COSINI (Chogini, Chusini, Qugini, Ceparelli, Cipparelli), Silvio (Silvio da Fiesole)
Figlio di Giovanni e fratello di Vincenzo, nacque a Fiesole (Vasari, IV, p. 481) negli ultimi anni del secolo XV.
Giovanni di Neri di Cosimo legnaiuolo nativo del villaggio di Cepparello, presso Barberino in Val d'Elsa (onde i suoi discendenti furono detti Cepparello o Cepparelli), si sarebbe stabilito verso la fine del Quattrocento, insieme al padre, a Pisa (Milanesi, in Vasari, IV, p. 481 n. 2). Dal Sansovino è ricordato come "...Giovanni da Pogibonzi..." (testamento, in Bacci, 1917, p. 120).
Quasi nulla si conosce della sua vita e tutta da provare è ancora la sua attività di scultore legata dalla critica esclusivamente alla bottega del figlio Silvio. La prima notizia sicura si riferisce ad una sua presenza a Carrara nel 1521 (G. Campori, Gli artisti italiani negli Stati Estensi, Modena 1855, p. 204). Da un documento riguardante Silvio risulta che il 31maggio del 1530Giovanni era sicuramente morto (Vigo, 1899, p. 18);non poteva, quindi, essere a Genova insieme al figlio per lavorare alla decorazione del palazzo di Andrea Doria a Fassolo, come afferma l'Alizeri, (1846, p. 1276) e si può quindi ritenere che il Giovanni da Fiesole ricordato dallo stesso Alizeri (1846, p. 1274; 1880, p. 280)come zio di Silvio sia da identificare con un altro artista attivo nel cantiere di palazzo Doria a Genova.
Il C. fu artista molto famoso ai suoi tempi sia per la notevole qualità delle sue opere sia per il suo strano carattere; il Vasari (IV., p. 484) infatti lo ricorda "di bello ingegno, capriccioso, e molto destro in ogni cosa, e persona che seppe condurre con molta diligenza qualunche cosa si metteva fra mano" e aggiunge inoltre che "Si dilettò di comporre sonetti e di cantare all'improviso; e nella sua prima giovanezza attese all'armi. Ma se egli avesse fermo il pensiero alla scultura ed al disegno, non arebbe avuto pari". Lo scultore Girolamo Campagna, in una lettera del 19 giugno 1604 indirizzata al duca di Urbino, lo ricorda fra scultori celeberrimi e, citando i nomi dei più famosi, lo pone subito dopo il Sansovino (G. Gronau, Die Statue des Federigo di Montefeltro, in Mitteil. des Kunsthistor. Instit. in Florenz, III[1919], p. 260).
Allievo di Andrea Ferrucci da Fiesole, proprio nell'ambito della bottega fiorentina di questo eseguì la sua prima opera importante; il Vasari racconta, infatti, come fosse stato allogato ad Andrea il monumento, per S. Maria Novella, di Antonio Strozzi, morto nel 1524; essendo però il Ferrucci ormai anziano, affidò l'esecuzione della Madonna al C. e quella degli Angeli a Maso Boscoli.
La Madonna, ad altorilievo molto pronunciato, ricorda come composizione quella di A. Ferrucci nel duomo di Genova, mentre nel suo volto ed in quello del putto rievoca una tradizione leonardesca, che deriva dal Rustici. Secondo il Gamba (1929, p. 229) sarebbero da attribuire al C. anche gli ornati e i fastigi con mascherine sopra l'architrave del monumento e l'Angelo di destra, più mosso e pittorico dell'altro.
Il Vasari (IV, p. 482) ricorda che "ha poi molte cose lavorato leggiadramente e con bella maniera, ed ha passato infiniti, e massimamente in bizzarria di cose. alla grottesca; come si può vedere nella sagrestia di Michelagnolo Buonarroti, in alcuni capitelli di marmo intagliati sopra i pilastri delle sepolture, con alcune mascherine tanto bene straforate, che non è possibile veder meglio. Nel medesimo luogo fece alcune fregiature di maschere che gridano, molto belle. Perché veduto il Buonarroto l'ingopgno e la pratica di Silvio, gli fece cominciare alcuni trofei per fine di quelle sepolture; ma rimasero imperfetti, insieme con altre cose, per l'assedio di Firenze".
