VALENTI GONZAGA, Silvio
– Nacque a Mantova il 1° marzo 1690, secondogenito del marchese Carlo, che fu ambasciatore ducale a Venezia, e di Barbara Andreasi.
Iniziò gli studi presso i gesuiti nel Collegio dei nobili di Parma e li proseguì a Ferrara conseguendo la laurea in utroque iure il 27 settembre 1710. Trasferitosi poi a Roma ebbe come guida Celestino Galiani, che gli trasmise l’interesse per le scienze naturali e la concezione dell’accordo fra i dogmi cattolici e la filosofia newtoniana, e lo inserì negli ambienti culturali romani, dove strinse relazioni durature come quella con Antonio Leprotti, futuro archiatra di Clemente XII e Benedetto XIV.
Fu nominato cameriere segreto da Clemente XI, che alla fine del 1719 lo incaricò di portare la berretta al cardinale Michele Federico d’Althan, a Vienna, dove si trattenne per alcuni mesi partecipando ai negoziati condotti dal cardinale Alessandro Albani per la restituzione di Comacchio, occupata fin dal 1708 dalle armate austriache. Al ritorno fu incaricato di una missione a Torino finalizzata a comporre le divergenze fra la corte sabauda e la S. Sede, sospesa per la morte del papa (19 marzo 1721).
Nel successivo pontificato di Innocenzo XIII non ottenne nuovi impieghi, ma nel giugno del 1724 Benedetto XIII, da poco eletto, lo nominò referendario della Segnatura di grazia e prelato domestico, nonché archimandrita del monastero basiliano di S. Salvatore in lingua phari, a Messina.
Durante il suo lungo soggiorno in Sicilia raggiunse un accordo con l’arcivescovo, ratificato da Clemente XII, in cui si riconosceva l’autonomia giurisdizionale del monastero, elevato da Urbano VIII al rango di abbazia nullius. Attraverso una transazione con i castelli soggetti risolse inoltre una controversia sulla riscossione dei frutti dei relativi territori. Presso l’archimandritato promosse una scuola di studi umanistici ed ebbe fra i suoi allievi Giovanni di Giovanni, Francesco Testa e Giovanni Tracuzzi. Alla morte di Benedetto XIII (21 febbraio 1730) tornò a Roma ma mantenne la commenda di S. Salvatore e si impegnò in favore della popolazione messinese in occasione della peste del 1743.
L’ascesa al pontificato di Lorenzo Corsini (12 luglio 1730) segnò una svolta decisiva nella sua carriera. Dopo essere divenuto consultore del S. Uffizio e aver ricevuto l’ordinazione al diaconato e al presbiterato, fu nominato nel giugno del 1731 nunzio a Bruxelles e arcivescovo titolare di Nicea. Fu consacrato a Roma il 22 luglio dal cardinale Juan Álvaro Cienfuegos.
La sua partenza fu ritardata dal contenzioso legato al rifiuto della corte arciducale di riconoscere le prerogative del tribunale della nunziatura. Giunto a Bruxelles l’11 gennaio, ottenne il placet solo alla fine di marzo, dopo un lungo negoziato e la rinuncia alla giurisdizione in materia contenziosa.
Sulla scorta della Vita redatta da Mario Guarnacci (1761) e ispirata dallo stesso Valenti Gonzaga, i biografi hanno indicato come successi della sua nunziatura il riconoscimento dei brevi facoltativi e la promulgazione, anche nei Paesi Bassi protestanti, del giubileo indetto da Clemente XII il 3 dicembre 1734 per implorare la pace in Europa. Ma più che con le politiche regaliste della corte asburgica, attenuatesi durante il governo dell’arciduchessa Maria Elisabetta, dovette confrontarsi con il problema della nomina del vicario generale della missione d’Olanda, ufficialmente vacante fin dal 1727, e con la significativa presenza giansenista che aveva dato vita alla Chiesa di Utrecht, giudicata scismatica dalla S. Sede.
