CECCATO, Silvio
Nacque a Montecchio Maggiore (Vicenza) il 25 gennaio del 1914. Secondo figlio dell’avvocato Riccardo Ceccato e di Maria Ferrarin, appartenente a una famiglia di industriali di Thiene e sorella di Arturo, famoso pilota di aereo che nel 1920 si rese protagonista del raid Roma-Tokyo, conseguì il diploma di maturità classica presso il regio ginnasio e liceo di Padova nel 1932. Nel gennaio dell’anno successivo si trasferì a Milano dove si stabilirà per tutta la vita e dove in quegli anni completò due ordini di studi: nel 1937, presso l’Università statale, si laureò in giurisprudenza, in diritto civile, con una tesi sui limiti giuridici della critica d’arte; l’anno successivo, ottenne anche il diploma di composizione musicale presso il Conservatorio. Lui stesso spiegherà queste scelte con la sua volontà di far cosa gradita al padre, per un verso, e con i suoi interessi artistici, per l’altro. Tuttavia, della propensione rimane traccia in alcune composizioni musicali e, soprattutto, nella sua riflessione sull’estetica, mentre alla cultura giuridica non avrà mai occasione di attingere.
I suoi primi scritti – sotto forma di recensioni musicali – apparvero sulle pagine del settimanale dei fascisti universitari Libro e moschetto dal febbraio del 1934 al marzo del 1937. Il suo nome, classificato come selezionato per la musica, compare nei Littoriali del 1935, 1936 e 1937. Nel secondo numero del 1945 della rivista Analisi (che nel 1946 cambierà nome in Analysis) Ceccato pubblicava un saggio intitolato Su alcune conseguenze pragmaticali di una definizione – incentrato su linguaggio e logica. Gli spunti critici nei confronti di buona parte della filosofia sono già numerosi e fanno capolino termini come ciclo operativo e tecnica su cui più tardi baserà le sue tesi. Ceccato cominciava a esprimere alcuni degli interessi e degli orientamenti che ne caratterizzeranno il pensiero più maturo.
Nel 1946, a Milano, fondò il Centro italiano di metodologia e di analisi del linguaggio. Nello stesso anno, al Congresso internazionale di filosofia di Roma fece incontri decisivi, quelli con Vittorio Somenzi e con Giuseppe Vaccarino che stavano preparando una loro rivista, Sigma. Nel terzo numero della rivista, datato 1947, Ceccato pubblicò le sue prime Regulae, una serie di annotazioni aforismatiche in cui la critica della filosofia era già condotta in nome della consapevolezza metodologica. Analysis arrivò soltanto al quinto numero, mentre Sigma non andò oltre il nono. Ceccato, Somenzi e Vaccarino fusero le due testate in Methodos, il cui primo numero, sotto l’egida del Centro italiano di metodologia e analisi del linguaggio, apparve nel 1949. Non senza qualche mutamento di rotta, la rivista era destinata a durare fino al 1964.
Sulle prime, Methodos si definì rivista di metodologia e di logica simbolica, anche se l’inclusione della logica rispondeva a esigenze di ordine strumentale più che teoretico. La sezione dedicata alla logica simbolica – affidata al padre domenicano polacco Józef M. Bocheński –, costituiva soltanto una mossa opportunistica ai fini di una maggior diffusione internazionale della rivista stessa. Un comitato di consulenti in cui spiccavano i nomi di Evert WillemBeth, Max Black, Ferdinand Gonseth e Karl Popper garantiva collaborazioni prestigiose, ma non la diffusione delle idee dei tre fondatori. Non sorprende, allora che, nel 1952, la sezione di logica simbolica venne abolita e che Methodos venne ribattezzata rivista di metodologia e analisi del linguaggio, formula destinata a cambiare ancora, l’anno successivo, in linguaggio e cibernetica.