I lavori per le tombe medicee in S. Lorenzo a Firenze, iniziati con la cavatura dei marmi nel 1521, interrotti nel 1529 per riprendere l'anno seguente, furono terminati nel 1533. Ma già nell'agosto 1532 (Tolnay, 1948, p. 239) il C. aveva ricevuto il saldo per la sua opera. I trofei ricordati dal Vasari sono uno dei motivi desunti dall'antico usati da Michelangelo per la decorazione della cappella; attualmente sono esposti nel corridoio fra la cappella medicea e quella dei principi. In quegli anni il C. scolpiva in S. Maria Novella il cenotafio di Ruggero Minerbetti, morto nel 1530: una lapide con iscrizione a grossi caratteri, circondata da una cornice dalla singolare decorazione cavalleresca di scudi ed elmi.
Al periodo giovanile fiorentino dei C. vengono attribuiti anche il Bacco e Ampelo della Galleria degli Uffizi, arbitrario completamento di un antico torso di Dioniso in un'opera decorativa di gusto tipicamente rinascimentale, attribuito anche a Michelangelo e al Caccini (G. A. Mansuelli, La Galleria degli Uffizi, Roma 1958, I, pp. 147 s.); il S. Giovannino della Morgan Library di New York eseguito sotto la diretta influenza dell'arte michelangiolesca ed assegnato anche al Rustici (U. Middeldorf, in The Burlington Magazine, LXVI [1935], p. 72;Tolnay, 1943, p. 200); il S. Giovannino già nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino (E Schottmüller, Bildwerke des Kaiser Friedrich Museums, Berlin 1931, pp. 171 s.), andato distrutto durante la seconda guerra mondiale. Inoltre gli vengono attribuiti anche i finestroni in pietra serena del refettorio di S. Maria degli Angeli (Paatz, 1952, III, p. 109).
Già nel febbraio 1528 il C. risulta attivo anche alle dipendenze della primaziale di Pisa per scolpire due Angeli portacandelabri per l'altare maggiore. Le due sculture, terminate nel 1531, portano sulla cintura l'iscrizione "Opus Silvii" (cfr. Bacci, 1917, pp. 128-32). Il 19 o 20 ott. 1529 il C. era a Castelnuovo di Garfagnana a ritrarre la maschera di Niccolò Capponi, lassù ammalatosi e morto mentre con Tommaso Soderini ritornava da un'ambasceria all'imperatore Carlo V (cfr. Vasari, IV) p. 483: "fu mandato con molta fretta Silvio a formamela testa, perché poi ne facesse una di marmo, siccome n'aveva condotto una di cera, bellissima").
Il 31 maggio 1530, mentre era residente a Pisa, il C. firmava il contratto per l'altare destinato ad accogliere l'immagine miracolosa della Vergine nel monastero dei gesuati di S. Maria di Montenero presso Livorno.
Secondo il contratto (Vigo, 1899) la pala venne scolpita a Pisa, trasportata a Livorno e da là a Montenero; collocata in origine sull'altare maggiore della chiesa, è ora nella sagrestia del santuario: di forma rettangolare, spartito da due pilastri adorni di candelabre, il bassorilievo contiene non due figure, come scrive il Vasari (IV, p. 482), ma quattro; S. Girolamo e S. Ermete in alto, il Beato Colombini e il Beato Francesco in basso.
Di questo primo periodo di permanenza a Pisa è anche il monumento, nella chiesa di S. Lino a Volterra; di Raffaello Maffei, detto il Volterrano, morto eremita nel 1522.
Il cenotafio è costituito da una base decorata con putti, stemmi e lapide dedicatoria, al di sopra; al centro, il sarcofago con la figura reclinata del defunto; ai lati, entro nicchie, le statuette dell'Arcangelo Raffaele edel Beato Gherardo. Questedue figure e le candelabre sono attribuite anche al Montorsoli o a Stagio Stagi da Pietrasanta sulla base di una lettera del C. stesso, del 30 nov. 1531, dalla quale risulta come egli, partito per Genova, avrebbe lasciato il monumento incompiuto (Santini, 1861, p. 73).
Recatosi a Genova, il C., "stando a' servigi del principe Doria, fece di marmo sopra la porta dei suo palazzo un'arme bellissima, e per tutto il palazzo molti omamenti di stucchi, secondo che da Perino del Vaga pittore erano ordinati" (Vasari, IV, pp. 484).