Mentre il predecessore, Giuseppe Spinelli, si era molto impegnato per risolvere la prima questione, Valenti Gonzaga si dedicò soprattutto ai negoziati per il riavvicinamento della Chiesa ‘separata’. In una cifra del luglio 1733 al segretario di Stato annunciò l’avvio di una trattativa privata, che si arenò presto per il rifiuto degli utrettini di accettare la bolla Unigenitus, ma egli stesso si rammaricò anche dell’indisponibilità romana a qualsiasi concessione.
Nel gennaio del 1736 fu promosso alla nunziatura di Spagna, vacante in seguito alla morte di Vincenzo Alemanni Nasi.
La situazione diplomatica era particolarmente delicata: la S. Sede doveva fronteggiare la politica regalista promossa a Madrid da monsignor Gaspar de Molina y Oviedo, la questione del riconoscimento di Carlo di Borbone sul trono di Napoli e le sue prime misure in campo ecclesiastico, mentre gli stessi territori pontifici erano teatro della guerra di successione polacca. Alla rivolta scoppiata a Roma nel marzo del 1736 contro gli arruolatori al servizio dell’esercito spagnolo avevano fatto seguito da parte di Filippo V il richiamo del suo ambasciatore, il cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona, e la chiusura della nunziatura di Madrid. Valenti Gonzaga fu quindi respinto al confine spagnolo e dovette trattenersi a Bayonne, dove strinse relazioni con la vedova di Carlo II, Maria Anna di Neuburg. Entrò in Spagna solo alla fine del 1737, dopo la ratifica da parte di Clemente XII del concordato del 26 settembre. A lui furono indirizzati i successivi brevi che diedero applicazione agli accordi su temi delicati come la tassazione del clero, gli abusi a danno del fisco nella formazione dei patrimoni ecclesiastici, la facoltà dei vescovi di visitare i conventi e la limitazione del diritto d’asilo: Valenti Gonzaga ne ritardò la pubblicazione suscitando le lamentele di Molina e il concordato entrò parzialmente in vigore solo nel 1740. Esso non risolveva inoltre la questione del patronato universale, che il governo spagnolo continuava a pretendere e che ancora in una cifra del 18 settembre 1738 la segreteria di Stato indicava al nunzio come «il più grave affare che possa occorrere [...] nell’esercizio del suo ministero» (Pastor, 1962, p. 713).
La nunziatura a Madrid preludeva normalmente al cardinalato, che a Valenti Gonzaga fu conferito il 19 dicembre 1738 con il titolo di S. Prisca, insieme alla carica di legato a Bologna.
Nello stesso concistoro furono pubblicati i suoi colleghi presso le corti austriaca e francese, Domenico Passionei e Raniero d’Elci. Secondo un corrispondente dell’arcivescovo di Bologna Prospero Lambertini, il cardinale Neri Corsini avrebbe risposto al malcontento suscitato dalla nomina di Valenti Gonzaga attribuendola alle pressioni del re di Spagna «che s’ombreggiava d’esser stati fatti Cardinali li nunzj di Vienna, e di Parigi, e non già quello di Madrid, senza voler riflettere il poco tempo che si trovava in quella Nunziatura» (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. lat., 3052, lettera di Luigi M. Lucini, 20 ottobre).
Valenti Gonzaga rimase in qualità di pronunzio a Madrid, dove, secondo Claudio Todeschi (1776), Filippo V lo avrebbe voluto come primo ministro, e fece ritorno a Roma solo dopo la morte del papa (6 febbraio 1740). Entrato il 19 aprile nel conclave già iniziato appoggiò la candidatura filospagnola del cardinale Pompeo Aldrovandi, ma contribuì poi a far confluire i voti della fazione clementina su Lambertini il quale, adempiendo la promessa fatta a Corsini, una volta eletto lo nominò segretario di Stato.