Il primo numero era incentrato su un saggio di Hugo Dingler e su uno dello stesso Ceccato dal titolo piuttosto criptico, Il teocono o ‘della via che porta alla verità’. In questo saggio, Ceccatorappresentava in forma di gioco la pars destruens con cui si liberava della filosofia per poter poi formulare in positivo il proprio modello dell’attività mentale e dei suoi rapporti con il linguaggio. Il gioco consiste nel contrapporre valori associati a qualche elemento (convenzionalmente chiamato pezzo o figura), abbinandoli di volta in volta («il giocatore introduce i valori giocando») e dichiarandoli al momento opportuno, con lo scopo di terminare la partita con il punteggio più alto, determinato dai valori riconosciuti dall’avversario. Così fanno Parmenide ed Eraclito, che si affrontano proponendo l’uno l’essere e l’altro il divenire: vince Parmenide, perché l’essere è, quindi «il valore esce da solo dal pezzo stesso; il pezzo esce da solo dal valore stesso» (Il teocono o 'della via che porta alla verità'). Le partite giocate dai grandi filosofi (Democrito contro Protagora, Platone contro Socrate) sono lo spunto per analizzare la storia della filosofia, rispetto alla quale Ceccato propone un diverso modello di pensiero. Introduceva in tal modo il nome della disciplina che avrebbe dovuto prendere il posto della filosofia, la metodologia operativa che avrebbe dovuto essere intesa come la via che porta alla consapevolezza operativa. Tale consapevolezza era il risultato delle seguenti operazioni: «a) investire qualcosa della proprietà d'essere risultato di operazioni, ripetendo una operazione o più operazioni di cui la cosa è risultato; b) semantizzare gli operati, le operazioni e le presenze, cioè dar loro un nome, sicché la parola accompagni l'operare». Nella premessa, Ceccato spiega che «poiché la metodologia operativa non muove verso una definizione (essenza, concetto, universale, idea, legge) e nemmeno va cercando un oggetto, essa non ha più nulla a che fare con le indagini teoretico-conoscitive» (ecco le tre sillabe da cui si ottiene Teocono, il nome del ‘gioco’) o epistemologiche, o anche filosofiche o scientifiche orientate in una prospettiva conoscitiva. Tale indirizzo veniva presentato come in parte originale, ma «in quanto può venir considerato un "vedere in operazioni" possono costituirne precedenti specifici l’opera di Percy W. Bridgman (del quale, però, non è accettato il quadro teorico-conoscitivo) e di Hugo Dingler (del quale non è accettata l’unicizzazione di una strada)» (p. 34). In quanto, invece, l’indirizzo «abbandona l’atteggiamento conoscitivo come "una avventura degli uomini" è possibile ritenerlo un seguito indiretto dell’idealismo attualistico, poiché in questo la teoria della conoscenza e l’epistemologia, dopo Kant esasperate, non più alimentate in continuazione dall’oggetto e non più impegnate da una realtà-verità, già danno segno con la sterilità dei risultati d’aver esaurita la loro funzione (ma dell’idealismo, fra l’altro, non è accettata la linearità definitiva del procedere)» (p. 34). Al di là delle citazioni esplicite – dedicate alle varie correnti in opposizione – è evidente come Ceccato volesse dichiarare la sostanziale estraneità del proprio pensiero alla filosofia tutta. Non a caso, infatti, a tutto ciò che scriverà in seguito premetterà una sorta di racconto più e meno articolato a documentare questo suo primo passo – il radicale distacco dalla filosofia – necessario ai fini del suo programma.
