STAMPIGLIA, Silvio
– Nacque a Civita Lavinia (l’odierna Lanuvio) il 14 marzo 1664 dal mercante di carbone don Andrea figlio del quondam Silvio (Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 16, vol. 157, c. 261, 20 agosto 1681) e da Plautilla Cennami figlia del quondam Giuseppe; fu battezzato nella collegiata di S. Maria Maggiore, avendo a padrini Fabrizio Boni e Angela Jacomini. La sorella maggiore Agnese, nata il 21 ottobre 1662, sposò don Paolo Sarnani di Ariccia (Albano Laziale, Archivio storico diocesano, Archivio capitolare della Collegiata S. Maria Maggiore in Lanuvio, Battesimi, c. 58; Matrimoni, c. 69v, 4 ottobre 1681).
La famiglia paterna era piuttosto agiata: lo zio Servilio, arciprete in collegiata, fu in rapporti con l’uditore del tribunale della Rota monsignor Giovanni Emerix, legato alla famiglia Ruspoli; Andrea ebbe a Civita, in affitto dai feudatari (i Cesarini), una campagna e una casa dove nacque Silvio. La madre era parente del compositore Pietro Antonio Cennami, autore tra il 1695 e il 1698 di quattro oratori, di cui tre latini cantati al Ss. Crocifisso di Roma.
Studiò a Roma dal 1674 al Collegio nazareno, dove con il nome di Animoso fece parte dell’Accademia degli Incolti (di cui fu principe nel 1678). Indirizzato contro voglia agli studi di diritto dallo zio Servilio, li lasciò per studiare matematica con Leonardo Gerardi, allievo di Vitale Giordano, dedicandosi poi alla poesia. Tramite il prozio materno Rocco Jacomini, gentiluomo di Lorenzo Onofrio Colonna, fin da fanciullo poté assistere agli spettacoli allestiti nel teatro del contestabile, e vi recitò «in una commedia tradotta dallo spagnuolo in italiano» dal contestabile medesimo (cfr. l’Elogio biografico che a Stampiglia dedicò Pier Caterino Zeno, nel Giornale de’ letterati d’Italia, 1733, vol. 38, n. 2, pp. 117-134, in partic. p. 119). «Di anni 17 cominciò a far sentire alcuni oratorj e serenate» (p. 118). Un suo sonetto encomiastico comparve nell’«opera tragicomica» Il Coraspe redivivo di Maria Antonia Scalera Stellini (Roma 1683): costei, al servizio dei Chigi di Ariccia, poté favorirne l’aggregazione all’Accademia degli Sfaccendati. Lavorò per il contestabile Colonna e per il principe Filippo, suo figlio, che aveva sposato la nobildonna spagnola Lorenza de la Cerda y Aragón; una sua serenata per il genetliaco della sposa doveva essere eseguita in palazzo Colonna nell’agosto del 1683, ma la notizia dell’assedio di Vienna fece annullare l’esecuzione. Quando nel luglio del 1687 il fratello di madama Lorenza, Luis de la Cerda y Aragón, marchese di Cogolludo, grande appassionato di teatro e di musica, arrivò in Roma come ambasciatore ordinario di Spagna, per Stampiglia si aprirono nuove possibilità.
Il primo lavoro importante fu l’oratorio Santo Stefano primo re dell’Ungheria (Roma, oratorio dei Filippini, 9 marzo 1687; musica di Flavio Lanciani), dedicato al principe Livio Odescalchi, nipote di Innocenzo XI: la celebrazione del sovrano che portò l’Ungheria nel mondo cattolico aveva evidenti risvolti politici, stante la guerra in corso. Il 1° agosto 1688 fu ascritto alla confraternita romana delle Stimmate di s. Francesco. Resta da accertare la tardiva notizia di un esordio teatrale a Milano: a detta del libretto dei Tre rivali al soglio (Bologna 1711), il giovane Stampiglia avrebbe ritoccato L’incoronazione di Dario di Adriano Morselli (Regio Ducal Teatro, agosto 1688; musica forse di Giacomo Antonio Perti); lo stesso dramma egli revisionò poi ex novo a Napoli nel 1705 (musica di Giuseppe Aldrovandini).