Lambertini non aveva confidenza con Valenti Gonzaga, e secondo alcune testimonianze non lo stimava. Alla scelta, che secondo il diarista Giuseppe Merenda fu sostenuta anche da Acquaviva e dai porporati francesi e tedeschi, contribuì certamente la necessità da parte del pontefice, privo di esperienza diplomatica, di avvalersi della sua competenza e delle sue relazioni con la Spagna e con Napoli, dove Celestino Galiani era divenuto cappellano maggiore di Carlo di Borbone. Nondimeno l’intesa fra i due, celebrata nel duplice ritratto realizzato nel 1750 da Giovanni Paolo Pannini (ora al Museo di Roma), si sviluppò molto presto, al punto da rendere difficile distinguere gli apporti specifici offerti alla politica di Benedetto XIV dal suo segretario di Stato, di cui già nel 1745 l’uditore di Rota francese Beaufort de Canillac enfatizzò l’influenza definendolo «maître de l’esprit et de la confiance de Sa Sainteté» (de Brimont, 1913, p. 38). Anche la sua figura è dunque interessata dalla revisione del giudizio storiografico sul pontificato di Benedetto XIV avviata dagli studi di Mario Rosa, che rispetto a una lettura idealizzante tesa a enfatizzarne gli aspetti di modernità, fino a fare di Lambertini il papa dei Lumi, ha condotto a elaborare un giudizio più equilibrato, al cui interno gli elementi di innovazione, visibili soprattutto sul piano della politica culturale, appaiono in continuità con la tradizione postridentina e finalizzati alla difesa della centralità di Roma, in risposta alla crisi che il papato attraversava sul piano politico ed economico.
Nella crisi degli equilibri europei seguita alla morte, nel 1740, dell’imperatore Carlo VI, Valenti Gonzaga sostenne una linea di prudente attendismo, non accolta dal papa che riconobbe immediatamente la successione della figlia Maria Teresa nei domini ereditari della casa d’Austria, per poi però approvare, nel febbraio del 1742, l’elezione imperiale del suo rivale Carlo Alberto di Baviera. Malvisto dall’ambasciatore cesareo a Roma, Joseph Maria von Thun, che lo accusava di simpatie filospagnole e gli attribuì la responsabilità del voltafaccia, Valenti Gonzaga subì nel 1742 il sequestro di tutte le rendite provenienti dalla Lombardia. La misura si protrasse oltre la morte di Carlo VII (gennaio 1745), nonostante la sanzione pontificia della successione imperiale del marito di Maria Teresa, Francesco Stefano di Lorena, e insieme alle pressioni degli Asburgo per la nomina cardinalizia dell’elettore di Magonza Johann Friedrich Karl von Ostein contribuì a mantenere tesi i rapporti fra Roma e Vienna. Nella scia della successiva normalizzazione si collocò nel 1751 l’impegno del segretario di Stato per sopprimere il patriarcato di Aquileia accogliendo la richiesta austriaca di separarne i territori soggetti all’Impero, che formarono la nuova diocesi di Gorizia.
Accanto alla ricerca di una difficile neutralità fra le potenze europee, lo strumento privilegiato della politica estera condotta da Benedetto XIV per evitare l’isolamento diplomatico fu un «rinnovato ed efficace sistema concordatario» (Rosa, 2000, p. 448), teso a privilegiare le istanze religiose rispetto a quelle politico-ecclesiastiche, che Valenti Gonzaga contribuì a delineare e che trovò la sua prima applicazione nelle due convenzioni da lui sottoscritte il 5 gennaio 1741, insieme al cardinale Albani e al plenipotenziario sardo Giovan Battista Balbis de Rivera, in merito ai feudi pontifici in Piemonte e alla collazione dei benefici. Contemporaneamente il segretario di Stato era impegnato nelle trattative con la corte napoletana che approdarono al concordato del 2 giugno, con cui la S. Sede riconobbe le rivendicazioni di Carlo di Borbone in materia di immunità e l’exequatur regio per i provvedimenti papali. I negoziati riguardarono anche il Portogallo, con cui fu siglata una convenzione nell’agosto del 1745, e la Spagna.
Nell’ambito dell’attenzione mostrata da Benedetto XIV per le istanze di riforma delle pratiche religiose in direzione di una devozione ‘regolata’, Valenti Gonzaga, membro della congregazione dell’Indice dal 1740 e del S. Uffizio dal 1743, presiedette nel 1741 la commissione per la riforma del breviario, cui partecipò anche Ludovico Antonio Muratori. I suoi rapporti con quest’ultimo, mediati da Fortunato Tamburini, dopo l’entusiastica accoglienza del Cristianesimo felice si andarono tuttavia raffreddando, il che non gli impedì di adoperarsi, nel 1748, per sottrarlo al rischio di un processo inquisitoriale.