L’applicazione dello schema analitico caratteristico della ricerca naturalistica (quello in cui si pone un osservato in rapporto con un altro osservato) anche al processo di osservazione, porta, secondo Ceccato, «a cercare un secondo osservato, necessariamente, in un altro posto, o momento» con il conseguente ‘sdoppiamento’ dell’oggetto di osservazione. Una copia dell’oggetto – sfisicizzata, smaterializzata – andrà dunque a far parte di un ordo idearum interno, mentre l’altra – cui si chiederà di ‘corrispondere’ alla prima – in un ordo rerum esterno (Metodologia della critica d’arte, in Uomini e idee, IX (1967), 7-8, p. 15). In pratica, spiega ancora Ceccato, «ogni oggetto si trovò ad avere quattro facce. Non soltanto quella di corpo fisico, all’esterno del corpo, e quella di oggetto mentale, nel suo interno; ma anche quella di oggetto esistente di per sé, fuori dal corpo, ma incognito prima del suo raddoppio dentro il corpo, e quella di oggetto cognito a noi, entro la nostra testa» (Lezioni di linguistica applicata, 1964-65, p. 5). A livello linguistico per designare «il passaggio dall’esterno all’interno e dall’incognito al cognito mediante una parola già in uso» si fece ricorso alla metaforizzazione del verbo ‘conoscere’, che, dal designare una «dualità temporale e ripetitiva» fu esteso a una «dualità spaziale e irripetitiva» (ibid., p. 9). Quindi, dal conoscere inteso come confronto fra due elementi dislocati nel tempo (due percezioni in due momenti), si era passati all’idea di una conoscenza ‘vera’ basata sulla pretesa di un possibile confronto tra due percezioni separate in due posti, tra un cognito (interno al corpo) e un incognito (esterno), che presuppone il potere di stabilire se una cosa che è fuori di noi è uguale a una che è dentro di noi.
L’argomentazione implica l’assunto evolutivo che vede l’indagine sulle modalità della percezione successiva all’indagine sui rapporti tra percetti nonché il principio della ripetibilità di un processo risultato efficace. Questo nuovo tipo d’indagine – basato sulla tripartizione tra oggetto, soggetto e conoscere – segnerebbe il limite definitivo di ogni costruzione teoretico-conoscitiva, o, in altre parole, il principio dell’esercizio della filosofia – della filosofia in quanto tale, e non di questa o di quest’altra filosofia. «L’intera storia della filosofia», conclude Ceccato, «può esser vista come la serie dei tentativi fatti per sfuggire alle conseguenze di quel primo errore, di cercare cioè nella singola percezione quello che si trova soltanto come rapporto fra più percepiti» (La mente vista da un cibernetico, 1972, p. 34).
Ceccato è piuttosto evasivo sul perché nulla cambi e non possa cambiare dopo la denuncia di questo stato di cose. Il fatto di assistere direttamente all’indifferenza dei più lo induce a una contegnosa forma di rassegnazione. Ci scherza sopra nel tentativo di non rivestire un ruolo messianico e fallimentare e, tuttavia, non può evitare di estendere la propria tesi alle sue estreme conseguenze. Allorché si dice di qualcosa che «è questo o quello», possiamo sia dire che il qualcosa è tale «in seguito a qualche caratteristica che già la costituisce», e sia dire che il qualcosa è tale «in seguito a qualche attività che noi svolgiamo nei suoi confronti». Con la confusione fra i due tipi di attribuzione si legalizza un «florido commercio» millenario – dice Ceccato – «in quanto i risultati di una attività svolta nei confronti della cosa che riceve l’attribuzione sono ridotti ai risultati di una analisi delle proprietà costitutive della cosa che riceve l’attribuzione». L’errore, così, risulta funzionale alla logica dei rapporti sociali e della loro storia. Il potere dell’attribuire diventa, per Ceccato, il potere in quanto tale. Invalidando l’attribuzione – o denunciando il vizio alla radice della sua validazione –, viene meno «la possibilità di pronunciare asserzioni, non importa in che campo e su che cosa, dando alle parole un valore universale e necessario» e viene indebolita «la forza di ogni imperativo». L’errore, in altre parole, ratifica «tutta la filosofia quale sostegno e diffusione di valori assolutizzati, politici, religiosi, etc.» (Il linguaggio con la Tabella di Ceccatieff, 1951, p. 100).
L’alternativa offerta da Ceccato è, allora, tra il «salvare il filosofare, per facilitare l’esercizio del potere, con pregiudizio del sapere, cioè di una mente resa creatrice e responsabile» e il «promuovere il sapere del nostro operare mentale, con pregiudizio – finché l’uomo non saprà assumersi una responsabilità nei confronti suoi e degli altri – dell’esercizio del potere» (A che serve la filosofia, in Il Giorno, 5 genn. 1976). Ceccato battezzò e ribattezzò più volte la propria disciplina: metodologia operativa, consapevolezza operativa e, soprattutto, tecnica operativa; negli anni, sulla spinta delle eventuali applicazioni, fece ricorso anche a terza cibernetica e a logonica.