Fu membro dell’Accademia degli Infecondi, di cui facevano parte Giovan Mario Crescimbeni, Giambattista Felice Zappi, Vincenzo Leonio, Pompeo Figari e dal 1689 Gian Vincenzo Gravina. Con loro e altri otto letterati fondò l’Accademia d’Arcadia, partecipando alla prima adunanza del 5 ottobre 1690 nell’Orto dei francescani di S. Pietro in Montorio (cfr. il Discorso storico di Carlo De Sanctis premesso a Prose, e versi degli accademici Infecondi, I, Roma 1764, pp. XIII-LII, in partic. pp. XXXIII s.). In Arcadia ebbe il nome di Palemone Licurio; diede lettura solenne delle «Leggi» nell’adunanza generale del 20 maggio 1696, tenuta negli Orti farnesiani al Palatino.
Nel 1690 il cardinale Pietro Ottoboni, pronipote di Alessandro VIII, gli commissionò il testo della cantata da eseguire la notte di Natale in Vaticano o al Quirinale di fronte al papa e ai cardinali, La gioia nel seno d’Abramo, musica di Lanciani, ch’era allora virtuoso del cardinale (ci furono un paio di riprese in Roma, e a Firenze nel 1701). Nel 1692, per le nozze Este-Farnese, scrisse il fortunato oratorio Il martirio di s. Adriano (musica di Francesco Antonio Pistocchi): il libretto originale tacque il nome del poeta, che però comparve nell’edizione veneziana del 1699, la sua fama essendosi frattanto consolidata. Tra il 1692 e il 1696 Stampiglia rimaneggiò, con modifiche spesso assai incisive, una decina di drammi per musica veneziani di Nicolò Minato, Adriano Morselli, Giulio Cesare Corradi, Nicolò Beregan e Matteo Noris allestiti per Carnevale nel teatro di Tordinona, patrocinato allora dai suoi protettori, i Colonna e l’ambasciatore: risulta ch’egli «ebbe le mani in ogni opera» (P.C. Zeno, Elogio, cit., p. 120), sebbene il suo nome arcadico figuri soltanto in Xerse e in Tullo Ostilio (1694). Tra i compositori spiccò, con quattro opere, il modenese Giovanni Bononcini, dal 1691 al servizio di Lorenza de la Cerda Colonna (la partitura del Xerse fu poi sfruttata da Georg Friedrich Händel nel 1738); Il Giustino fu musicato da Luigi Mancia (1695), Penelope la casta da Perti (1696).
Negli stessi anni scrisse oratori e serenate, queste ultime per i compleanni e gli onomastici delle due «padrone» cognate, le spose del principe Filippo Colonna e dell’ambasciatore (María Téllez Girón y Sandoval): eseguite in palazzo Colonna o in palazzo di Spagna, con musica sempre di Bononcini (tranne una serenata di Severo De Luca), furono apprezzate per la squisitezza dei versi. Tra gli oratori, ottimo successo ebbe, con interpreti eccellenti, il San Nicola di Bari commissionato dall’ambasciatore (Roma, S. Giacomo degli Spagnoli, 8 marzo 1693; Bononcini): revisione di un oratorio «fatto da me molti anni sono», fu poi ripreso in diverse città. A Luis de la Cerda, dal 1691 duca di Medinaceli, sono legate le successive vicende del poeta: nominato viceré di Napoli da Carlo II (29 dicembre 1695), il nobile, arcade anch’egli, puntò a esaltare il rango teatrale e musicale di Partenope, a tal fine mettendo a frutto i talenti poetici del proprio compastore arcade. Non è però certo che questi si sia trasferito stabilmente a Napoli.