Neanche le sue relazioni con gli esponenti del movimento giansenista, di cui i Corsini erano i protettori a Roma, furono univoche. Abbonato alle Novelle letterarie di Giovanni Lami, fu legato a Passionei e vicino a Giovanni Gaetano Bottari, che gli dedicò la sua Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura (Roma 1754), ma si oppose nel 1758 ai rinnovati tentativi del padre Norbert Parisot di far riconoscere la Chiesa di Utrecht: incaricò in quell’occasione Antonio Niccolini di riprendere le trattative secondo le direttive romane di concerto con il nunzio a Bruxelles Ignazio Crivelli, ma non condivise le concessioni contenute nel progetto dell’abate fiorentino che fu infine bocciato da una congregazione cardinalizia.
Meno evidente, e ancora in buona parte da ricostruire, è il contributo di Valenti Gonzaga alla politica interna dello Stato pontificio, e in particolare ai tentativi di risanare la gravissima crisi economica e finanziaria. Nel 1743 partecipò alla congregazione per la riforma della Depositeria della Camera apostolica e nel 1746 a quella sugli abusi finanziari, mentre resta da analizzare il suo ruolo nei provvedimenti volti a «intaccare la rete dei pedaggi, dei monopoli e dei privilegi locali o professionali» e a favorire «lo sviluppo dei traffici di Ancona e Civitavecchia» (Rosa, 2000, p. 452), attribuiti da Todeschi alla sua iniziativa.
Il campo in cui il suo intervento personale è meglio riconoscibile – e più studiato – fu quello della politica culturale e artistica, sviluppatasi pienamente dopo il 1748, nel clima di pace europea seguito al trattato di Aquisgrana, ma inaugurata già nel 1740 con la creazione delle quattro Accademie, dei concili, di storia ecclesiastica, di liturgia e di storia romana, volute da Benedetto XIV e istituite da un provvedimento del segretario di Stato. Come ha sottolineato Maria Pia Donato (2005), egli contribuì in maniera fondamentale a «rilanciare l’idea di centralità di Roma che animò il pontificato lambertiniano» e, pur senza essere «un uomo di governo illuminista», vi infuse «una relativamente più aggiornata cultura scientifica» (p. 82).
L’influenza dei suoi interessi e delle sue relazioni scientifiche è evidente, alla fine del 1742, nella decisione innovativa di affidare le valutazioni statiche per il restauro della cupola di S. Pietro a un ingegnere come Giovanni Poleni e a scienziati di formazione fisico-matematica e impostazione newtoniana come il gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich e i padri minimi Thomas Le Seur e François Jacquier.
Al 1742 risale anche la fondazione del Giornale de’ letterati, la cui rilevanza nell’ambito della politica culturale lambertiniana è stata sottolineata insieme al «ruolo decisivo» di Valenti Gonzaga nell’ispirarne e avallarne il progetto d’intesa con Corsini e Passionei (ibid., p. 83). Edito dal tipografo Pagliarini e redatto inizialmente da Ridolfino Venuti, il giornale, che riprendeva il titolo da un foglio romano di fine Seicento, forniva recensioni e notizie letterarie e accademiche. L’attenzione verso la cultura europea, testimoniata dal sottotitolo di Novelle letterarie ultramontane, si accentuò dal 1745 in concomitanza con un riorientamento dei suoi indirizzi che aumentò la presenza del segretario di Stato, cui furono dedicati i volumi della nuova serie, e di personaggi a lui legati come il suo bibliotecario Michelangelo Giacomelli, Leprotti e Boscovich.
Fra il febbraio e il marzo del 1747 Valenti Gonzaga aggiunse alle sue cariche quelle di cardinale Camerlengo e di prefetto della congregazione di Propaganda Fide, mentre il 15 maggio mutò il titolo cardinalizio in quello di S. Callisto. La prima nomina seguiva alle dimissioni rassegnate dal cardinale Albani per protesta contro i provvedimenti che riducevano le prerogative del Camerlengo quale cancelliere della Sapienza. All’avvicendamento seguì la riforma generale dell’Università romana disposta dal chirografo pontificio del 14 ottobre 1748, che segnava fra l’altro un ridimensionamento della facoltà giuridica a favore degli insegnamenti scientifici.