Dalla collaborazione con Somenzi e Vaccarino era nata anche l’idea di adottare un nome collettivo. In una lettera del 13 dicembre 1952 a Vaccarino, Somenzi raccontava di aver incontrato il filosofo svizzero Gonseth, il quale si era detto convinto «che noi si voglia sfruttare il desiderio, nato in Hermann & C. dopo il successo dei vari volumi Bourbaki, di lanciare qualcosa di analogo (anche nell’anonimato collettivizzato) per la metodologia». Somenzi riferiva di non essere riuscito a convincere Gonseth che un’idea del genere non gli era mai venuta, ma si era poi persuaso che l’idea «non era disprezzabile», tanto è vero che la comunicò a Ceccato (Accame, 2002, p. 33). L’iniziativa di parlare del collettivo di studiosi, intenti alla costruzione di una metodologia operativa, come della Scuola operativa italiana, era già stata presa. Ferruccio Rossi-Landi fu uno dei primi a parlarne, sulle pagine di Methodos, recensendo, nel 1951, Il linguaggio con la Tabella di Ceccatieff, il primo libro di Ceccato pubblicato a Parigi nella doppia versione italiana e inglese. Ben presto, anche se mai la sigla venne utilizzata per la firma di un’opera, l’abitudine prese piede e alcuni singoli studiosi – in primis Ceccato, Somenzi e Vaccarino, poi altri – in varie circostanze designarono loro stessi come appartenenti a un collettivo.
Negli ultimi giorni del 1952, dopo essersi sposato con Giuliana Elia (un matrimonio che sarebbe stato annullato dalla Sacra Rota nei primi anni Sessanta), Ceccato si trasferì a Londra dove venne subito raggiunto da Somenzi che, nel frattempo, aveva soggiornato negli Stati Uniti, presso l’Università di Harvard, dove aveva conosciuto il fisico e filosofo della scienza Percy Williams Bridgman. Somenzi era stato inviato in Inghilterra dal ministero della Difesa come ufficiale dell’Aeronautica italiana per seguire un corso per istruttori per la difesa contro la guerra atomica. A Londra, Ceccato incontrò vari studiosi, fra cui Alfred Ayer, Popper, Bertrand Russell e, soprattutto, discusse con Ernest H. Hutten con cui ebbe la possibilità di confrontarsi in modo più approfondito. Ma più significative – per il suo futuro – furono le frequentazioni di Somenzi che, dopo avergli consigliato un incontro con Grey Walter, gli suggerì la cibernetica come ambito applicativo della sua ‘tecnica operativa’. «Sto vedendo di dar consistenza ad un’ideuzza», scrisse da Londra a Vaccarino nel 1953, alludendo al progetto di una macchina «che possa parlare con le nostre categorie grammaticali» e che, all’epoca, chiamava «homo grammaticus» (Accame, 2011, p.6).
Corretta più volte, la pars construens sviluppata da Ceccato e dalla Scuola operativa italiana può essere considerata come una modellizzazione dell’attività mentale e del rapporto tra questa e il linguaggio. Alla base viene posta l’individuazione di tre meccanismi: l’attenzione, la memoria e la correlazione dei loro risultati. L’attenzione può applicarsi al funzionamento di altri organi (della vista, del tatto, dell’olfatto ecc.) e può applicarsi a sé stessa. Dalla prima modalità si ottiene la serie dei ‘presenziati’, ovvero la mentalizzazione dell’attività organica secondo frammenti unitari di varie durate che Ceccato circoscrive fra il decimo di secondo e il secondo e mezzo. Una delle funzioni della memoria consisterebbe nel mantenere presenti questi singoli frammenti man mano che se ne arricchisce la somma. Dalla seconda modalità – allorché a uno stato di attenzione ‘vuota’ (o ‘pura’), come nello stato «in cui ci mettiamo se qualcuno ci dice ‘attento!’», succede una focalizzazione su di sé, «mantenendo cioè quel primo stato ed aggiungendovene un secondo», come se a quell’attento! facessimo seguire un ecco! – si ottiene per combinatoria degli stati attenzionali la ricca gamma delle categorie mentali (La mente vista da un cibernetico, 1972, p. 58). Dalla categoria di ‘cosa’ – la più semplice, si arriva a quelle di ‘singolare’, ‘plurale’, ‘oggetto’, ‘soggetto’, ‘e’, ‘o’, ‘anche’ e, via via, alle più complesse.
