PEROZZI, Silvio
PEROZZI, Silvio. – Nacque a Vicenza il 2 dicembre 1857 da Giordano e da Elisabetta Dal Bianco. Nel paese natale compì i primi studi fino alla conclusione di quelli liceali. Nel 1879 si laureò brillantemente in giurisprudenza presso l’Università di Padova. L’anno successivo conseguì la laurea in lettere.
Nel 1881 fu dichiarato idoneo al concorso per l’insegnamento di materie letterarie negli istituti tecnici e insegnò fino al 1883 presso l’Istituto tecnico provinciale di Macerata; in seguito a concorso indetto dalla Cassa di risparmio delle provincie lombarde, nel 1883 gli fu assegnata una borsa di studio di perfezionamento a Berlino, dove rimase fino al luglio del 1884.
Il soggiorno all’estero lo mise in contatto con vari orientamenti culturali, dagli studi sul mondo romano, alla filosofia giuridica, alla sociologia, e ciò gli rese possibile il confronto con la tradizione del pensiero di Friedrich Carl von Savigny, da cui seppe acquisire l’esigenza di sistematicità nella considerazione delle diverse direzioni della cultura giuridica. Questo innesto avveniva nel vivo contesto di una situazione che, nella storia giuridica come nell’interpretazione del diritto positivo, era destinata a spezzare ogni interpretazione statica e costrittiva dell’esperienza e a rinnovare la dinamica ideale dei concetti giuridici.
Tornato in Italia, dopo un breve periodo di insegnamento presso l’Istituto tecnico di Como, fu incaricato, nel 1885, dell’insegnamento di Pandette presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Perugia.
La breve monografia d’esordio sulla sponsio fu pubblicata nel 1880 e costituì la prima applicazione del metodo seguito da Perozzi.
Partendo dalla controversa origine dell’istituto, egli ne ricostruì la struttura e le vicende. Gli studi successivi (Dell’arbitrium litis aestimandae nella procedura civile romana, Vicenza 1881; Della in rem actio per sponsionem, Macerata 1883) lo posero subito alla ribalta della romanistica nazionale. Contrario a scelte dottrinali estreme e incline a fondere novità e tradizione della ricerca storico-giuridica, in questi lavori Perozzi dava voce, fra i primi, alle più condivise aspirazioni dei romanisti italiani della nuova generazione, inclini, all’indomani dell’unificazione politica e legislativa italiana, alla ricerca di una identità culturale nazionale da esprimere attraverso nuovi e originali programmi scientifici e didattici.
Nel porre la questione dei rapporti tra dottrine giuridiche romane e pratiche dell’interpretazione del diritto, Perozzi si interrogava contestualmente sull’identità dei giuristi romani, tanto sulla loro presenza sociale (in quali luoghi, attraverso quali gesti emblematici) quanto sulla loro costituzione professionale. La questione della pratica giuridica veniva posta al centro di ogni indagine sul senso e sulle condizioni del loro pensiero. Ciò implicava interrogarsi sullo statuto complesso che l’attività interpretativa assume nella giurisprudenza romana. L’esplorazione delle sue dottrine costituiva per lui un compito irrinunciabile, per verificare al tempo stesso le condizioni dell’operato dei giuristi e ricostruire la dimensione fondamentale del pensiero e dell’esperienza giuridica, in rapporto alle pratiche scientifiche, sociali, economiche, politiche, di vita.
Nel 1885 Perozzi vinse il concorso per professore ordinario di istituzioni di diritto romano a Macerata, prevalendo su Pietro Rossi, nonostante quest’ultimo vantasse una più lunga militanza universitaria e una produzione scientifica maggiormente orientata sul versante dogmatico-civilistico.
La commissione (presieduta da Filippo Serafini, e composta da Giuseppe Brini, Luigi Moriani, Vittorio Scialoja e Muzio Pampaloni) apprezzò «il valore della critica del Perozzi, nell’esame delle fonti e nello studio della sfera di applicazione delle varie “legis actiones” e la facilità con cui egli tratta argomenti complicati e oscuri» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione).
Dall’Università di Macerata, dove avrebbe insegnato Pandette fino al 1887 e dove ricoprì l’incarico di preside, passò a Messina per proseguire l’insegnamento; poi, dal 1891, fu all’Università di Parma, dove restò per un decennio ricoprendo anche la carica di rettore nel 1889-1900. Ottenuta, nel 1902, la chiamata come ordinario alla Alma Mater di Bologna, avrebbe ricoperto oltre alla cattedra di istituzioni di diritto romano, anche quella di Pandette fino al 1930.