Già nel 1746 Valenti Gonzaga era intervenuto in questa direzione facendo istituire ex novo le cattedre di matematica sublime, di chimica e di fisica sperimentale, assegnate rispettivamente a Le Seur, a Luigi Giraldi e a Jacquier, e dotando le ultime due di gabinetti e di apparecchiature per la didattica sperimentale. Nel marzo dello stesso anno favorì la missione, suggerita da Leprotti, del chirurgo Carlo Guattani a Parigi e in Olanda con lo scopo di specializzarsi nelle tecniche chirurgiche più innovative, e ne seguì i progressi commissionandogli l’acquisto di strumenti da riportare a Roma. Suggerì poi altre nomine come quelle di Antonio Francesco Vezzosi e di Benedetto Stay (1747), che spinse più tardi a una riscrittura in senso newtoniano della sua trasposizione poetica della filosofia moderna (Philosophiae recentioris [...] versibus traditae libri), il cui primo volume (Romae 1755) fu aperto da un lungo elogio dello stesso cardinale.
A Boscovich e a un suo confratello, Christopher Maire, affidò la spedizione cartografica che fra il 1750 e il 1752 condusse una serie di rilevazioni descritte nel De litteraria expeditione per pontificiam Ditionem ad dimetiendos meridiani gradus et corrigendam mappam geographicam (Romae 1755), anch’esso dedicato al segretario di Stato, e trasposte nei tre fogli della Nuova carta geografica dello Stato Ecclesiastico. Scopo della spedizione era anche la misurazione dell’arco di meridiano da Roma a Rimini, che confermò la tesi newtoniana della non sfericità della Terra.
Al centro dell’attività di Valenti Gonzaga, dalla fine degli anni Quaranta, figurano inoltre le competenze in materia artistica connesse alla carica di Camerlengo. Contribuì alla fondazione della Pinacoteca capitolina, in cui confluirono fra il 1748 e il 1750 le collezioni Sacchetti e Pio di Savoia acquistate dal pontefice anche su suo impulso. Promosse inoltre la riapertura della scuola di disegno dell’Accademia di S. Luca, che già nel 1742 l’aveva cooptato come accademico d’onore; insieme al principe di essa, Francesco Mancini, e all’uditore del camerlengato Giovanni M. Riminaldi propose l’istituzione dell’Accademia del Nudo in Campidoglio (1754), frequentata in seguito anche da Anton Raphael Mengs e Antonio Canova.
A fianco dei numerosi restauri di chiese da lui incentivati e a un provvedimento del 1748 sulla conservazione degli archivi, il suo apporto più noto alla difesa del patrimonio culturale e artistico fu la Proibizione della estrazione delle statue di marmo, o metallo, pitture, antichità e simili, emanata il 5 gennaio 1750.
L’editto rafforzava le funzioni del commissario delle Antichità e si distingueva dalla normativa precedente per l’estensione della tutela alla pittura moderna, che veniva compresa nel generale divieto di esportazione delle opere di valore superiore ai 100 scudi, e per la destinazione pubblica dei beni confiscati, di cui era prevista la consegna ai Musei del Campidoglio. Il sistema delle licenze previsto dall’editto lasciava tuttavia spazio al mercato clandestino e ai conflitti di interesse.
Oltre che all’intento di valorizzare il prestigio di Roma e della Chiesa, l’attenzione di Valenti Gonzaga per i beni artistici rispondeva anche a un gusto personale e a un’attività collezionistica coltivati già al tempo delle nunziature, che gli avevano offerto la possibilità di ammirare le grandi collezioni europee. La sua ‘villa di delizie’ a Porta Pia (oggi villa Bonaparte), costituita per ampliamenti successivi a partire dall’acquisto, nel 1743, della vigna Cicciaporci, accanto alla quale fece edificare una nuova palazzina decorata in stile cinese, oltre a contenere un giardino di piante, un’importante raccolta di strumenti scientifici e una biblioteca che alla sua morte contava oltre 40.000 opuscoli, in buona parte giuridici, raccolti in 1473 volumi, ospitava la collezione di disegni e stampe e la pinacoteca, ricca di oltre 800 opere di maestri del Rinascimento italiano (Tiziano, Veronese, Tintoretto, Raffaello, Annibale Carracci, Andrea Mantegna) ma anche delle scuole fiamminga (Rembrandt, Antoon van Dyck, Gaspar van Wittel), spagnola (Diego Velázquez) e francese (Nicolas Poussin, Claude Lorrain).
