GIANNINI, Silvio
Nato a Bastia, in Corsica, il 20 apr. 1815 da Agostino, commerciante, e da Lucia Bonavita, all'età di sei mesi fu condotto a Livorno, dove i suoi genitori presero residenza e dove egli trascorse larga parte della vita. Compiuti lì i primi studi, si trasferì a Pisa per frequentarvi i corsi universitari, ma dovette interromperli per la prematura scomparsa del padre e della madre e per la necessità di accudire le due sorelle e il fratello minore. Sebbene non avesse completato i corsi universitari si dotò di una vasta formazione letteraria e si dedicò con profitto alle attività culturali ricoprendo un ruolo di primo piano nella vita intellettuale livornese degli anni Trenta e Quaranta. Calzante il profilo che ne tracciò l'editore G. Barbera: "mezzo libraio e mezzo letterato, che coltivava le lettere con amore perseverante e insolito in un dilettante" (Barbera, p. 13).
In questi anni egli cercò di realizzare a Livorno qualcosa di simile a quanto in scala decisamente più ampia aveva fatto e stava facendo a Firenze G.P. Vieusseux. Non a caso egli fu uno dei più efficaci elementi di raccordo fra il milieu politico-culturale cittadino e il cenacolo dell'Antologia, e il Gabinetto scientifico-letterario da lui fondato divenne luogo di ritrovo di uomini di lettere ma anche di liberali e patrioti, che potevano trovarvi giornali, opuscoli e stampe d'ogni genere, comprese quelle che la polizia giudicava sovversive e delle quali proibiva la diffusione. Già nel 1841 il suo nome figurava fra i sospetti propagandisti degli scritti mazziniani, e la cosa doveva avere qualche fondamento se nel 1843, come si apprende dal suo carteggio con G. Mazzini, egli cercò di entrare in possesso per il Gabinetto della raccolta completa dell'Apostolato popolare. Nel 1845 il G. fu chiamato inoltre dall'editore torinese Pomba a dirigere una succursale editoriale a Livorno, che prese il nome di Emporio italo-librario.
La sua più importante iniziativa editoriale di questo periodo fu la Viola del pensiero, miscellanea di letteratura e di morale, che egli pubblicò per tre anni, dal 1839 al 1842, con la collaborazione di alcuni fra i più noti scrittori del tempo, per lo più di scuola romantica, e di intellettuali sensibili agli ideali del Risorgimento (da S. Pellico a G. Giusti, da G. Mazzini a F.D. Guerrazzi, da T. Mamiani a P. Thouar, da G.B. Niccolini a E. Mayer).
Particolarmente significativo fu il rapporto che egli strinse col Giusti, delle cui poesie ebbe il merito di comprendere fra i primi il pregio letterario ma anche la rilevanza politica, garantendo a esse una circolazione più ampia di quella che avevano avuto fino a quel momento, quando erano state lette per lo più da un ristretto numero di liberali toscani. Del Giusti il G. condivise l'interesse per la poesia popolare, alla quale dedicò un lucido saggio - apparso nel primo numero della strenna - in cui manifestava un approccio diverso da quello evidenziato dal moderatismo toscano nell'ormai annoso dibattito sulla "letteratura per il popolo", dominato da intenti prevalentemente paternalistici e filantropici, finalizzati alla conoscenza e alla sostanziale conservazione degli equilibri sociali esistenti. Da parte del G. v'era sì il desiderio di documentare, attraverso l'analisi dei canti popolari, gli usi e i costumi della gente comune, ma lo studio non andava disgiunto da uno scopo pedagogico e patriottico: "il basso popolo - sosteneva - è pure gran parte della Nazione" e il canto doveva essere utilizzato come forma espressiva per fargli conoscere "que' fatti della storia patria, che è per esso sventura ignorare" (Delle poesie popolari, in La viola del pensiero, Livorno 1839, p. 319).
Un altro momento della complessa attività pubblicistica del G. fu l'edizione, da lui curata nel 1843 per i tipi del Gabinetto scientifico e letterario, degli Scritti editi e postumi di C. Bini. Per questo volume il Mazzini stese una breve nota introduttiva che testimonia dei rapporti di collaborazione che intercorsero fra i due in questi anni, senza peraltro che il G. condividesse gli ideali politici del genovese. Egli sviluppò infatti concezioni liberali e patriottiche, ma rispetto al Mazzini restò schierato su posizioni molto più moderate, come si vide bene nel luglio 1847 quando gli venne assegnata la direzione del Corriere livornese, uno dei primi fogli apparsi in Toscana dopo la legge sulla stampa del 6 maggio.
Sotto la sua guida il giornale tenne una linea di cauto liberalismo, spronando la politica riformistica del granduca (come nel caso della campagna intrapresa per l'istituzione della guardia civica) e limitandosi a poche critiche nei confronti del governo. Sebbene fosse molto amico del Guerrazzi, il G. dette spazio in questa fase soprattutto a G. Ricci, avvocato ed esponente di primo piano del moderatismo labronico. Privilegiò insomma gli aspetti commerciali e letterari, nonché l'attenzione per le vicende locali, perorando la causa di un nuovo collegio di marina e i progetti per l'allargamento e l'ammodernamento del porto.