La prima delle cinque opere scritte per Medinaceli, tutte dedicate alla viceregina, fu Il trionfo di Camilla regina de’ Volsci (Napoli, teatro di S. Bartolomeo, 27 dicembre 1696), con musica di Bononcini cavata in buona parte dalla serenata colonnese Amor per amore (Roma, 10 agosto 1696). Il dramma, di soggetto virgiliano, ebbe vasta e durevole fortuna: ripreso in Italia per tutto il Settecento con successivi aggiornamenti, fu una delle primissime opere italiane date a Londra, in inglese ma con le arie originali (111 recite dal 1706 al 1728). A Napoli il poeta collaborò poi con Alessandro Scarlatti, maestro di cappella reale, per tre opere su soggetti tratti da Tito Livio (La caduta de’ Decemviri, 1697; L’Eraclea, 1700; Tito Sempronio Gracco, 1702), e con Mancia per La Partenope (da Giovanni Antonio Summonte; febbraio 1699), altro dramma fortunatissimo: ripreso per mezzo secolo in Italia e in Europa, fu forse la prima opera italiana data nelle Americhe (un libretto bilingue per una recita nel palazzo vicereale di Città del Messico fu stampato, senza data, da un editore locale attivo tra il 1714 e il 1732).
Nel 1697 Stampiglia aveva sposato Brigida Vivaldi, romana ma oriunda di Taggia in Liguria; da lei ebbe i figli Luigi Maria, nato il 25 novembre 1698 (il doppio nome era un omaggio ai padrini, Luis de la Cerda e sua moglie, per la quale la procura fu data alla sorella di Stampiglia, Agnese; Albano Laziale, Archivio storico diocesano, Archivio capitolare della Collegiata S. Maria Maggiore in Lanuvio, Battesimi, c. 25), Lavinia Maddalena (in omaggio alla terra natale; ebbe poi per madrina di cresima Ernestina von Dietrichstein-Nikolsburg, moglie in seconde nozze di Johann Wenzel von Gallas, futuro ambasciatore cesareo e poi viceré di Napoli) e Ferdinando Francesco (portato al battesimo da Ferdinando de’ Medici, principe ereditario di Toscana, ebbe per padrino di cresima Giuseppe Maria de’ Medici d’Ottaiano); a un altro figlio, nato il 6 gennaio 1700 e morto infante il 9 dicembre, fu dato il nome Leopoldo (come il padrino di battesimo don Leopoldo Sanseverino, per il quale la procura fu data al fratello di Stampiglia, Nunzio; Battesimi, c. 32v; Morti, c. 53).
Le prospettive di Stampiglia mutarono con lo scoppio della guerra di successione spagnola e con il richiamo del duca di Medinaceli a Madrid dopo la congiura di Macchia. Il poeta rimase per poco al servizio del nuovo viceré, il duca d’Escalona; di sicuro agì da intermediario tra il viceré e il cardinale Ottoboni quando, per la visita di Filippo V (primavera 1702), si trattò di convocare a Napoli Arcangelo Corelli. A Roma i teatri d’opera rimasero chiusi dal 1698 a tutto il 1709. Stampiglia puntò su Firenze: per il teatro del granprincipe Ferdinando nella villa di Pratolino scrisse due drammi musicati da Scarlatti, di nuovo cavati da Tito Livio, Turno Aricino (settembre 1704) e Lucio Manlio l’imperioso (settembre 1705). A Carnevale del 1705 andarono in scena a Napoli due drammi veneziani ritoccati da Stampiglia, Gli amanti generosi (musica di Francesco Mancini) e Il più fedel tra vassalli (Aldrovandini), e a novembre la già citata Incoronazione di Dario (Aldrovandini) rimessa a nuovo. Un suo sonetto allude a un soggiorno veneziano, che va collocato nel 1705-06 («Poi vidi io l’Arno e il pelago inquieto / della bell’Adria, e l’ampia sua laguna», Rime degli Arcadi, II, Roma 1716, p. 373).
