VARDABASSO, Silvio
– Nacque a Buie d’Istria (all’epoca appartenente all’Impero asburgico, oggi in territorio croato) il 19 aprile 1891, da Luigi e da Angela Godas, in ambiente familiare istriano con profondi sentimenti di italianità.
Compiuti gli studi giovanili a Capodistria, frequentò la facoltà di scienze e chimica dell’Università di Vienna; si trasferì poi a quella di Padova dove, seguendo la precoce inclinazione agli studi geologici, si iscrisse a scienze naturali e conseguì la laurea nel 1919 sotto la guida di Giorgio Dal Piaz. Presso l’Istituto geologico patavino, Vardabasso iniziò la sua carriera accademica, dapprima nel 1920 come assistente alla cattedra di geologia e poi nel 1925 quale incaricato dell’insegnamento di mineralogia e geologia presso la Regia Scuola di ingegneria. In tale periodo fu impegnato in rilevamenti geologici nelle Alpi Tridentine e nelle Dolomiti, nell’ambito del progetto coordinato da Dal Piaz per la Carta geologica delle Tre Venezie, edita dall’Ufficio idrografico del magistrato alle Acque di Venezia, comprendente tutto il territorio dell’Italia nordorientale inclusi i settori alpini; Vardabasso fu coautore di diversi fogli della suddetta Carta e delle corrispondenti Note illustrative (Bressanone, 1925; Merano, 1926; Passo di Resia, 1927; Trento, 1929; M. Marmolada, 1930).
I suoi primi lavori, risalenti agli anni Venti, vertono su geologia e georisorse dell’area istriana, delle Prealpi venete e delle Dolomiti; svolse in particolare approfonditi studi sul distretto magmatico di Predazzo e dei Monti Monzoni, tema su cui continuò a lavorare e pubblicare per oltre un quarto di secolo, dagli articoli iniziali (Il problema geologico di Predazzo in un secolo di ricerche, in Atti dell’Accademia veneto-trentino-istriana, XII-XIII (1922), pp. 1-61; Nuovi rinvenimenti di materiali piroclastici nei dintorni di Moena e loro importanza per la interpretazione tettonica della regione, in Atti del Regio Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXXXIII (1924), pp. 849-859) sino alla sintesi Sguardo sulla geologia di Predazzo (in Memorie dell’Istituto geologico della Regia Università di Padova, XVI -1949-1950, pp. 1-22).
Conseguita la libera docenza in geologia nel 1928, fu chiamato nel 1931 a ricoprire l’omologa cattedra presso l’Università di Cagliari. Nel frattempo aveva sposato Maria Irma Marghetich, istriana di Pisino, da cui ebbe le tre figlie Silvana, Marina e Giuliana, nate a Padova rispettivamente nel 1922, 1926 e 1928.
In Sardegna, Vardabasso avviò una nuova fase di studi di geologia regionale, dando grande impulso alle ricerche nell’isola che all’epoca costituiva ancora una nuova frontiera per la geologia moderna. Esplorò estesamente il territorio sardo, acquisendo la mole di dati che gli consentirono in seguito di redigere le sintesi sul Cambriano, sul basamento ercinico, sul Mesozoico e sul Quaternario citate più avanti. Parallelamente egli profuse grande impegno nella riorganizzazione dell’istituto universitario e delle collezioni geopaleontologiche, sulla scia degli illustri predecessori Patrizio Gennari, Domenico Lovisato (altro istriano in terra sarda), Michele Gortani, Giuseppe Checchia Rispoli e Giuseppe Stefanini.
Durante il secondo conflitto mondiale, il bombardamento del 1943 devastò l’Istituto geologico cagliaritano e il Museo geominerario, e buona parte dei preziosi reperti e dei materiali documentali andò perduto; tra questi anche molti dati acquisiti nella decade di rilevamenti compiuti da Vardabasso nelle Dolomiti, sul centro eruttivo di Predazzo in particolare, di cui solo una parte confluì nelle pubblicazioni edite. Nel trentennio presso l’ateneo cagliaritano, Vardabasso fu anche preside della facoltà di scienze e tenne la cattedra di geologia fino al 1961, anno del suo collocamento fuori ruolo; gli succedette come titolare il suo allievo Carmelino Maxia, rientrato in Sardegna da Roma, dove per oltre vent’anni aveva retto l’Istituto di geologia e paleontologia della Sapienza.
