simbolo
Nell’ambito della psicoanalisi si parla di simbolo nel senso di una produzione dell’inconscio. Esso è inteso originariamente da Sigmund Freud come la rappresentazione manifesta di contenuti celati nell’inconscio. Il sogno è il terreno privilegiato per l’analisi dei processi simbolici; ma il funzionamento simbolico della mente umana si manifesta in tante altre variabili forme. Freud, tenendo conto della frequente ricorrenza di alcuni simboli, ha voluto ricostruire un codice del simbolismo onirico. Gli psicoanalisti sono oggi più attenti al carattere ambiguo, polisemico e individuale dei simboli e si interessano ai processi di pensiero che conducono alla capacità di formazione e di utilizzazione dei simboli nella comunicazione con sé stessi e con gli altri: in tal senso, il gioco del bambino, in quanto esperienza di simbolizzazione, è l’equivalente del sogno nell’adulto. Nella linea di Melanie Klein, Hanna Segal ha messo a fuoco uno dei più gravi disturbi del pensiero schizofrenico dovuto all’incapacità di distinguere i simboli dagli oggetti concreti che dovrebbero appunto simbolizzare. Per Jacques Lacan, il simbolico è una delle tre dimensioni dello psichico, e si identifica con il linguaggio. Tra i più recenti autori Wilfred R. Bion e Ignacio Matte Blanco affrontano la questione della simbolizzazione nel quadro dei processi di sviluppo del pensiero. [➔ coscienza e autocoscienza; gioco; mente e cervello; oggetto transizionale; psicoanalisi; sogno] Il termine simbolo compare in molti contesti: nella filosofia, nella semiotica, nella linguistica, nell’estetica, nell’antropologia, nella psicoanalisi, nel semplice uso colloquiale. Etimologicamente la parola s. deriva dal greco συμβάλλσω, da cui il latino symbolon. Con questo termine si indica un segno, un’immagine o un oggetto che ne rappresenta un altro con il quale è connesso. In origine, e sul piano della funzione pratica, il s. designa le due metà di un oggetto che una volta spezzato può essere ricomposto riavvicinando le due parti per ritrovare l’unita perduta, e ogni metà costituisce un segno di riconoscimento. Il termine ha poi assunto la funzione rappresentativa dello ‘stare al posto di’, e in questo senso può essere avvicinato al segno. In realtà sia s. sia segno sono due termini estremamente complessi e controversi e, nel pensiero moderno, a volte viene sostenuta una loro equivalenza, a volte viene decisamente evidenziata una differenza: il s. è caratterizzato da una stretta connessione (per lo più di tipo analogico) con la cosa rappresentata, mentre il segno può non avere alcuna connessione con ciò che designa (rapporto di reciproca indifferenza tra significante e significato). Anche il s. però può non avere alcuna connessione con ciò che rappresenta, come nel caso dei s. matematici e della logica simbolica. Un’analisi filosofica ampia sul problema del s. è stata elaborata da Ernst Cassirer il quale, nella sua opera Filosofia delle forme simboliche (1923-29), ha proposto la nozione di funzione simbolica per definire quella capacità del pensiero umano di ordinare e dare senso alla molteplicità sensibile grazie allo sviluppo di funzioni originarie quali il linguaggio, il mito e la conoscenza concettuale per astrazioni. Per Cassirer il s. costituisce un segno speciale, multistratificato e connotato da una carica speciale, da un surplus di senso rispetto al nudo segno. Certo esistono s. privati e personali, tuttavia il s. intrapsichico, che ha un significato soggettivo e non socialmente riconosciuto, non è mai solipsistico, in quanto rappresenta comunque la molteplicità delle esperienze che l’umanità condivide e che riguardano originariamente le esperienze del corpo. Nell’ambito della psicoanalisi si parla di s. solo nel senso di una produzione dell’inconscio.