Nell'aprile 1848, con il propagarsi alla Toscana dei fermenti rivoluzionari, il G. fu di fatto estromesso dalla direzione, pur formalmente conservata fino al luglio seguente, e il giornale divenne portavoce dello schieramento democratico capeggiato da Guerrazzi. "Fu stabilito di creare un giornale democratico - scrisse G. La Cecilia - che spargesse fiamme fra il popolo e battesse in breccia l'ignavia del governo e del parlamento, e siccome esisteva un Corriere […] né carne né pesce, decidemmo di impadronircene, lasciando il Giannini alla cronaca locale di sua grandissima predilezione" (Memorie storico-politiche dal 1820 al 1876, IV, Roma 1876, p. 139). Il Guerrazzi non dimenticò comunque il vecchio amico e fra la fine del '48 e l'inizio del '49, cioè durante il governo democratico, gli fece ottenere la carica di segretario del governatore C. Pigli: cosa che, dopo la caduta del Guerrazzi, attirò su di lui le persecuzioni poliziesche e lo costrinse a fuggire da Livorno, nell'aprile 1849, e a riparare per circa un anno a Perugia, città natale della moglie Marianna Censi.
Seguì per il G. una fase particolarmente densa di difficoltà e avara di soddisfazioni. Trasferitosi nel 1852 a Firenze, vi trovò occupazione dapprima come revisore di bozze presso l'editore Le Monnier quindi come commesso archivista delle facoltà di giurisprudenza e filologia dell'Istituto di studi superiori. Negli anni seguenti strinse un solido legame d'amicizia con G. Carducci, che difese dagli attacchi dei critici e che sul finire del 1858 introdusse presso V. Salvagnoli, il quale nel 1860, ministro del governo provvisorio toscano, avrebbe commissionato al poeta l'Inno al re (destinato in origine a essere musicato da G. Rossini). Carducci a sua volta, nel maggio 1860, raccomandò l'amico a T. Mamiani, ministro della Pubblica Istruzione, perché nel disordine amministrativo seguito al trapasso dal governo provvisorio toscano a quello piemontese ne regolarizzasse la posizione. In quegli stessi giorni il G., rinverdendo la propria passione patriottica e l'interesse per la poesia popolare, dava alle stampe a Firenze il suo ultimo lavoro, I funerali di Santa Croce: canti del popolo e fiori, un opuscolo in commemorazione dell'anniversario di Curtatone e Montanara, a cui collaborarono autori come il Guerrazzi, N. Tommaseo, G. Chiarini, P. Fanfani, il Carducci e in cui egli stesso inserì alcuni dei suoi stornelli popolari.
Morì pochi mesi dopo, il 5 ott. 1860, a Bocca d'Arno, vicino Pisa.
Fonti e Bibl.: Gruppi di lettere del G. si trovano in varie biblioteche italiane: due fra i più significativi sono quelli conservati presso il Museo Civico di Varallo Sesia (sul quale cfr. A. Campani, Una insigne collezione di autografi. Carteggio Angeloni-Rolandi-Giannini. Notizia e catalogo, Milano 1900) e presso la Biblioteca Labronica di Livorno. Cfr. G. Barbera, Memorie di un editore, Firenze 1883, p. 13; G. Chiarini, Memorie della vita di G. Carducci, Firenze 1903, p. 99 e passim; G. Giannini, S. G. e la prima raccolta di canti popolari, in Niccolò Tommaseo, I (1904), pp. 8-11; Ediz. nazionale degli scritti di G. Mazzini, Indici, II, 1, ad nomen; G. Carducci, Opere, IV, Bologna 1917, pp. 70 ss.; V, ibid. 1920, p. 499; XI, ibid. 1923, pp. 403 s.; F. Martini, Il quarantotto in Toscana. Diario inedito del conte Passerini de' Rilli, Firenze 1918, pp. 74 s., 383; Epistolario di G. Giusti, I, a cura di F. Martini, Firenze 1932, pp. 163 s., 180, 217 s., 559 ss.; V, a cura di Q. Santoli, ibid. 1956, pp. 116 s.; L. Castelfranchi, Il "Corriere livornese" (1847-1849), in Bollettino storico livornese, II (1938), 1, pp. 46-68; T. Fracassini, Vincenzo Salvagnoli e S. G., ibid., IV (1940), pp. 50-59; C. Rotondi, Bibliografia dei periodici toscani (1847-1852), Firenze 1952, pp. 25 s.; A. Grilli, Un amico di G. Carducci: S. G., in Convivium, XXV (1957), pp. 591-597; F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all'Unità, in A. Galante Garrone - F. Della Peruta, La stampa italiana del Risorgimento, Roma-Bari 1979, pp. 281 s.; T. Iermano, Intellettuali e stampatori a Livorno tra '700 e '800, Livorno 1983, p. 72; Pisa ottobre 1839. Il Primo Congresso degli scienziati italiani, Pisa 1989, pp. 66 s.; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli "anni francesi" all'Unità, Torino 1993, p. 388; G. Luseroni, Giuseppe Montanelli e il Risorgimento. La formazione e l'impegno civile e politico prima del '48, Milano 1996, pp. 156 s.; Giuseppe Giusti. Il tempo e i luoghi, a cura di M. Bossi - M. Branca, Firenze 1999, pp. 47, 139, 183, 282; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.