Di sicuro era a Vienna alla fine del 1706, al servizio di Giuseppe I come poeta cesareo, subentrando a Donato Cupeda, morto nel dicembre del 1704. Riprese la collaborazione con Bononcini, ch’era stato chiamato alla corte imperiale dopo il decesso della contestabilessa Lorenza (21 agosto 1697). A Vienna produsse sia melodrammi sia componimenti «da camera», musicati dall’amico ma anche dal di lui fratello Antonio Maria e da altri musicisti al servizio dell’imperatore: Marc’Antonio Ziani, Johann Joseph Fux, Carlo Agostino Badia, Francesco Bartolomeo Conti, Attilio Ariosti. Perdurando la guerra, non mancò di celebrare i successi delle armi imperiali, ivi compresa la conquista del Regno di Napoli (Napoli ritornata a’ Romani, 1707; musica di Badia) o l’umiliazione della corte papale (Il Campidoglio ricuperato, 1709; Ziani). Con un componimento genetliaco per l’imperatrice Guglielmina Amalia, Il natale di Giunone festeggiato in Samo (Bononcini), fu formalmente inaugurato, il 21 aprile 1708, il teatro dell’opera di corte eretto da Francesco Galli Bibiena nel 1700. Svariate opere viennesi scritte con Bononcini vennero riprese a Napoli, nel teatro dei Fiorentini (l’Etearco del 1707 nel gennaio 1708) o al S. Bartolomeo (il Mario fuggitivo del 1708 nel dicembre 1710, l’Abdolomino del 1709 nell’ottobre 1711).
Questa fase si chiuse con il decesso improvviso dell’imperatore (17 aprile 1711) e l’incoronazione di Carlo VI (22 dicembre 1711). Il passaggio – lo suggerisce un sonetto con cui «l’autore implora la grazia dell’Aug. Imp. Carlo VI» (Rime degli Arcadi, cit., p. 376) – dovette causare non poche difficoltà al poeta: chiamato a Vienna da Giuseppe I con il magnifico stipendio di 4000 fiorini, non aveva invece avuto rapporti diretti con il di lui fratello e successore, che da pretendente al trono di Spagna aveva tenuto corte a Barcellona. Nel 1711 scrisse solo un libretto per un oratorio, dopo il quale s’incontra un solo altro lavoro per la corte, un componimento per l’arrivo dell’imperatrice da Barcellona a Milano (1713): fu l’ultima collaborazione con Bononcini, che lasciò Vienna per Roma alla fine del 1713. Carlo VI chiamò come poeta cesareo Apostolo Zeno. L’ampia Lettera diretta a Vienna d’Austria al sig. Silvio Stampiglia con cui da Napoli lo stampatore Michele Luigi Muzio lo ragguagliava circa le fastose celebrazioni dello sposalizio di Pascale Gaetano d’Aragona, figlio dell’arcade Aurora Sanseverino duchessa di Laurenzano (Piedimonte d’Alife, dicembre 1711), conferma il perdurante interesse per l’alta nobiltà napoletana.
Singolare il silenzio delle fonti su Stampiglia negli anni successivi, fino al ritorno a Roma nel 1718. Il legame con gli Asburgo non fu rescisso: a Roma lavorò per l’ambasciatore Gallas, indi per il cardinale Michele Federico d’Althann. Oltre a due cantate natalizie per il papa (1718, 1720), accudì a nuove versioni di vecchi drammi per i teatri Pace e Capranica e riprese stretti contatti con l’Arcadia, dove fu tra i «colleghi» del custode Crescimbeni, stilò la biografia di uno dei fondatori, Paolo Antonio del Nero (Notizie istoriche degli Arcadi morti, II, Roma 1720, pp. 66-68), raccolse i propri versi (nei volumi II, III e VII-IX delle Rime degli Arcadi, Roma 1716-1722, e nei cinque tomi manoscritti delle Poesie, 1718, di cui quattro sono a Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana; altre rime sono nei Giuochi olimpici di Crescimbeni, Roma 1721, e nelle Rime degli Arcadi sulla natività di Nostro Signore, Roma 1744).
