TEGLI (Teglio, Tellio), Silvestro
TEGLI (Teglio, Tellio), Silvestro. – Nacque a Foligno in data imprecisata, ma comunque nei primi decenni del Cinquecento.
Le prime notizie su di lui datano al 1554, quando le sue idee religiose lo portarono a Ginevra, dove arrivò il 10 dicembre, ottenendone la cittadinanza l’anno successivo. Le sue frequentazioni note lo mostrano in contatto con la locale comunità di esuli lucchesi (nella prefazione al De principe farà i nomi di Niccolò Liena e Paolo Arnolfini).
Tra il 1557 e il 1558 cominciò a sorgere il sospetto che alcuni degli italiani residenti in città (tra cui il medico piemontese Giorgio Biandrata, che aveva indirizzato al capo della Chiesa ginevrina degli italiani Celso Martinengo alcune domande ritenute capziose) cominciassero a nutrire credenze di tipo antitrinitario, riportando così in vita lo spettro dello spagnolo Michele Serveto, arso sul rogo proprio a Ginevra qualche anno prima con l’accusa appunto di antitrinitarismo. Giovanni Calvino presentò allora di fronte al Petit Conseil (l’autorità esecutiva di Ginevra) una confessione di fede trinitaria, accusando Biandrata e il suo conterraneo Matteo Gribaldi, che nel frattempo avevano già lasciato la città, di essere seguaci di Serveto. La maggior parte dei partecipanti alla riunione sottoscrisse la confessione. Sette italiani invece si rifiutarono. Erano il nobile piemontese Gian Paolo Alciati e il suo conterraneo Ippolito da Carignano (un venditore di calze), il medico sardo Nicola Gallo (che abitava in casa di Tegli) e il medico lucchese Filippo Rustici, il padovano Francesco Porcellino, il calabrese Valentino Gentile (che avrebbe pagato con la vita la sua opposizione) e proprio Tegli (Addante, 2014, pp. 130 s.). All’inizio il loro dissenso sembrava dovesse rientrare nei ranghi, ma a seguito delle denunce del francese Alexandre Guyotin e dell’aggravarsi della posizione di Gentile, nell’agosto del 1558 Tegli fu costretto a scrivere a Calvino per difendersi dall’accusa di essere un seguace di Gentile, allegando una professione di fede trinitaria (Perini, 1969, p. 905). Evidentemente la mossa non fu sufficiente a calmare le acque, perché nel febbraio del 1559 egli fu costretto a lasciare la città con l’accusa di antitrinitarismo e di aver indirizzato al diacono della Chiesa degli italiani a Ginevra la calunnia di avere avuto «attochementz sodomiques envers des petit enfans» (Pascal, 1921, p. 39). Dopo il processo in contumacia a Ginevra, il 14 agosto Tegli e Alciati furono dichiarati «rebelles» e «sectateurs de Servet et Valentin» e «bannys a perpetuel de la cité et terres et seigneuries de Geneve soubs peine capitale» (ibid., pp. 39-44, 59-64).
Tegli nel frattempo si era rifugiato a Basilea che, pur con qualche irrigidimento dottrinale, era ancora un’isola di relativa tolleranza rispetto a Ginevra. Anche a Basilea entrò subito a far parte della comunità degli italiani, che all’epoca aveva come figure di riferimento il teologo savoiardo Sebastiano Castellione e l’umanista piemontese Celio Secondo Curione. Proprio negli ambienti che gravitavano attorno a Curione va collocato il De principe libellus, traduzione latina composta da Tegli del Principe di Niccolò Machiavelli, uscita nel 1560 dai torchi dello stampatore di origine lucchese Pietro Perna (Kaegi, 1960). Se rimane pura ipotesi che sia stato proprio Curione a ispirare l’idea della traduzione, in ricordo dell’aria repubblicana che aveva respirato a Lucca e per gli accenti anticlericali dell’opera, quasi certamente fu lui a suggerire a Tegli, se non altro, la dedica dell’opera al suo allievo polacco Abraham Sbaski (Lepri, 2014).
La traduzione latina testimonia una volontà di diffondere il pensiero di Machiavelli in tutta Europa, probabilmente in reazione al fatto che l’anno prima a Ingolstadt i gesuiti avevano bruciato in effigie il subdolus autore del Principe, che proprio allora faceva il suo ingresso tra i nomi posti nella prima classe dell’Indice dei libri proibiti di Paolo IV. È invece difficile dire se appartenesse a questa nascosta strategia di propaganda o se celasse delle vere divergenze il fatto che il testo del Principe venga edulcorato in alcuni dei suoi passi più radicali. Sia nella dedica a Sbaski, dove Tegli fa mostra di essere al corrente del pericolo insito in analisi spregiudicate come quelle di Machiavelli, sia soprattutto nel cap. XVIII, dove gli inviti dell’autore a non rispettare la parola data e a limitarsi a fingere il sentimento religioso, sono stralciati o mitigati.