A essa si ispirò il dipinto del 1749 La quadreria del cardinale Valenti Gonzaga (Wadsworth Atheneum, Hartford), in cui Pannini ritrasse il cardinale fra i quadri e le stampe della sua collezione, circondato dagli intellettuali del suo cenacolo, fra cui si riconoscono Jacquier, Le Seur, Boscovich e il fisico inglese John Wood, addetto alle macchine scientifiche della collezione stessa. La villa divenne nel tempo sede di una sociabilità artistica, scientifica e culturale testimoniata dal poemetto di Saverio Bettinelli Sopra alcune rarità di Roma e spezialmente della magnifica villa dell’Eminentissimo Cardinale Silvio Valenti, pubblicato nel 1758, mentre Marco Fantuzzi nelle sue memorie stigmatizzò il lusso dei ricevimenti offerti da quello che definì «il primo Segretario di Stato, che facesse frequente Tavola» (Dal Pane, 1958, p. 33).
Nel dicembre del 1751 Valenti Gonzaga, da anni sofferente di gotta, fu vittima di un primo colpo apoplettico. La malattia lo tenne a letto per alcuni mesi e rallentò la conclusione del concordato spagnolo, che egli sottoscrisse l’11 gennaio 1753 insieme a Manuel Ventura Figueroa.
Ferdinando VI ottenne il riconoscimento del patronato universale sui benefici ecclesiastici esistenti nel suo dominio in cambio di un versamento di oltre 1.153.000 scudi come corrispettivo per le entrate soppresse. L’accordo, che fu attribuito ai «principj economici di Valenti» (ibid., p. 59), veniva incontro alle difficoltà finanziarie dello Stato pontificio, ma colpiva al tempo stesso gli interessi dei ministri della Dataria e dei settori della popolazione romana impiegati in attività connesse al commercio delle prebende spagnole. Valenti Gonzaga fu accusato di averne tratto un profitto personale, e in effetti nel corso delle trattative aveva ricevuto dal re di Spagna due donativi di 45.000 e 50.000 scudi. Il trattato rientrava d’altra parte nella politica di accomodamento adottata da Benedetto XIV, il quale rivendicò di aver «procurato di salvare il salvabile, per non perder tutto» (Le lettere di Benedetto XIV..., 1984, p. 25).
Nell’aprile del 1753 Valenti Gonzaga fu investito della diocesi di Sabina e il 26 luglio celebrò a Napoli le esequie di Galiani. Già ascritto alla colonia mantovana dell’Arcadia con il nome di Fidalbo Tomeio, nell’aprile del 1754 accettò la carica di protettore di quella di Ferrara. Nel maggio dello stesso anno fu colpito da un nuovo ictus, seguito a dicembre da un terzo, più grave, che lo lasciò paralizzato in metà del corpo costringendo il pontefice, che non volle sostituirlo, a occuparsi personalmente degli affari ordinari della segreteria di Stato riservandosi «il di lui consiglio nelle cose più gravi», come scrisse al cardinale de Tencin l’8 gennaio 1755 (ibid., p. 202).
Morì il 28 agosto 1756 a Viterbo, dove si era recato contro il parere dei medici per effettuare delle cure termali. Sepolto in quella cattedrale, il cadavere fu poi trasportato a Roma nella chiesa di S. Bonaventura.
Il suo patrimonio era stato assorbito dalle spese per la villa e la quadreria, che furono vendute dai nipoti, il marchese Carlo e il futuro cardinale Luigi, mentre la biblioteca confluì in quella del secondo, che la lasciò ai padri gesuiti, e si conserva ora alla Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II di Roma.