L'intervento decorativo del C. in palazzo Doria di Fassolo va situato fra il 1530 e i primi del 1533, quando Andrea Doria, creato principe di Melfi da Carlo V, ospitava l'imperatore a Fassolo e quindi dovevano essere compiuti i lavori negli appartamenti al piano nobile di Andrea e della moglie, nella decorazione dell'atrio, della loggia, dei due saloni e forse della "camera della Carità romana". A Perin del Vaga spetta senza dubbio il disegno del maestoso portale nord con le colonne libere ed il timpano ornato da statue di Virtù e coronato dallo stemma Doria eseguito dal C., portale che costituì una novità ripetutamente imitata a Genova (B. Davidson, Adrawing by Perino del Vaga..., in The ArtBulletin, XLI [1959], pp. 320, 324; Parma Armani, 1977; F. Gaudioso-E. Gaudioso, Gliaffreschi di Paolo III a Castel S. Angelo, Roma 1981, II, p. 33). Nel palazzo vengono fondatamente attribuiti al C. anche gli stucchi della scala e della loggia, i cui ornati intagliati con estrema nettezza dal fondo, quasi vi fossero applicati sopra, si rivelano di maniera fiorentina; il camino del salone dei Giganti in pietra nera con figure di Daci e, nel medaglione della cappa, il Mito di Prometeo, insieme a quello simile del salone del Naufragio con al centro il rilievo della Fucina di Vulcano, come pure il portale in via S. Benedetto che se nella composizione delle due figure abbinate sul frontone si rivela d'ispirazione romana, mostra nelle due figure femminili un'esecuzione più sottile, aggraziata ed esile che rivela la fine mano del C. (Manara, 1958, p. 15).
L'Alizeri (1880, p. 289) ritiene che il C. abbia collaborato anche alla decorazione del baldacchino marmoreo, terminato nel 1532, che sovrasta l'altare maggiore della cappella di S. Giovanni Battista nel duomo di Genova; al C. sarebbero da attribuire anche i raffinati intagli marmorei dell'architrave (Ilduomo di Genova ed i nuovi lavori, a cura di A. Boscossi, Milano 1910, p. 12). Da casa Doria, il 13 apr. 1532, il C. scriveva a Michelangelo ringraziandolo del "beneficio" (Bacci, 1917, p. 120): probabilmente quindi Michelangelo lo aveva raccomandato ai Doria. Nel 1531, terminati i lavori di decorazione di casa Doria, il C. si recò a Venezia e vi chiamò a collaborare con lui anche il fratello Vincenzo. L'unica opera veneziana di cui si abbia notizia sicura è la tomba di Iacopo Sansovino documentata dal testamento di questo, rogato in Venezia il 16 sett. 1568: "...l'anno 1533 10 feci fare una sepoltura in marmo la quale non n'è finita, e la feci lavorare a m.ro Silvio et al fratello, figliuoli di Giovanni da Pogibonzi nella bottega dove stava m.ro Silvestro... a santo Silvestro nel Canale grande... E ditta opera voglio che lla sia finita et posta in opera, in muro, colla mia testa., di marmo, et in terra sia fatta una lapide sola con poche lettere" (ibid., p. 120).
Il Sansovino morì il 27 nov. 1570 e venne sepolto, come da sua seconda disposizione testamentaria, nella chiesa di S. Geminiano, demolita nel 1807 per le costruzioni napoleoniche; dei marmi che i Cosini avevano cominciato a scolpire nel 1533 non si hanno notizie.Sempre nel 1533 il C. risultava operoso a Padova insieme con altri nella decorazione in stucco, su disegno di Falconetto, della volta della cappella dell'area del Santo nella basilica di S. Antonio.
Per tale lavoro gli veniva assegnato un salario mensile di 54 lire, fino alla metà di giugno del 1534. Il 1º luglio di quell'anno otteneva la commissione del rilievo marmoreo rappresentante il Miracolo della donna ferita mortalmente dal marito e risanata per intercessione di s. Antonio da Padova, che doveva essere collocato sulla parete sinistra della cappella. Il rilievo era già stato cominciato da Giovanni Rubino detto il Dentone al quale era stato ordinato sin dal 1524; è così spiegata la non omogeneità dell'esecuziorie e forse anche il fatto che l'opera sia formata da due lastre marmoree di dimensioni diverse, vistosamente congiunte insieme.
