confutò un predicatore che screditava il culto della Vergine e, nell'estate 1549, affrontò in un conflitto dottrinale il medico del castello estense di Camporgiano, seguace di Lutero: furono scontri aspri, che misero addirittura a repentaglio la sua vita. Anche durante il lungo soggiorno modenese il L. fu determinato nel segnalare le posizioni filoprotestanti al vescovo Egidio Foscarari, che coadiuvava durante le visite apostoliche.
Alle visite il L. si dedicò completamente ed ebbe un rapporto diretto con le popolazioni, alle quali reiterava i suoi sermoni nei luoghi pubblici, convertendo e amministrando di persona i sacramenti, impegnandosi nella promozione di forme caritatevoli e penitenziali, riformando o fondando ex novo monasteri femminili. Riuscì a mettere a punto un'efficace strategia di intervento sui rituali collettivi delle numerose comunità visitate, e pose le basi per una penetrazione profonda dei dettami della Chiesa. Il L., come afferma A. Prosperi, era guidato da un forte ideale di Chiesa primitiva, alimentata nel fervore del sacramento eucaristico associato all'esercizio costante della confessione. Con le prediche applicava gli Esercizi spirituali della prima settimana a interi paesi e regioni, conferendo dimensione collettiva a un genere letterario-ascetico mirato al perfezionamento interiore del singolo.
I membri delle Compagnie del Ss. Sacramento, da lui fondate in gran numero in varie zone della Garfagnana, lo affiancarono in questa azione capillare sul territorio. Controllava la presenza e la buona conservazione dell'eucarestia nelle chiese, la pratica sacramentale tra i fedeli, la diffusione della dottrina cristiana tra i bambini e la conoscenza mnemonica delle orazioni. In breve tempo il L. divenne il primo grande missionario popolare della Compagnia di Gesù in Europa, iniziatore di una fase in cui l'intervento disciplinante sulle credenze e le abitudini consolidate dei fedeli da parte dell'Ordine si basava più sullo zelo apostolico e l'evangelizzazione di singoli religiosi che sull'impegno costante e specializzato nel tempo. Il L. combatté efficacemente fenomeni spesso radicati anche tra le fila del clero secolare, come la bestemmia, la "superstitione", il concubinato, la bigamia e l'usura, e fu capace di comporre le liti e le faide che insanguinavano l'Appennino tosco-emiliano, caratterizzato da un alto livello di conflittualità sociale. Nel luglio 1549 a Careggine, terra modenese appartenente alla diocesi di Lucca, il L. riuscì a moderare lo scontro tra due fazioni, già causa di decine di morti, che non si era arrestato nemmeno di fronte all'autorità ducale. Nella primavera del 1552 i governanti della Repubblica di Genova, informati dal governatore della Corsica riguardo alle pessime condizioni morali e materiali degli abitanti dell'isola, ottennero dal papa Giulio III l'intervento del L. in quel territorio. Dal settembre 1552 egli vagò lungo la costa e l'entroterra toscani passando per Pisa e Livorno, dove, dietro sollecitazione dell'arcivescovo di Genova Girolamo Sauli, continuò la sua opera di riforma e conversione. Solo il 16 novembre successivo si imbarcò per la Corsica, accompagnato dal padre portoghese Manuel Gomez, munito di un breve papale che gli conferiva la dignità di visitatore e commissario apostolico. Una violenta tempesta costrinse il L. a permanere sull'isola di Capraia, dove rimase poco più di un mese, dedicandosi anche lì all'attività missionaria e favorendo la costruzione di un muro per frenare le scorribande del corsaro turco Dragut. Giunto finalmente a Bastia, il 22 dic. 1552, il L. si insediò nel locale convento francescano e iniziò a svolgere un'incessante attività di predicazione e amministrazione dei sacramenti che, con l'interruzione per un altro breve soggiorno a Capraia nel luglio 1553, perdurò fino alla sua morte. Il grande seguito popolare raggiunto in città e nella campagna circostante e il suo atteggiamento zelante gli guadagnarono ben presto l'ostilità del clero corso, corrotto e geloso dei suoi privilegi, che nell'estate 1553 inviò a Roma alcuni rappresentanti per accusarlo di eccessivo rigore e abuso dell'autorità apostolica. Incitato dal cardinale Marcello Cervini e deciso a difendere l'onore della sua Compagnia, Loyola inviò allora in Corsica il neofita B. Romeo, intimo del pontefice, per osservare e riferire sull'operato del Landini.
L'ampia relazione che ne scaturì mostrava l'infondatezza delle accuse nei confronti del L. e la grande ammirazione da lui conquistata presso le autorità secolari e gli abitanti dell'isola, che definiva significativamente la "sua India". La capacità di osservazione, unita all'alone mistico-profetico di cui si circondava e all'intervento, ancor più marcato, sulle credenze e l'immaginario popolare, sembrano caratterizzare la sua figura nell'ultima parte della vita e giustificare il suo straordinario ascendente. Nell'agosto del 1553 il L. non abbandonò i suoi fedeli nemmeno nel momento sanguinoso dell'assedio portato da Dragut, spalleggiato dalle armi turche e francesi.
Nei primi giorni del febbraio 1554 il L. cadde infermo; morì a Bastia il 3 marzo successivo. Le sue reliquie furono subito oggetto di venerazione e leggenda; nel 1612 si avviò nella città corsa un processo per la sua canonizzazione, poi sospeso e mai più concluso.
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