Il contributo scientifico di Perozzi mosse da una riflessione sulle fonti e sul linguaggio giuridico, che gli consentiva di guardare a più esperienze, anche lontane nel tempo, senza irrigidire gli schemi prevalenti in uso in una singola epoca, riuscendo a tener vivi spazi di conoscenza aperta sui fenomeni giuridici e istituzionali, espressi in lavori come Della tradizione. Suo concetto e sua natura giuridica (1886); Interpretazione della L. 14 § 3 D. de alim. vel cib. leg. 34, I (1887); Di alcune censure ai giureconsulti romani (1888); Il possesso di parti di cosa. Note esegetiche (1888); Delle condizioni e delle necessità attuali dell’insegnamento e degli studi romanistici (1891).
Dalla sua opera i romanisti hanno tratto alimento e stimolo per un metodo saldo e articolato, e strumenti di non comune acutezza. Perozzi, pur continuando a riconoscere all’intuizione del giurista romano la parte fondamentale nell’operazione interpretativa e qualificativa del diritto, precisava, con un ulteriore scarto dal pandettismo, che la realtà concreta del pensiero dei giuristi romani si esprime nella sua tecnica; riteneva inoltre grossolano pensare che la sintesi contenuta nel Corpus iuris risolva e annulli senz’altro nel proprio il senso originario dei suoi contenuti.
Numerosi i lavori di ricostruzione degli istituti nel campo sia privatistico sia processuale: magistrale lo studio Sulla struttura delle servitù prediali (1888); argomento ulteriormente puntualizzato nel Saggio critico sulle teorie della comproprietà (1890), in cui la dogmatica dell’istituto tiene saldamente le fila del discorso storico e ne promuove con logica stringente le novità; il tema è ulteriormente approfondito nel saggio Perpetua causa nelle servitù prediali romane (1893) e ne I modi pretori di acquisto delle servitù (1897).
La sua concezione del diritto privato e dell’impianto romano, poi proiettata sul piano del successivo magistero, trovò significativo sfogo nella prolusione bolognese su Le obbligazioni romane (1903), nella quale Perozzi condensò il suo pensiero critico.
Le convinzioni politiche conservatrici gli ispirarono un sentimento di fiducia nello Stato e nelle capacità d’iniziativa della classe dirigente, che tradusse nella critica del socialismo e nel rifiuto delle istanze riformatrici.
Il frutto più tangibile della sua esperienza fu la pubblicazione delle Istituzioni di diritto romano (I-II, 1928).
Nelle pagine del manuale, analizzando le varie posizioni della letteratura e il rapporto critico con le fonti disponibili, Perozzi mostrava come essa non riflette, semplificata in uno schema, l’universale vita del diritto, ma agisce in essa, partecipa alla sua lotta, ai suoi problemi, sa essere arbitraria, polemica e da ciò trae la propria efficacia e il proprio valore. Anche in questo caso, contenendo le astrazioni pandettistiche, Perozzi non perdeva di vista la vivente realtà delle istituzioni romane, consapevole che la critica non è soltanto giudizio, ma anche fondazione, potendole toccare una responsabilità decisiva nella vita della cultura giuridica. L’appassionato appello a non irrigidire mai l’esperienza giuridica romana e ad accoglierne con rigorosa attenzione le sempre varie sollecitazioni, è ancora da tenere presente, non dimenticando il suo richiamo alle responsabilità dello storico del diritto.
Fu socio nazionale dell’Accademia dei Lincei e membro dell’Accademia di Italia. Morì a Bologna il 4 gennaio 1931, dopo lunga e dolorosa malattia.
I suoi scritti furono raccolti in tre volumi (a cura di U. Brasiello, Milano 1948).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale istruzione superiore, Divisione I, b. 12, f. 208/21; A. Guarneri Citati, L’opera scientifica di S. P., in Ricordo delle onoranze a S. P., Palermo 1926; P. Bonfante, S. P., in Bullettino dell’Istituto di diritto romano, 1930, pp. 285 ss.; G. Bortolucci, S.P., in Annuario dell’Università di Bologna, 1930-31, pp. 351 ss.; P. Bonfante, Commemorazione del socio S. P., in Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, Classe di scienze morali, s. 6, 1931, vol. 7, pp. 58 ss.; E. Levy, in Zeischrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte - Romanistische Abteilung, LI (1931), pp. 608 s.; E. Albertario, Il pensiero e l’opera di S. P., in Monitore dei Tribunali, 1933, n. 10 (estratti, Milano 1933, Pavia 1935); G. Crifò, Appunti per una storiografia dell’obbligazione romana, in Annali della facoltà giuridica dell’Università di Macerata, Milano 1982, pp. 1369 ss. (= Materiali di storiografia romanistica, Torino 1998, pp. 93 ss.); G. Gualandi, Tre ritratti accademici: Giuseppe Brini, S. P., Emilio Costa, in Profili accademici e culturali di ’800 e oltre, Bologna 1988, pp. 82 ss.; L. Capogrossi Colognesi, Modelli di Stato e di famiglia nella storiografia dell’800, Roma 1994, pp. 179 s., 181 s.; A. Masi, S. P., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2012, pp. 1543 ss.