Sempre nel 1534 il C. eseguiva il rilievo triangolare in stucco raffigurante la Pietà per la facciata del Monte di pietà di Padova verso il sagrato del duomo (facciata che fu poi alterata; per le opere padovane del C., cfr. Rigoni, 1970; Sartori, 1976). Il rilievo scolpito per la cappella dell'arca dei Santo riuscì di piena soddisfazione dei committenti se prima ancora che il quadro fosse collocato, con atto del 21 genn. 1536, gliene fu allogato un altro, che avrebbe dovuto avere per soggetto S. Antonio che libera una indemoniata. È certo che il C. non eseguì l'opera affidatagli né il soggetto fu ripreso da altri artisti: forse il C. fu distratto da altre commissioni ricevute in Padova stessa, o, secondo la Rigoni (1970) a Venezia, richiamatovi dal Sansovino: a Padova, avendo lavorato senza interruzioni per la basilica dal settembre 1533 fino almeno al gennaio 1536, aveva indubbiamente stabilito la sua dimora e anzi (ibid., p. 244) aveva pure un apprendista. Più probante appare però l'ipotesi di un suo ritorno a Pietrasanta dove era morto il suocero, lasciando alle figlie la casa per "loro uso" (Santini, 1861, p. 123: seconda moglie del C. era Ginevra, figlia di Stefano Procacci da Pietrasanta, sorella di Maria, moglie di Vincenzo Cosini fratello del C.: Milanesi, in Vasari, IV, p. 481 n.). A Pietrasanta, probabilmente, aveva cominciato a lavorare con il Montorsoli che nel 1536 aveva ricevuto la commissione della tomba di Iacopo Sannazzaro da erigere in S. Maria del Parto a Napoli (cfr. K. Möseneder, Montorsoli..., Mittenwald 1979, p. 34).
M. G. Ciardi Dupré (La prima attività dell'Ammannati scultore, in Paragone,XII [1961], 135, p. 12) ha giustamente attribuito al C. il bassorilievo rappresentante l'Arcadia, incassato fra i due alti pilastri che reggono il sarcofago e che è ricordato dal Vasari come iniziato, quale primo pezzo del monumento, dal Montorsoli in persona a Pisa e terminato poi a Genova. Nel 1542 il C. era nuovamente a Genova dove il 26 aprile di quell'anno nominava suo procuratore generale il nobile Cipriano Pallavicino, futuro arcivescovo della città (Alizeri, 1880, p. 304).
A Genova il C. risultava attivo, insieme al Montorsoli, nell'organizzazione e nella decorazione dei giardini superiori di palazzo Doria a Fassolo; gli si attribuisce l'esecuzione della fontana dei Delfini di struttura tradizionale a tazze sovrapposte, ma decorata di mascheroni di gusto già manierista. Tra il 1541 e il 1544 era operoso anche nella decorazione del palazzo di Antonio Doria all'Acquasola, sempre a Genova (cfr. Rotondi, 1958, p. 52). In quello stesso tomo di anni Andrea Doria aveva deciso di rinnovare l'intemo della chiesa di S. Matteo, e aveva affidato al Montorsoli la ristrutturazione del presbiterio con la costruzione della cripta sottostante; ai lavori, circoscrivibili agli anni 1543-47, collaborava anche il C., a cui sembra siano da attribuire la raffinata decorazione delle urne del coro, i due altar. del transetto e la cantoria (La chiesa di S. Matteo, a cura di G. Algeri, Genova 1976, p. 9).
Il soggiorno veneto ed il contatto con artisti come Tiziano Minio a Padova, nonché l'influsso della plastica pastosità del Montorsoli rendono in queste opere lo stile del C. più ampio e opulento, le forme più plastiche, continue e meno analitiche: caratteri riscontrabili anche negli stucchi del soffitto della cripta di S. Matteo, attribuiti al C. o al Montorsoli (Manara, 1958, p. 51). Il Vasari (IV., p. 484) scrive che da Genova il C. si diresse in Francia, ma che poi, "prima che fusse al Monsanese tornò in dietro; e fermatosi in Milano, lavorò nel duomo alcune storie e figure e molti ortiamenti, con sua molta lode"; nella vita di Benvenuto Garofalo (VI) aggiunge che "Silvio da Fiesole" eseguì "nell'ornamento d'una porta che è volta tra ponente e tramontana, dove sono più storie della vita di Nostra Donna, quella dove ell'è sposata, che è molto bella". Nei documenti dell'Opera del duomo di Milano "Silvio de Ciparelis" è ricordato nel 1544-45 (U. Nebbia, La sculturanel duomo..., Milano 1908, p. 188; R. Bossaglia, in Il duomo..., Milano 1973, II, p. 99), equiparato, nello stipendio, al Bambaia, lo scultore più famoso a Milano in quegli anni (ma le indicazioni archivistiche in Bossaglia sono errate; non è stato possibile trovare i documenti).
Il rilievo rappresentante lo Sposalizio della Vergine era destinato, insieme ad altri cinque raffiguranti Fatti della vita di Maria, ad ornare gli stipiti del portale del duomo verso Campedo. Dopo il 1570 la porta fu chiusa ed al suo posto l'architetto T. Rinaldi eresse la cappella della Madonna dell'Albero (G. Mongeri, L'arte in Milano..., Milano 1872, p. 169). Attualmente il rilievo è visibile in alto, sullo stipite destro all'esterno della cappella del Rinaldi; una incisione in Il duomo di Milano rappresentato in 64 Tavole..., Milano 1871 (Antica Stamperia P. e G. Vallardi) può dare un'idea della composizione finora non visibile in fotografia.