Fonti e Bibl.: La corrispondenza spedita da Valenti Gonzaga come nunzio è nell’Archivio apostolico Vaticano, Segr. Stato, Fiandre, bb. 127B-132, e Spagna, bb. 241-244. I documenti dell’Archivio della Nunziatura a Madrid sono descritti da J.M. Marqués, Indices del archivo de la Nunciatura de Madrid, I, Roma 1975. Per le fonti del suo segretariato di Stato cfr. J. Gelmi, La Segreteria di Stato sotto Benedetto XIV (1740-1758), Trento 1975, pp. 16-22. In Archivio apostolico Vaticano, Spogli Curia, V.G., b. 1, si conservano un fascicolo di lettere dalla Francia e la corrispondenza edita da S. Pagano, La missione medica parigina dell’archiatra pontificio Carlo Guattani (1746-1747). Epistolario con il cardinale S. V. G., in Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, VI, Città del Vaticano 2012, pp. 203-275. Per i testi dei concordati cfr., Raccolta di concordati su materie ecclesiastiche tra la Santa Sede e le autorità civili, a cura di A. Mercati, Roma 1919, pp. 321-327, 330-381, 410-440; quello dell’editto del 1750 è in A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi stati italiani. 1571-1860, Bologna 1996, pp. 76-84. Sulla biblioteca cfr. A. Spotti, Guida ai fondi manoscritti della Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II di Roma, in I fondi, le procedure, le storie: raccolta di studi della Biblioteca, Roma 1993, pp. 8 s.; Roma, Biblioteca Angelica, Ms. 1613: G.F. Merenda, Memorie del Pontificato di PP. Benedetto XIV; A sua eminenza il signor cardinal S. V. [...] acclamato protettore dell’Accademia degl’Intrepidi, [Ferrara 1754]; M. Guarnacci, Vitae, et res gestae pontificum romanorum et S.R.E. cardinalium a Clemente X usque ad Clementem XII, II, Romae 1751, coll. 737-742; C. Todeschi, Elogio del cardinale S. V.G., Romae 1776; Le lettere di Benedetto XIV al card. de Tencin, a cura di E. Morelli, I-III, Roma 1955-1984, ad ind.; L. 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Testa, Relazione istorica della peste, che attaccossi a Messina nell’anno mille settecento quarantatre, Palermo 1745, p. 82; D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, I, Palermo 1824, pp. 197, 281, 258; E. Portillo, Estudios criticos de historia ecclesiástica española durante la primera mitad del siglo XVIII. Nuestros concordatos, in Razón y Fe, 1907, vol. 17, pp. 324-340, vol. 18, pp. 311-324, vol. 19, pp. 293-302, 1908, vol. 20, pp. 197, 201; L. Karttunen, Les nonciatures apostoliques permanentes de 1650 à 1800, Genève 1912, coll. 128-131, p. 267; L. Jadin, Le Cardinal Thomas-Philippe d’Alsace, archevêque de Malines et le Saint-Siège, Bruxelles-Rome 1953, ad ind.; Id., Relations des Pays-Bas, de Liège et de Franche-Comté avec le Saint-Siège, Bruxelles-Rome 1962, ad ind.; L. von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio evo, XV, Roma 1962, ad ind.; R. Boudens, Aspects de la vie ecclésiastique dans les Provinces-Unies des Pays-Bas au 18e siècle, in Sacrae congregationis de Propaganda Fide memoria rerum. 1622-1972, a cura di J. Metzler, II, Rom-Freiburg-Wien 1973, pp. 635-639; B. Wauters, De controverse rond de jurisdictie van de nuntius. Het placet op de geloofsbrieven van Spinelli, V. G., Tempi en Crivelli, 1725-1749, Leuven 2001, passim. Sui rapporti con Benedetto XIV e sull’azione in campo politico e religioso: F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplomatique des conclaves, IV, Paris 1866, pp. 131 s.; Th. de Brimont, Le cardinal de Rochefoucauld et l’embassade de Rome de 1743 à 1748, Paris 1913, ad ind.; C. Armani, Benedetto XIV Prospero