È evidente come già nell’unità individuata come stato di attenzione – con i suoi caratteri di ‘attivo’ e ‘passivo’, ‘aperto’ e ‘chiuso’, ‘0’ e ‘1’ (binari, tipici del funzionamento di un elaboratore) – sia possibile la ‘svolta cibernetica’ di Ceccato, che può contare su una doppia compatibilità, con il funzionamento della macchina e con quello del neurone, almeno in una sua schematizzazione rudimentale.
Contrapponendola all’attività ‘trasformativa’ delle cose, per specificare l’attività mentale Ceccato ricorse al verbo ‘costituire’ intendendo con ciò riferirsi a un’attività che decade con i suoi risultati. ‘Mentale’, allora, è tutto ciò che è costituito di stati attenzionali che dall’applicazione a sé stessi o al funzionamento di organi percettivi traggono tutto il mondo categoriale ed esperienziale dell’individuo in parte designato dal linguaggio. Sulle prime, per i singoli costituiti, Ceccato pensò soltanto a un modulo sommativo – ovvero la combinatoria in serie. Più tardi, intorno al 1980, chiamando in causa criteri di economicità e più in linea con le attuali descrizioni della neurobiologia, ipotizzerà l’intervento di moduli misti e in parallelo.
Secondo Ceccato, l’analisi vera e propria dei singoli costrutti – o costituiti – designati e non designati dal linguaggio, avrebbe dovuto avvenire in virtù di una sensibilità da direttore d’orchestra e di un ‘orecchio musicale’ allenato a cogliere il sé operante rallentandone l’esecuzione. Questo spiega perché, nel corso degli anni – diversamente da altri sistemi di analisi basati sui medesimi assunti il cui esempio più cospicuo fu quello realizzato da Vaccarino –, Ceccato sia tornato più volte sui risultati delle analisi, correggendo e sostituendo senza mai espandersi realmente alla gamma più ampie delle soluzioni linguistiche note nelle più diverse lingue. Essenziale, per lui, più che l’esaustività delle analisi compiute, fu il principio dell’analisi stessa e l’eliminazione dei presupposti filosofici che l’avevano ostacolata. Faceva notare che l’attività attenzionale poteva «venire esaminata per la sua durata, intensità, etc.», «venire studiata come premessa, accompagnamento e successione con altre attività», parlando così di «attenzione applicata», nonché «venire considerata quale funzione di un organo», un ipotetico «organo dell'attenzione». Ciò comporta l’assegnazione sia all’attività sia all’organo di una finalità. Mente e cervello sono pertanto i due termini di un rapporto tra funzione e organo, non più «due entità contrapposte e dal misterioso legamebensì due attività che si innestano l’una sull’altra» (Accame, 2002, p. 9).
Alla luce di questa impostazione, ciò che chiamiamo pensiero può essere considerato l’aprire e il chiudere correlazioni temporali tra le unità discrete ottenute dall’applicazione attenzionale. Queste correlazioni si articolerebbero in triadi composte di due costituiti correlati da un costituito – una categoria mentale, a volte designata, come nel caso di una ‘e’ o di una ‘o’ in italiano, e a volte non designata, come nel caso del rapporto tra articolo e nome in italiano – in funzione di correlatore. L’ampliarsi di queste triadi in reti di un’estensione temporale non superiore ai 5-7 secondi, infine, richiedendo l’intervento di un’ulteriore funzione della memoria, definirebbe i limiti biologici del pensiero umano.
Nell’arco di un decennio, la cibernetica come primo ambito applicativo della teoria di Ceccato comprese essenzialmente tre progetti: la traduzione automatica, un modello di operazioni mentali e una macchina capace di percepire, di categorizzare e di semantizzare l’ambiente circostante (alcuni studi furono anche dedicati alla possibilità del riassunto automatico a fini di documentazione – per esempio, nell’ambito giuridico –, ma non ebbero grandi sviluppi).