Errata è la notizia riportata dal Vasari che il C. sarebbe morto a Milano a quarantacinque anni: l'ultima notizia dello scultore è infatti nell'estimo di Pietrasanta del 1549 nell'Archivio di Stato di Pisa (reg. 2338 [755] dell'archivio dei Fiumi e Fossi, c. 49v) in cui il C. risulta coabitante del fratello Vincenzo in una casa di loro proprietà, posta in "ruga soprana di sotto" (esattam. trascritto in Bacci, 1917, p. 113).
Secondo il Milanesi (in Vasari, IV, p. 481 n.) il C. "lasciò due figliuoli, cioè Valerio e Laura. Valerio fu pittore e stette in Lucca ad imparare l'arte iotto un maestro Giovanni pittore lucchese detto il Francioso...".
Il C. fu certamente artista dalla cultura sottilissima: seppe volgere gli schemi e gli insegnamenti michelangioleschi in una visione di luministico verismo patetico: tra gli scultori della sua generazione fu l'unico a riallacciarsi in una formula più moderna alla cultura fiorentina del primo decennio del secolo, a quella cultura, cioè, a cui appartengono il Sansovino ritornato dal Portogallo, gli inizi del Rustici e l'opera di qualche spagnolo. La sua influenza sulla scultura decorativa genovese rimarrà per lo più di carattere iconografico: nessun artista genovese saprà infatti capire la finezza e la misura dell'arte del C. né coglierà il gusto della decorazione a stucco di impronta raffaellesca da lui applicata con intelligenza formale ed inesauribile fantasia di varianti.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite... [1568], a c. di G. Milanesi, Firenze 1906, IV, pp. 481-84, VI pp. 516 s.; F. Bocchi-G. Cinelli, Le bellezze della città di Firenze, Firenze 1677, p. 243; G. Bottari, Raccolta di lettere.... Roma 1768, VI, p. 230; F. Alizeri, Guida artist. ... di Genova, Genova 1846, II, pp. 607, 1274, 1276, 1286, 1296, 1305; B. Gonzati, La basilica di S. Antonio…, Padova 1852, I, p. 163, doc. LXXXIX; V. Santini, Commentari storici sulla Versiglia centrale, VI, Pisa 1863, pp. 73, 121 -24; S. Varni, Delle opere eseguite in Genova da S. C., Genova 1868; G. Campori, Mem. biogr. d. scultori, Modena 1873, p. 306; F. Alizeri, Guida illustrata... di Genova, Genova 1875, pp. 100, 537; Id., Notizie dei professori del disegno in Liguria, Genova 1880, V, pp. 196, 280-87, 289, 304, 306, 336, 350; P. Vigo, Il vero autore dell'antico altare di Montenero attribuito a Mino da Fiesole, in Arte e storia, s. 3, II (1899), pp. 17 ss.; Catal. d. cose d'arte e di antichità d'Italia, R. Papini, Pisa, Roma 1912, pp. 80 ss.; P. Bacci, Gli angeli di S. C. nel duomo di Pisa, in Boll. d'arte, XI (1917), pp. 111-32; C. Gamba, S. C., in Dedalo, X (1929), pp. 228-54; E. Rigoni, Un rilievo di S. C. sulla facciata del Monte di pietà di Padova, in Rivista d'arte, XII(1930), pp. 485-95; A. Venturi, St. d. arte ital., X, 1, Milano 1935, pp.487-96; Mostra del Cinquecento toscano in pal. Strozzi (catal.), Firenze 1940, p. 36; C. De Tolnay, Michelangelo, I, Princeton, N. J., 1943, pp. 200, 235; III, ibid. 1948, pp. 41, 165, 239; W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, II, Frankfurt a. M. 1941, p. 486; III, ibid. 1952, pp. 109, 703, 717; IV, ibid. 1952, p. 467; P. Rotondi, Il pal. di Ant. Doria a Genova, Genova 1958, pp. 49-52; C. Manara, Montorsoli e la sua opera genovese, Genova 1958, pp. 8-81 Passim;E. Rigoni, L'arte rinascimentale in Padova, Padova 1970, pp. 241-53, 279-87; A. Sartori, Documenti per la st. d. arte a Padova, Vicenza 1976, ad Indicem; La villa del principe Doria a Fassolo, a cura di E. Parma Armani, Genova 1977, pp. 4, 17, 22, 24; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, pp. 502-504 (anche per Giovanni); Encicl. Ital., XI, pp. 574 s.