Lambertini e gli Asburgo-Lorena alla conquista dell’Impero e del papato (1740-1758), Verona 1923, passim; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Città del Vaticano 1945, ad ind.; L. von Pastor, Storia dei papi, cit., XVI, 1, Roma 1965, passim; M. Rosa, Riformatori e ribelli nel ’700 religioso italiano, Bari 1969, ad ind.; A. Maranini, Di un viaggio; di Benedetto XIV; del cardinale V. G. (e di una epigrafre segata), in Benedetto XIV (Prospero Lambertini), II, Cento 1982, pp. 1209-1223; J. Metzler, Die kongregation im zeitalter der Aufklärung, in Sacrae congregationis de Propaganda Fide memoria rerum, cit., pp. 27 s., 37; M. Rosa, La contrastata ragione. Riforme e religione nell’Italia del Settecento, Roma 2009, pp. 36-39; G. Greco, Benedetto XIV, Roma 2011, ad indicem. Sulla politica e gli interessi culturali e artistici: S. Cormio, Il cardinale S. V. G. promotore e protettore delle scienze e delle belle arti, in Bollettino d’arte, 1986, n. 35-36, pp. 49-66; L. Barroero, I primi anni della scuola del Nudo in Campidoglio, in Benedetto XIV e le arti del disegno, a cura di D. Biagi Maino, Roma 1998, pp. 366 s., 371; E. Borsellino, La politica della tutela e del restauro al tempo di Benedetto XIV, ibid., pp. 277-301; M.P. Donato, Accademie romane. Una storia sociale (1671-1824), Napoli 2000, pp. 49, 86, 89, 105, 160; M.S. Pedley, Scienza e cartografia. Roma nell’Europa dei Lumi, in Nolli Vasi Piranesi. Immagine di Roma antica e moderna, a cura di M. Bevilacqua, Roma 2004, pp. 42-47; M.P. Donato, Profilo intellettuale di S. V. G. nella Roma di Benedetto XIV, in Ritratto di una collezione, cit., pp. 81-89; F. Favino, Università e scienza. La «grande riforma» della Sapienza di Benedetto XIV, in Rome et la science moderne entre Renaissance et Lumières, a cura di A. Romano, Roma 2008, pp. 505 s., 511, 515 s.; Villa Bonaparte, Paris 2011, pp. 25-47; T. Manfredi, Academic practice and Roman architecture during the reign of Benedict XIV, in Benedict XIV and the Enlightenment, a cura di R. Messbarger - Ch.M.S. Johns - Ph. Gavitt, Toronto 2016, pp. 443, 446, 454, 457, 463; C. Paul, Benedict XIV’s enlightened patronage of the Capitoline Museum, ibid., pp. 351-353, 355 s., 361 s.; S. Guarino, Galleria de’ Quadri e scuola del Nudo sul Campidoglio romano all’epoca di Winckelmann, in Il tesoro di antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento, a cura di E. Presicce Dodero - C. Parisi Presicce, Roma 2017, pp. 119-126; F. Papi, La tutela dei beni artistici a Roma al tempo di Winckelmann, ibid., pp. 214-217; Ead., Tra lettere e licenze: luci e ombre su Winkelmann commissario delle Antichità (1763-1768), in Johann Joachim Winkelmann (1717-1768) nel duplice anniversario, a cura di E. Debenedetti, Roma 2018, pp. 53, 56, 59, 61. Si vedano inoltre le voci dedicate a Valenti Gonzaga nei seguenti repertori: G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXXVII, Venezia 1858, pp. 246-249; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VI, Padova 1958; Diccionario de historia ecclesiastica de España, I, Madrid 1972, pp. 579-581; A.M. Giorgetti Vichi, Gli arcadi dal 1690 al 1800, Roma 1977; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma 1994, pp. 159, 962; Id., Genealogie zur Papstgeschichte, II, Stuttgart 1999, p. 955; Id., Die päpstlichen Referendare. 1566-1809, III, Stuttgart 2004, p. 958; Prosopographie von römischer Inquisition und Indexkongregation. 1701-1814, a cura di H. Wolf, Paderborn 2010, pp. 1280-1287; P. Esposito, Segretari di Stato, Roma 2018, pp. 195-203.