In collaborazione con l’ingegnere Enrico Maretti, Ceccato presentò il proprio progetto di traduzione automatica al Third London Symposium sulla teoria dell’informazione nel 1956, anche se non nascose mai le difficoltà del progetto. Fece innanzitutto notare che, una volta accolta l’idea di un’attività mentale comune a tutti i parlanti, restava comunque il fatto che non tutti pensano allo stesso modo. Faceva l’esempio della frase inglese ‘I like you’, dove l’accento veniva posto su una parte del processo affettivo, mentre nella corrispondente italiana ‘Tu mi piaci’, l’accento vien posto sull’altra parte (Le traduzioni automatiche, 1962, p. 6). C’era poi da considerare il caso – non raro – che nella lingua di arrivo non esista il corrispettivo di una parola esistente nella lingua di partenza. Così com’era da affrontare il problema dell’ambiguità delle parole nella lingua di partenza – difficoltà che sarebbe stata aggirabile soltanto mediante un’adeguata analisi del contesto, senza dimenticare che a una parola possono corrispondere in una lingua diversa più parole, o più soluzioni linguistiche, come quelle delle desinenze, dei suffissi e dei prefissi da aggiungere al ‘tema’ – distribuite anche in punti non contigui della proposizione (causa fondamentale dell’impossibilità della traduzione parola per parola).
Nell’aprile del 1955, Ceccato e Maretti avevano anche annunciato la loro intenzione di costruire una ‘macchina pensante’. Ne parlarono in un convegno organizzato da Giovanni Emanuele Barié, fondatore e direttore dell’Istituto di Filosofia dell’Università statale di Milano e l’episodio venne commentato da Gustavo Bonfadini l'anno succesivo sulle pagine della Rivista di filosofia neo-scolastica: «Quando ebbe parlato Ceccato si destò un interesse insolito, tutti si assieparono intorno all’oratore, tempestandolo di richieste. Ceccato aveva parlato della macchina cibernetica, capace di tradurre un latinetto di seconda media, o di radiotrasmettere una partita di calcio. Si trattava della fabbricazione dell’homunculus. Quasi nessuno dei filosofi presenti aveva capito il discorso tecnico di Ceccato; in compenso nessuno aveva interessato quanto lui». Più precisamente, si trattava del progetto di quello che, grazie a Leonardo Sinisgalli, poeta ingegnere e direttore della rivista Civiltà delle macchine, venne subito chiamato Adamo II. Un frammento della macchina venne presentato l’8 aprile del 1956 nel settore del Gruppo Finmeccanica alla Mostra internazionale dell’automatismo suscitando l’interesse dei media e dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Questo frammento era in grado soltanto di eseguire la costituzione di alcune categorie mentali. Tuttavia, al di là del suo valore modellistico – «mostrare come potrebbe operare la mente umana, come potrebbe operare il cervello quale organo del pensiero» (Maretti, 1956, p. 25) –, secondo Ceccato poteva costituire «un buon allenamento per chi voglia impratichirsi nelle analisi operative». A suo avviso, era sufficiente che si facesse funzionare l’apparecchio e si seguisse su di esso «il rallentato formarsi delle combinazioni mentali» per rallentarsi a propria volta nell’esecuzione (La morale di Adamo, 1956, p. 32). Il destino di Adamo II fu quello di un prototipo senza discendenza: lasciato al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, andò perduto durante un trasporto a Roma.
Nel 1957, intanto, con delibera del senato accademico dell’Università statale di Milano, veniva istituito il Centro di cibernetica e di attività linguistiche che, tre anni dopo, verrà a operare sotto l’egida del Consiglio nazionale delle Ricerche. L’impresa di Ceccato assumeva così i crismi dell’ufficialità e del pubblico riconoscimento, mentre, di concerto, andava crescendo il numero dei collaboratori. Il prestigio che questo gruppo di studiosi riuniti intorno a Ceccato andava acquisendo fece sì che, per alcuni anni, l’impresa si espandesse potendo mirare ai fini più ambiziosi. Nel 1958 il governo americano commissionò al Centro l’incarico di realizzare, tramite la sua originale soluzione, la traduzione automatica per le lingue inglese e russa e, nel 1960, l’EURATOM (European atomic energy community)chiese di aggiungervi prima l’italiano e il tedesco e, infine, anche il francese. La stessa EURATOM finanziò il progetto per l’osservazione e la descrizione meccaniche.