Althann, divenuto plenipotenziario imperiale a Roma (luglio 1720), volle ogni anno festeggiare con una cantata l’onomastico dell’imperatrice; Stampiglia scrisse quelle del 1720 e 1721, musica di Pietro Paolo Bencini. Nel novembre del 1720 andò in scena al S. Bartolomeo il viennese Caio Gracco del 1710, musica di Leonardo Leo. Da Vienna al poeta fu richiesto ancora un oratorio, o forse due (1722-23).
Nel maggio del 1722 Althann fu nominato viceré di Napoli, dove giunse in giugno; Stampiglia era al suo seguito e fu segretario di Giuseppe Maria de’ Medici, principe d’Ottaiano. Subito scrisse un componimento encomiastico per il compleanno dell’imperatrice (prologo al Bajazete imperador de’ Turchi di Leo, palazzo reale, 28 agosto). Da Roma il nuovo plenipotenziario imperiale, cardinale Álvaro Cienfuegos, ottenne che il poeta scrivesse la cantata per l’onomastico dell’imperatrice, inviatagli ed eseguita in novembre (musica di Benedetto Micheli). Quantunque la sua salute fosse già in forte declino, nel dicembre del 1722 Stampiglia curò a Napoli una nuova versione della Partenope (musica di Domenico Sarro), con gli intermezzi comici Eurilla e Beltramme: anche in questa versione l’opera ebbe durevole successo. Con Nicola Porpora produsse una serenata epitalamica nobiliare, Imeneo (gennaio 1724; poi ritoccata dal figlio Luigi Maria nel 1732 con il titolo Giasone), e con Leonardo Vinci una nuova versione dell’Eraclea (autunno 1724). Altri drammi, adattati e arricchiti di nuova musica, vennero ripresi nella stagione 1724-25 (in dicembre Turno Aricino, musiche di Leo, Vinci e altri; in gennaio Tito Sempronio Gracco, Sarro).
Morì a Napoli il 27 gennaio 1725. Da tempo afflitto da una grave cirrosi epatica e da difficoltà respiratorie, nell’ottobre precedente per un brusco movimento nel salire su un calesse aveva subito un collasso, da cui non s’era ripreso. Durante la malattia gli era giunto un invito ufficiale come poeta di corte da Giovanni V del Portogallo. Il principe d’Ottaiano, che gli fece fare solenni esequie, assunse per segretario suo figlio Luigi Maria. Questi, Ilbaste in Arcadia, revisionò nel 1727 una serenata del padre risalente al 1711, Enea in Caonia (Johann Adolf Hasse), nonché alcuni drammi per musica dati al S. Bartolomeo tra il 1724 e il 1728.
Tra i maggiori librettisti del suo tempo, assurto come tale a fama europea, è stato a lungo considerato nella storiografia operistica uno dei ‘riformatori’ del dramma per musica sull’onda del razionalismo affermatosi tra gli ultimi anni del Sei e i primi decenni del Settecento, ruolo senza dubbio acconcio a uno dei fondatori dell’Arcadia. Contro questa collocazione tradizionale è stato però osservato che elementi comici seicenteschi persistono in molti suoi libretti, anche tardi: gli episodi e le battute salaci, non esenti da qualche scurrilità, possono addirittura essere pronunciati da un Caio Gracco o da altri eroi di nobile spirito. Apostolo Zeno, scrivendo da Vienna al fratello Pier Caterino (24 febbraio 1725) all’indomani della morte del predecessore, ebbe a dire: «Era più ingegnoso che dotto, e ne’ suoi drammi v’ha più di spirito che di studio» (Lettere, II, Venezia 1752, pp. 361 s.).