Vardabasso trovò in Sardegna, dove visse dal 1931 in poi, la sua seconda patria, trascorrendovi praticamente tutta la sua lunga carriera. Dall’isola egli, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si adoperò con grande impegno per aiutare i conterranei giuliano-dalmati, costretti all’esodo dalle persecuzioni messe in atto dalle forze di occupazione iugoslave. Nella questione Vardabasso fu coinvolto in primo luogo quale eminente esperto: il presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi lo chiamò infatti a far parte della commissione italiana delegata alla conferenza della Pace di Parigi del 1946, nell’ambito della quale portò, da profondo conoscitore della regione, un contributo anche di tipo cartografico per la definizione del confine nazionale; sul tema scrisse il capitolo La questione del confine italo-jugoslavo dal punto di vista fisico (in La Venezia Giulia terra d’Italia, Venezia 1946, pp. 1-24).
Il nuovo confine orientale italiano fu invece stabilito, come è noto, senza tenere conto degli aspetti orografici; con il Trattato postbellico di Parigi del 1947, gran parte dell’Istria (inclusa Buie, città nativa di Vardabasso) fu ricompresa nella zona B del Territorio libero di Trieste, da quel momento in poi controllata dalla Iugoslavia che la annetté poi definitivamente nel 1975. La vicenda dell’esodo della popolazione italiana giuliano-dalmata lo coinvolse, oltre che professionalmente, anche dal punto di vista emotivo e personale; partecipò infatti in modo rilevante ad assistere e sistemare in Sardegna i profughi, in particolare nel centro di accoglienza di Fertilia presso Alghero.
La poliedrica produzione scientifica di Vardabasso consta di oltre centoventi pubblicazioni, che spaziano su vari temi specialistici (geologia stratigrafica e regionale, tettonica, magmatismo e metamorfismo, geomorfologia, carsismo e idrogeologia, geologia applicata e risorse minerarie), prevalentemente riguardanti le Alpi orientali (Giulie, Venete, Tridentine e Altoatesine) e la Sardegna, ma anche in subordine la penisola balcanica, la Calabria e l’Africa settentrionale.
Menzione particolare per l’attività di cartografia geologica: nella prima parte della carriera, oltre ai già citati fogli del Triveneto cui collaborò, produsse la Carta geologica di Predazzo e Monzoni con relativi profili, in scala 1:25.000 (Padova 1931). Fu in seguito autore di diverse carte geologiche regionali del blocco sardo-corso (Carta della permeabilità dei terreni della Sardegna, scala 1:500.000, in Le sorgenti italiane, a cura del ministero dei Lavori pubblici, Servizio idrografico, pubblicazione n. 14, IV, Roma 1934; Carta geologica del massiccio sardo-corso, scala 1:1.000.000, in Atti del XII Congresso geografico italiano... 1934, Cagliari 1935; Carta geologica della Sardegna, scala 1:750.000, Roma 1949) e diresse, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i rilevamenti dei fogli 216 San Marco e 217 Oristano della Carta geologica d’Italia alla scala 1:100.000, pubblicati solo qualche decade dopo (1989).
Sulla geologia regionale della Sardegna produsse, tra il 1933 e il 1966, oltre settanta lavori, affrontando in modo approfondito la stratigrafia dal Paleozoico al Quaternario, la tettonica e le fasi orogenetiche sarde, il vulcanismo, l’evoluzione geomorfologica, le risorse minerarie. In particolare si citano: Origine ed evoluzione del rilievo del Massiccio sardo-corso, in Atti del XII Congresso geografico italiano... 1934, Cagliari 1935, pp. 123-158; Inquadratura geologica dei giacimenti sardi, in Atti del Congresso minerario italiano... 1948, Iglesias 1948, pp. 47-51; Il Quaternario della Sardegna, in Atti del IV Congresso dell’International Union for Quaternary Research... 1953, II, Roma 1956, pp. 995-1018; La fase sarda dell’orogenesi caledonica in Sardegna, in Geotektonisches Symposium zu Ehren von Hans Stille, a cura di F. Lotze, Stuttgart 1956, pp. 120-127; Il Mesozoico epicontinentale della Sardegna, in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 8, XXVII (1959), pp. 175-214; Orogenesi e metamorfismo in Sardegna, ibid., XL (1966), pp. 355-360. Fu anche autore del paragrafo relativo alla geologia della voce Sardegna per l’Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti (XXX, Roma 1936, pp. 836-867).