Nel 1960, con Enrico Maretti, Renzo Beltrame e Franco Potenza, Ceccato diede dunque il via alla costruzione di una macchina che «osserva e descrive gli eventi del suo ambiente» o «cronista meccanico». A differenza dell’Adamo II, questa macchina sarebbe stata asservita a condizioni variabili sia esterne sia interne, sia presenti sia passate – osservazione e descrizione o, detto in altre parole, passaggio dal non linguistico al linguistico e capacità di apprendimento. Nel contesto della ricerca vennero allora incentivati studi non solo di ordine linguistico e ingegneristico, ma anche di ordine psicologico e neurofisiologico. Tuttavia, nonostante la gran messe di risultati o forse proprio a causa di ciò, la costruzione effettiva del cronista meccanico non andò mai oltre il gruppo esploratore ottico.
Nella prima metà degli anni Sessanta si esaurì la spinta propulsiva dell’impresa cibernetica. Vennero interrotti i finanziamenti relativi alla traduzione automatica mentre i costi relativi al cronista meccanico cominciarono ad apparire eccessivi rispetto alle difficoltà incontrate per la sua realizzazione. Nel 1964 Methodos cessò le pubblicazioni e i membri attivi del Centro di cibernetica e di attività linguistiche si ridussero di parecchie unità. Ceccato si dedicò a una frenetica attività di divulgazione delle proprie teorie. Da un lato iniziò una collaborazione settimanale con il quotidiano Il Giorno, dall’altro cominciò a raccogliere gli scritti che fino ad allora stavano a testimoniare il suo percorso intellettuale e a commentarli alla luce dei loro sviluppi ulteriori. Nacque così il progetto di pubblicazione di Un tecnico fra i filosofi, in quattro volumi, di cui soltanto i primi due vennero pubblicati, nel 1964 e nel 1966.
Questo improvviso oscurarsi dell’orizzonte applicativo favorì, tuttavia, l’apertura di due nuovi fronti di attività. Il primo fu quello della didattica elementare. Eleggendo l’analisi della vita mentale a materia propedeutica a ogni sapere, Ceccato tenne una lunga serie di lezioni presso una scuola elementare di Milano, di cui rimase traccia in Il maestro inverosimile, opera pubblicata in due volumi (rispettivamente nel 1971 e nel 1972) e poi ripubblicata – commentata da lui stesso, come nel caso di Un tecnico fra i filosofi – nel 1980 con il titolo Il punto: sulle esperienze vecchie e nuove del maestro inverosimile.
Il secondo fronte fu costituito da un’espansione già prevista ai tempi delle prime presentazioni dell’Adamo II, quella dell’applicazione del modello analitico ‘operativo’ alla costruzione di una lingua universale. Grazie a un finanziamento della Fondazione Dalle Molle per gli studi linguistici e di comunicazione internazionale fu possibile reclutare nuovi ricercatori. Nel 1970, Ceccato fondava Pensiero e linguaggio in operazioni, una nuova rivista di cui usciranno dodici numeri. Dal punto di vista ‘operativo’ ogni tentativo compiuto in precedenza per la realizzazione di una lingua universale era destinato al fallimento perché partiva dalle lingue esistenti e non dalle operazioni mentali designate. Soltanto rovesciando i termini della questione sarebbe stato possibile generare una lingua ‘ausiliaria’ internazionale. Una lingua siffatta – basata sull’operare mentale comune – avrebbe peraltro potuto soddisfare criteri di economicità perché, non dovendo ereditare quanto di linguistico accumulato in precedenza, avrebbe potuto rispettare quelle esigenze di univocità che garantiscono l’efficace processo di comunicazione. Tuttavia, venendo presto meno i finanziamenti, anche quest’ultimo fronte applicativo si chiuse prima che Ceccato potesse presentare risultati significativi.