Il problema del s. in psicoanalisi nasce con l’interesse di Sigmund Freud per il sogno (➔) e riguarda inizialmente l’interpretazione dei contenuti onirici manifesti che appaiono a un primo impatto confusi ed enigmatici. Essi, dice Freud, non rappresentano ciò che il sognatore veramente sogna, ma sono la riconversione simbolica dei contenuti latenti, ossia quei contenuti inaccettabili alla coscienza (per lo più attinenti alla sfera della sessualità e alle esperienze infantili), e che il lavoro onirico si adopera di trasformare in immagini accettabili, ossia in narrazioni mascherate in simboli. Il contenuto ideativo che sta alla base della formazione delle immagini del sogno come appaiono nell’aspetto di contenuto manifesto, costituisce, secondo Freud, il serbatoio da cui si originano i s. onirici che vanno decifrati così come si fa con un rebus, traducendo le immagini in pensieri verbalizzati. Il senso del sogno consiste dunque essenzialmente nel riconoscimento del legame intercorrente tra il simbolizzante e il simbolizzato. Il sogno è il terreno privilegiato per l’analisi dei processi simbolici; ma il funzionamento simbolico della mente umana, nella norma e nella patologia, nel gioco continuo tra conscio e inconscio, si manifesta in tante altre variabili forme: nei sintomi nevrotici, nei lapsus e negli atti mancati; ma anche nel gioco, nel motto di spirito, nel folklore, nell’arte e nella fantasia, nel mito di tutti i tempi. All’origine dei s. onirici si trovano soprattutto il corpo e le parti corporee investite di emozioni e passioni: dunque precipuamente gli organi e le funzioni sessuali maschili e femminili. Così borse, conchiglie e oggetti cavi in genere possono simbolizzare la vagina; mentre coltelli, bastoni, chiavi e altri oggetti penetranti possono simbolizzare il pene. Altri oggetti ancora, come l’ombrello, al tempo stesso munito di puntale e di cupola avvolgente, avrebbero un valore duplice, bisessuale. Freud, tenendo conto della frequente ricorrenza di alcuni s. nei sogni dei suoi pazienti, ha tenuto a ricostruire un codice del simbolismo onirico, in base al quale si potesse svelare un significato riconoscibile al di là del singolo sognatore. Tale aspetto di semantica universale – che ha avuto tanta fortuna nella divulgazione psicoanalitica – è la parte più datata della psicoanalisi; così come la decifrazione simbolica dei sogni o dei sintomi è la modalità meno praticata della tecnica interpretativa. Gli psicoanalisti sono oggi più attenti al carattere ambiguo, polisemico e individuale dei s., si interessano non tanto ai contenuti simbolici, quanto ai processi di pensiero che conducono alla capacità della formazione e dell’utilizzazione dei s. nella comunicazione con se stessi e con gli altri.
Secondo alcuni psicoanalisti della prima generazione (Otto Rank, Hans Sachs, Sandor Ferenczi, Ernest Jones) in psicoanalisi si dovrebbe parlare di s. solo quando il contenuto che lo genera è stato precedentemente rimosso nell’inconscio. L’intuizione freudiana dell’importanza dei s. nella dimensione inconscia suscitò un grande interesse tra i suoi seguaci, i quali si lanciarono con eccessivo entusiasmo al riconoscimento di s., soprattutto di natura sessuale. Tanto che Freud, con la consueta ironia, li invitò a una maggiore cautela, ricordando loro che ≪uno Zeppelin è pur sempre, innanzi tutto, uno Zeppelin≫. Nell’opera di Carl G. Jung, i termini s. e simbolico acquistano un’accezione diversa, in quanto Jung si avvale del concetto di trasformazione simbolica come modalità di conversione da una forma a un’altra, non soltanto come effetto di un processo difensivo dalle pulsioni rimosse perché inaccettabili alla coscienza e generatrici di conflitto, ma anche come espressione di una pluralità indefinita di immagini primordiali costitutive di un inconscio collettivo, depositario di s. universali da lui detti archetipi, schemi arcaici immutabili, indipendenti dall’esperienza personale e trasmessi ereditariamente.
Melanie Klein ha considerato il gioco infantile come una modalità originaria di simbolizzazione; non tanto come messa in scena di s. universalmente riconosciuti e socialmente condivisi (per es., il re e la regina come s. del padre e della madre), quanto come espressione non verbale o preverbale di emozioni primarie, di passioni sessuali e aggressive, di desideri e conflitti inconsci, non altrimenti esprimibili (per es., un modellino di tigre come s. della propria voracità). In tal senso, per il bambino, il gioco è l’equivalente del sogno nell’adulto. Il giocattolo è il s. di qualcosa d’altro e l’azione rivolta nei confronti dell’oggetto del gioco simbolizza un’azione rivolta nei confronti di altre persone significative nella vita reale e fantastica. I s. dunque, dal punto di vista kleiniano, sono i rappresentanti dei genitori, dei familiari e delle altre persone reali (secondo il linguaggio kleiniano, sia come oggetti totali, persone riconosciute nella loro interezza, sia come oggetti parziali, ossia come parti di essi che popolano l’esistenza del bambino); ma, soprattutto, sono i rappresentanti delle loro immagini, trasformate dalle fantasie inconsce, caricati dalle proiezioni (➔) dei suoi desideri e delle sue paure. La psicoanalisi dei bambini, secondo il modello kleiniano, consiste nel lasciarli giocare alla presenza del terapeuta e la cura consiste nella verbalizzazione, nella traduzione in parole delle azioni del gioco, nonché nelle interpretazioni dei significati reconditi inconsci e dei relativi processi difensivi. La lotta tra due animaletti-giocattolo può esprimere la rabbia del bambino, e anche la sua preoccupazione per la propria aggressività e per le conseguenze di ritorsione che ne potrebbero derivare. Secondo Donald W. Winnicott, l’oggetto transizionale (➔), così importante nel processo di sviluppo del bambino, è a metà strada tra la concretezza e la simbolizzazione. L’orsacchiotto è al tempo stesso un giocattolo e anche un s. della madre assente; o meglio è un s. dell’unione con lei. Anche i seguaci di Winnicott utilizzano il gioco e il disegno come strumenti della psicoterapia infantile.