Su temi di visione globale va ricordato un suo lavoro giovanile dal titolo I continenti vanno alla deriva? Osservazioni critiche alla ipotesi di A. Wegener sull’origine dei continenti e degli oceani (in Natura, XV -1924, pp. 89-124), in cui analizzò la nuova rivoluzionaria teoria e le prove scientifiche a supporto; pur manifestando scetticismo sulle ipotesi di Alfred Wegener, soprattutto per le incertezze sulle cause del movimento dei continenti, Vardabasso riconobbe comunque all’intuizione un carattere innovativo e rivoluzionario, preconizzandone con lungimiranza un importante ruolo di stimolo per le future ricerche su un tema che, a suo avviso, era ancora troppo di frontiera per le conoscenze di quell’epoca.
Importanti sono le testimonianze delle grandi capacità didattiche e divulgative di Vardabasso, di cui beneficiarono, in aula e sul terreno, sia studenti e allievi, sia uditori e amatori delle materie geologiche; egli fu anche autore di diverse guide e relazioni per escursioni geologiche nelle Dolomiti, nelle Alpi Venete e Giulie, nel Carso e in Sardegna. L’ottima padronanza del tedesco gli consentì di intrattenere collaborazioni con istituzioni in Germania e Austria.
La sua competenza fu richiesta come consulente per affrontare delicati problemi di gestione del territorio e realizzazione di opere pubbliche in Sardegna; in prevalenza si occupò di opere di bonifica e di invasi per scopi idroelettrici, tra cui quello del Flumendosa. Fu grande promotore del ruolo del geologo nei campi applicativi, ben prima del riconoscimento formale di tale professione nell’ordinamento giuridico italiano.
Vardabasso ricoprì prestigiosi incarichi in accademie e istituzioni nazionali e internazionali, anche al di fuori del campo scientifico: membro del Comitato nazionale per la geologia del Consiglio nazionale delle ricerche; socio della Società geologica italiana, di cui fu presidente nel 1952; presidente della sezione sarda dell’Istituto italiano di paleontologia umana; presidente dell’Ente provinciale per il turismo di Cagliari; fondatore del Centro speleologico sardo; socio dell’Accademia nazionale dei Lincei; membro della Geologischen Gesellschaft di Vienna. Ricevette inoltre la medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte (1961) e la medaglia d’oro di benemerenza dell’Università di Cagliari, conferitagli con la nomina a professore emerito (1966). La sua memoria è onorata nell’odonomastica di Predazzo, Buie d’Istria, Sassari e Cagliari e nell’Istituto geologico cagliaritano, dove gli è intitolata un’aula.
Morì a Vicenza, dopo breve malattia, il 16 dicembre 1966.
Fonti e Bibl.: Presso l’Archivio di Stato di Cagliari è costituito, per donazione della figlia Silvana, il fondo documentale Vardabasso Silvio (F442381), contenente il materiale edito, inedito e bibliografico da lui prodotto, raccolto e catalogato dal 1910 al 1966. Si ringraziano Giorgio Vittorio Dal Piaz e Rita Serra (Comune di Cagliari) per la cortese collaborazione.
A. Mori, S. V. scienziato e patriota, in Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, XV (1967), pp. 195-206; G. Pecorini, Necrologio ed elenco delle pubblicazioni del prof. S. V., Cagliari 1968; P. Leonardi, S. V. (1891-1966), in Bollettino della Società geologica italiana, LXXXVIII (1969), pp. 551-564, con elenco delle pubblicazioni; S. Barca - T. Cocozza - I. Salvadori, Storia delle ricerche geologiche nel Massiccio sardo, in Cento anni di geologia italiana. Volume giubilare del I Centenario della Società geologica italiana, Bologna 1984, pp. 315-352; L. Gorlato, Geologi istriani in Sardegna, in Pagine istriane, gennaio-giugno 1986, pp. 66-70; Soprintendenza archivistica per la Sardegna, L’Archivio “S. V.”. Inventario, a cura di A. Borelli - L. Piras, s.l. 1994; S. Barca et al., Geologia della Sardegna, in Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia, LX (2001), pp. 1-283; F. Console et al., One hundred years of continental drift: the early Italian reaction to Wegener’s ‘visionary’ theory, in Historical biology, XXIX (2017), 2, pp. 266-287.