Il contributo dato da Stampiglia al modello settecentesco dell’opera italiana va ravvisato piuttosto nella semplificazione delle situazioni drammatiche (palese in rifacimenti come Il Xerse del 1694, ed. moderna in Libretti d’opera italiani dal Seicento al Novecento, a cura di G. Gronda - P. Fabbri, Milano 1997, pp. 210-284), nel graduale ma evidente passaggio dalle controscene comiche di tipo secentesco a veri e propri intermezzi distaccabili dal dramma, nella scorrevolezza dei versi, nonché nell’accentuazione di quei conflitti patetici di cui la protagonista del Trionfo di Camilla fornì un’eloquente epitome: «Nel teatro del petto / fanno tragica scena odio ed affetto: / l’un piange, l’altro freme, / e vendetta ambidue gridano insieme» (atto II, scena I).
Dal punto di vista dell’Arcadia, degne di elogio apparvero le serenate d’ambito pastorale, scritte con eleganza. In alcuni drammi colpirono vicende e momenti scenici d’intensa cupezza e di sensi afflitti e sconsolati, talché nel Bosco Parrasio gli fu dedicato un cipresso in ricordo della «feral malinconia [...] di sue tragiche scene» (cfr. Adunanza tenuta dagli Arcadi in onore de i fondatori, Roma 1753, p. 22). L’amore per la plaga natia si manifesta là dove, anziché ai più consueti eroi e tiranni dell’età imperiale, il drammaturgo – in perfetta coerenza con l’interesse della prima Arcadia per le scaturigini della civiltà latina – si volge alle mitiche origini del Lazio: protagonisti allora divengono Camilla e Turno. A Lanuvio gli è stata intestata la strada dove fu la casa natale.
Il fratello Nunzio Servilio, nato intorno al 1676, Ermauro Panormio in Arcadia, poeta anch’egli, scrisse serenate, cantate e oratori eseguiti a Vienna negli anni 1708-11; un suo Componimento per musica, commissionatogli da Scipione Santacroce, fu musicato da Costantino Petroni (Roma, piazza Branca, 28 giugno 1734). Morì il 29 agosto 1735 (Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Marco, Morti, stessa data).
Fonti e Bibl.: Per le fonti e la bibliografia si rimanda a: L. Lindgren, S., S., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXIV, London-New York 2001, pp. 272 s.; N. Dubowy, S., S., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XV, Kassel 2006, coll. 1314-1316 (con elenco delle opere); S. Franchi, S., S., in Dizionario storico biografico del Lazio, III, Roma 2009, pp. 1824-1831 (con elenco delle opere). Tra la bibliografia recenziore si vedano in particolare: Intorno a S. S.: librettisti, compositori e interpreti nell’età premetastasiana. Atti del Convegno, a cura di G. Pitarresi, Reggio Calabria 2010; H. van der Linden, A bio-bibliographical approach to the circulation of Italian oratorio around 1700: the case of Francesco Pistocchi and “Il martirio di san Adriano”, in Archiv für Musikwissenschaft, LXVIII (2011), pp. 29-60; J.M. Domínguez, Cinco óperas para el Príncipe. El ciclo de S. para el Teatro de San Bartolomeo en Nápoles, in Il Saggiatore musicale, XIX (2012), pp. 5-40; L. Bennett, The Italian cantata in Vienna. Entertainment in the age of absolutism, Bloomington (Ind.) 2013, ad ind.; J.M. Dominguez, Roma, Nápoles, Madrid. Mecenazgo musical del Duque de Medinaceli, 1687-1710, Kassel 2013, ad ind.; Id., Corelli, politics and music during the visit of Philip V to Naples in 1702, in Eighteenth-Century Music, X (2013), pp. 95 s., 103-105; P. Weiss, L’opera italiana nel ’700, Roma 2013, pp. 23-37; E. Biagioni, S. S. lirico: il manoscritto Ashburnham 729 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, in Studi italiani, LII (2014), 2, pp. 129-157; F. Lora, Nel teatro del Principe. I drammi per musica di Giacomo Antonio Perti per la villa medicea di Pratolino, Bologna 2016, ad ind.; I. Bonomi, “Xerse” da Venezia 1655 a Roma 1694: un esempio di riscrittura dal Barocco all’Arcadia, in Atti e memorie dell’Arcadia, VII (2018), in corso di stampa.
Saverio Franchi - Orietta Sartori