Per il bambino, imparare le parole che designano l’oggetto, a cominciare dal termine mamma, con cui evocarne l’immagine in sua assenza, è alla base della nascita del pensiero strettamente intrecciata alla capacità di simbolizzare. L’oggetto s. precede l’acquisizione della simbolica verbale. Freud ha evidenziato come le rappresentazioni verbali siano posteriori rispetto alla capacità di rappresentazione immaginativa delle cose. L’insorgere della capacità di riconoscere la separazione tra il mondo dei s. e il mondo degli oggetti è la base per lo sviluppo del senso di realtà. Continua a essere controversa tra i vari autori la questione del rapporto tra parola e simbolo. Per taluni tutte le parole sono s., per altri la parola evoca e designa la cosa, ma non la simboleggia. È comunque certo che la rappresentazione di parola costituisce un’acquisizione ulteriore rispetto alla sola immagine dell’oggetto (rappresentazione di cosa) in quanto gode del consenso sociale e arricchisce la comunicazione interpersonale e intrapsichica. Sempre meno quindi si parla di s. da decodificare e sempre più si analizza la costruzione della funzione simbolica del pensiero, con il passaggio dal concreto all’astratto, nella capacità di discriminare dentro e fuori di sé.
Nella linea di Klein, Hanna Segal ha messo a fuoco uno dei più gravi disturbi del pensiero schizofrenico, dovuto all’incapacità di simbolizzare, di distinguere i s. dagli oggetti concreti che dovrebbero appunto simbolizzare. Per es., Segal riporta il caso di un paziente schizofrenico, valente musicista, per il quale strofinare l’archetto sulle corde del violino significava masturbarsi. Si rifiutava quindi di suonare in pubblico, perché per lui suonare non era il s. della masturbazione, ma era proprio masturbarsi di fronte a estranei. Segal ha chiamato equazione simbolica tale disturbo del pensiero, che consiste nel trattare il s. come se fosse l’oggetto originale. Nel quadro del modello kleiniano, solo il passaggio dalla posizione schizoparanoide a quella depressiva (posizioni evolutive) – con il riconoscimento della mancanza, la tolleranza della frustrazione e l’introduzione del s. – permetterebbe il riconoscimento delle differenti proprietà e attributi del s. e dell’oggetto. Ulteriori apporti alla conoscenza dei processi di sviluppo della funzione simbolica provengono dalla psicoterapeuta infantile di area britannica Frances Tustin, la quale distingue tre fasi: nella prima fase, detta del ‘come se’, molto vicina al concetto di equazione simbolica di Segal, psiche e soma sono vissuti come un tutt’uno e la differenza tra gli oggetti (il dito, la tettarella e il capezzolo) è ancora ignota al bambino. Nella seconda fase, detta della rappresentazione pittorica, la sostituzione prende il posto dell’equazione: un’immagine nella mente, o una parola-s., può evocare qualcosa che non è presente nella realtà. La terza fase è quella della vera e propria rappresentazione simbolica, nella quale avviene il discernimento tra l’astratto e il concreto, la cosa e la parola.
Il simbolico, nella complessa articolazione del pensiero di Jacques Lacan, è una delle tre dimensioni del funzionamento psichico. Lacan infatti distingue il simbolico, l’immaginario e il reale, e attribuisce una funzione primaria al simbolico inteso come ordine del linguaggio in base al quale si strutturerebbe l’inconscio. L’inconscio infatti funziona secondo i meccanismi tipici del linguaggio, tra cui la condensazione e lo spostamento, ai quali corrispondono, sul piano del linguaggio, gli analoghi meccanismi che caratterizzano la metafora e la metonimia. Sebbene anche Freud utilizzi spesso il termine simbolico, in Lacan esso assume un significato specifico e del tutto differente da quello freudiano. Freud infatti attribuisce primaria importanza alle connessioni tra il s. e ciò che esso rappresenta. Per Lacan, che aderisce alle acquisizioni della linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure, il s. è essenzialmente linguistico (la parola), ed è la struttura del sistema simbolico a essere primaria ed essenziale. Di conseguenza, anche sul piano terapeutico lacaniano, conta non tanto il ciò che si dice (il significato), ma il come si dice (il significante). Altri autori, come Wilfred R. Bion e Ignacio Matte Blanco, trattano, ciascuno coerentemente con il proprio modello, la questione della simbolizzazione, intesa sia come sviluppo dei processi mentali, sia come coesistenza di differenti livelli della capacità di pensare: dal concreto all’astratto, dalla frammentarietà all’integrazione.