A metà degli anni Settanta, dunque, avvenne la dispersione definitiva del nucleo milanese. Il Centro fu chiuso e Ceccato accettò di tenere un corso di linguistica applicata presso l’Istituto universitario di lingue moderne di Milano. Le lezioni vennero pubblicate nel 1980, con Bruna Zonta come coautrice, con il titolo Linguaggio, consapevolezza, pensiero. Al contempo, non smise mai di tornare criticamente sul proprio modello dell’attività mentale nonché sulle singole analisi del quadro categoriale: La linguistica in un Modello unificato dell’uomo, del 1983, rappresenta forse l’ultimo tentativo di arricchire ulteriormente l’assetto teorico del ‘punto di vista operativo’, anche se non mancheranno le occasioni per sistematizzarne gli aspetti più problematici – soprattutto nei Working Papers della Società di cultura metodologico-operativa, un’associazione sorta nel 1986 dall’esigenza di riunificate i vari studiosi che si riconoscevano nella Scuola operativa italiana. Ormai liberato da un’attualità tanto stringente quanto quella degli anni Cinquanta, riaccostandosi a Somenzi e a Vaccarino, Ceccato cercò perfino di resuscitare l’amata rivista di un tempo e, insieme, progettarono un Nuovo Methodos che, tuttavia – nonostante alcuni saggi già scritti per il primo numero –, non andò mai in stampa. Spettò, invece, alla Società di cultura metodologico-operativa di fondare Methodologia, proseguendo così il programma della Scuola operativa italiana.
La seconda metà degli anni Ottanta vide Ceccato impegnato sempre più in un’opera di divulgazione delle proprie idee in funzione terapeutica: la consapevolezza relativa all’origine mentale delle categorie e alle modalità della loro applicazione poteva, a suo parere, risultare liberatoria nei confronti di chi le subiva come un dato di fatto che lo trascendesse. Nel 1985, grande successo editoriale riscosse L’ingegneria della felicità che Ceccato scrisse con la collaborazione di Daniela Pogliani, che sarebbe in seguito diventata sua moglie.
Nella stessa ottica della consapevolezza operativa come rasserenante per l’esistenza, dal 1986 tenne una rubrica fissa sulle pagine di un settimanale popolare come la Domenica del Corriere e, dal 1990, su quelle di Visto. L’ineludibile declino fisico degli anni successivi non gli impedì le numerosissime conferenze né la partecipazione a dibattiti né gli interventi ai convegni. Nell’ultimo suo libro C’era una volta la filosofia, pubblicato nel 1996 riprese ancora, non senza qualche inesattezza storica, il tema della propria vicenda intellettuale enfatizzando, tra il sorriso e l’amarezza, il ruolo di pioniere e solitario – non inteso e malinteso – che gli era toccato di interpretare.
Morì a Milano il 2 dicembre del 1997
Il teocono o 'della via che porta alla verità', in Methodos, I, (1949), 1, pp. 34-54; Il linguaggio con la Tabella di Ceccatieff, Paris 1951; La morale di Adamo II, in Civiltà delle macchine, IV (1956)3, p. 32; Le traduzioni automatiche, Relazione al Convegno informativo sull’elaborazione elettronica dei dati, IBM, Firenze, febbraio 1962; Lezioni di linguistica applicata, Centro di cibernetica e di attività linguistiche, Università degli Studi, ed. ciclostilata, 1964-1965; Metodologia della critica d’arte: residuati crociati e nuovi orizzonti, in Uomini e idee, IX, (1967), 7-8, pp. 13-44; La mente vista da un cibernetico, Torino 1972; A chi serve la filosofia, in Il Giorno, 5 gennaio 1976.
E. Maretti, Adamo II, in Civiltà delle macchine, IV, (1956), 3, pp. 25-32; Le prime accoglienze ad Adamo II, ibid.; F. Accame, La funzione ideologica delle teorie della conoscenza, Milano 2002; F. Accame, Come non detto – Sulla dissipazione del capitale scientifico, in Working Papers, Società di Cultura Metodologico-Operativa, 246, 2011, in www.methodologia.it.