MUTI, Silvestro
– Figlio di Lello di Romano, originario del rione di S. Eustachio, nacque nella prima metà del XIV secolo e fu in carica come sindicus Romani populi (ossia syndicus comunis et Camere Urbis) almeno dal 1364. Fu cugino di Giacomo Muti ed ebbe un figlio di nome Lello, sposato con una certa Rita, che continuò la famiglia.
Mentre il suo ufficio risulta a vita, appare a volte affiancato da un collega, il primo dei quali fu Paolo Tartari, che nel 1368 fu promosso camerlengo della Camera Urbis e sostituito nella funzione di sindicus, per nomina papale, da Cinzio Frangipane.
Il principale compito del sindicus Romani populi era il controllo e la difesa degli interessi fiscali della Camera Urbis. Questa importante figura della vita comunale di Roma si trovava quindi spesso come parte in causa, per esempio quando un giudice senatorio doveva decidere riguardo a infrazioni contro i diritti pubblici concernenti tasse, dazi e gabelle. Il nobile e benestante Muti svolse il proprio incarico sotto il regime popolare, prima dei sette reformatores rei publicae e poi dei tre conservatores Camere Urbis, accanto ai quali si era costituita, come nuova milizia, la Felice società dei balestrieri e dei pavesati, con ai vertici due banderesi e quattro antepositi. Al suo cospetto, o con il suo esplicito consenso, furono stipulati i grandi contratti del Comune di Roma con rilevanza fiscale.
In questo modo ratificò nel 1364 la tregua di un anno fra romani e velletrani stabilita grazie alla mediazione di Tommaso, vescovo di Sant’Angelo Papale (Cagli) e commissario del cardinale Egidio Albornoz. Fu Muti a leggere ed esporre il 9 settembre 1370 a Campagnano il trattato di vassallaggio e fedeltà al Comune romano da parte del popolo di quel paese. Il 18 ottobre 1377 il parlamento dei romani radunati per trattare la pace con Francesco di Vico lo nominò, insieme con Matteolo Sassi degli Amateschi, nunzio speciale per far ratificare da papa Gregorio XI – tornato a Roma da Avignone a gennaio dello stesso anno e allora residente ad Anagni – il contratto di pace del Comune romano con Francesco, Ludovico e Giovanni Sciarra di Vico.
Muti appare coinvolto nelle vicende riguardanti l’infelice conclave del marzo 1378, che fornirono il pretesto per la defezione ai cardinali francesi, scontenti dell’elezione del napoletano Bartolomeo Prignano come papa Urbano VI e portarono a quella dell’antipapa Clemente VII a Fondi, il 20 settembre dello stesso anno. I romani, che volevano un papa concittadino o almeno italiano, grazie al quale la curia sarebbe rimasta a Roma, accolsero con favore l’elezione di Urbano VI l’8 marzo. Secondo il racconto dell’allora castellano di Castel Sant’Angelo Pierre Gaudelin, il banderese Silvestro Muti (ma è dubbia l’attribuzione del ruolo di banderese, carica probabilmente confusa con quella di sindicus) già durante la novena dopo la morte di Gregorio XI aveva cercato di influenzare l’esito del conclave: per indurlo a consegnare il castello al popolo romano, avrebbe offerto a Gaudelin – a nome del Comune romano – le entrate del porto di Roma o del castello di Bassano o di quello di Campagnano e, in più, la metà dei beni esistenti a Castel Sant’Angelo; inoltre avrebbe promesso di dargli sua nipote in moglie, mentre sua figlia sarebbe andata sposa allo zio dello stesso castellano (L. Gayet, Le Grand Schisme d’Occident, Paris 1889, I, pp. 178 s.). Per quanto si possa dubitare della veridicità del racconto – esagerato nei particolari – è plausibile ritenere che si sia innescato un rapporto stretto fra Muti e il papa napoletano. La motivazione per la conferma papale, datata 4 gennaio 1389, dell’acquisto di alcune case nel rione di S. Eustachio appartenute al defunto arcivescovo Bernardo (de Rodes) di Napoli da parte di Muti ricorda, infatti, i danni da lui subiti per la fedeltà dimostrata verso il pontefice e la Chiesa romana (Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat. 311, cc. 306v-307r), alludendo sicuramente alle lotte sostenute dal Comune romano contro le truppe di mercenari al servizio dell’antipapa Clemente VII.
Il 10 gennaio 1390 Muti appare un’ultima volta coinvolto come sindicus nell’atto solenne dell’esenzione da tasse e gabelle di un ente religioso, nel caso specifico dell’ospedale di S. Spirito in Sassia. È da ritenere che poco dopo questa data si sia ritirato dalla vita pubblica o sia morto.
Nulla è noto della sua tomba che forse si può localizzare a S. Pantaleone, chiesa attigua alla dimora della sua famiglia.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico Capitolino, Arch. Urbano, I/649, notaio Paolo Serromanni, vol. 8, f.97r; vol. 10, f. 45v; Archivio Orsini, Perg. II. A. 6, 34; S. Malatesta, Statuti delle gabelle di Roma, Roma 1885, pp. 128 s.; C. Calisse, I prefetti di Vico, in Archivio della Società romana di storia patria, X (1887), p. 548; F. Passeri, Lo Statutodi Campagnano del secolo XIII, ibid., XIV (1891), p. 80; G. Falco, Il comune di Velletri nel medio evo (sec. XI-XIV), ibid., XXXVII (1914), p. 602 (rist. anast. Id., Studi sulla storia del Lazio nel medioevo, I, Roma 1988, p. 243); A. Natale, La Felice Società dei balestrieri e dei pavesati a Roma e il governo dei banderesi dal 1358 al 1408, ibid., LXII (1939), pp. 52, 141; I. Lori Sanfilippo, Il protocollo notarile di Lorenzo Staglia (1372), Roma 1986, p. 155; I protocolli di Francesco di Stefano de Caputgallis (1374-1386), a cura di R. Mosti, Roma 1994, p. 562 doc. 706; L. Bianchi, Case e torri medioevali a Roma, I, Roma 1998, p. 80; Il regesto del monastero dei Ss. Andrea e Gregorio ad Clivum Scauri, a cura di A. Bartola, Roma 2003, pp. 275, 578; A. Jamme, Renverser le pape. Droits, complots et conceptions politiques aux origines du Grand Schisme d’Occident, in Coups d’Etat à la fin du Moyen Âge? Aux fondements du pouvoir politique en Europe occidentale, a cura di F. Foronda - J.-P. Genet - J.M. Nieto Soria, Madrid 2005, p. 448 n. 94.