Importante per il suo ruolo nella diffusione delle opere di Machiavelli in latino è anche il manoscritto, copiato da Tegli nel maggio del 1571, dei Dialogi quattuor di Sebastiano Castellione. Perna lo ritrovò tra le carte di Tegli, che la vedova gli vendette alla morte del marito, e lo diede alle stampe nel 1578, mantenendo anche le parti che, come si evince da una nota a margine del manoscritto, Castellione aveva giudicato degne di espunzione perché troppo dure nei confronti degli ecclesiastici e dei censori di Basilea (Rotondò, 1974, p. 315 nota 117). Sul manoscritto infatti si trovano, sempre di mano di Tegli, anche delle annotazioni in italiano con annessa traduzione latina tratte dai Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio e dall’Arte della guerra, che fanno sospettare come Perna avesse probabilmente incaricato Tegli di approntare la traduzione latina anche delle altre opere maggiori di Machiavelli (Gilly, 1578, 1995, p. 158 nota 33), impresa poi proseguita, non senza difficoltà, da un altro allievo di Curione, Giovanni Niccolò Stoppani (Stupanus).
Se proprio la prefazione al De principe è una delle fonti principali sulla sua vita, per gli anni successivi è molto difficile rimediare a quella «scarsità dei documenti sul Tegli per questo periodo» lamentata anche da Antonio Rotondò (1974, 2008, p. 515 nota 124). Sappiamo che era in contatto con l’eretico Francesco Betti e con il filosofo antiaristotelico e calvinista Pierre de la Ramée (Pietro Ramo), che lo ricorda proprio assieme a Betti quali «verae pietatis amantiores» (Cantimori, 1939, 1992, p. 291 nota 30). Il rapporto con Ramo dovette essere solo la punta di un iceberg di frequentazioni più vaste con il mondo ugonotto francese. Di tutto ciò sappiamo però soltanto che all’inizio del 1568 Tegli era a Lione, perché in una lettera del 20 marzo di quell’anno il domenicano Valerio Faenzi informava il cardinal nipote Michele Bonelli di aver arrestato un «pre’ Fidele», presso il quale era stata rinvenuta una lettera di «Silvestro Tellio heretico in Lion» che scriveva a un Cristoforo Comino di come ormai «tanti regni havesser ribellato alla meretrice et alla gran Babilonia» (Perini, 1969, p. 908 nota 115). Dal contenuto della lettera sembra quindi di poter intendere come in quel momento Tegli fosse ancora su posizioni vicine al calvinismo o comunque sperasse in una prossima sconfitta del cattolicesimo.
Tornato a Basilea, vi morì nel 1574 in condizioni di povertà, come possiamo desumere dal fatto che sua moglie dovette vendere parte della sua biblioteca per pagare i debiti.
Fonti e Bibl.: C. Gilly, Die Zensur von Castellios Dialogi quatuor durch die Basler Theologen (1578), in Querdenken. Dissens und Toleranz im Wandel der Geschichte. Festschrift zum 65. Geburtstag von H.R. Guggisberg, a cura di M. Erbe, Mannheim 1995, pp. 147-196 (in partic. p. 158 nota 33); A. Pascal, Processo contro Paolo Alciati signor della Motta, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XXIII (1921), pp. 36-64 (in partic. p. 39); D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti (1939), a cura di A. Prosperi, Torino 1992, p. 291 nota 30; W. Kaegi, Machiavelli a Basilea, in Meditazioni storiche, a cura di D. Cantimori, Roma-Bari 1960, pp. 155-215; L. Perini, Gli eretici italiani del ’500 e Machiavelli, in Studi storici, X (1969), pp. 877-918 (in partic. pp. 905, 908 nota 115); A. Rotondò, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea fra il 1570 e il 1580, in Id., Studi e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento, I, Torino 1974, pp. 273-392 (in partic. p. 315 nota 117), poi I, Firenze 2008, pp. 479-576 (in partic. p. 515 nota 124); L. Addante, Valentino Gentile e il dissenso religioso nel Cinquecento. Dalla Riforma italiana al radicalismo europeo, Pisa 2014, pp. 130 s.; V. Lepri, Machiavelli in Polonia, in Polska Akademia Nauk Stacja Naukowa w Rzymie (Atti dell’Accademia delle scienze polacca, Sede di Roma), III (2014), pp. 180-189.