SIMBOLO (dal gr. συμβάλλω "metto insieme", da cui σύμβ)
Con questo termine s'indica, genericamente, un segno, un'immagine o un oggetto che ne rappresenta un altro con il quale è connesso. Tale connessione, nell'uso corrente del vocabolo, è naturale, anche se non sempre evidente; mentre è convenzionale in certe espressioni che vengono chiamate simboli solo in senso traslato (p. es., i simboli algebrici).
Nel suo senso generico, il termine simbolo è stato variamente adoperato ed esteso, e si è giunti a identificarlo con "espressione" o con "rappresentazione": si dice, così, p. es., che la parola è il simbolo della cosa (simbolismo gnoseologico). Il significato corrente della parola è però, come si è detto, un altro. Le caratteristiche dell'espressione simbolica non possono esser definite se non empiricamente e a posteriori: considerando, ad es., la volpe quale simbolo riconosciuto dell'astuzia, si osserva che esso simbolo: 1. è meno essenziale e importante della cosa simboleggiata; 2. è più concretti e sensibile di ciò che simboleggia; 3. è manifestazione di un modo di pensare più immediato e primitivo (regressivo, involutivo); 4. ha un significato non sempre presente alla coscienza; 5. ha carattere per lo più spontaneo, automatico, non deliberato. L'adozione di tali criterî giustifica l'esclusione, dal novero dei simboli, di molte espressioni che comunemente, ma impropriamente, vengono definite come simboliche (metafore, emblemi, insegne, allegorie, similitudini, analogie, parabole, ecc.).
G. Belli scrive, in un suo sonetto, "er letto è una rosa"; ma sarebbe assurdo considerare la rosa come "simbolo" del letto: si tratta di un'ardita metafora; le chiavi, denominate in una poesia di G. Mazzoni "vivace simbolo della famiglia", hanno solo una connessione convenzionale con quest'ultima, e perciò non sono un vero e proprio simbolo; ancora più inesatta appare l'espressione "la macchina è il simbolo della libertà umana", di J. Proudhon, poiché la connessione qui non soltanto è convenzionale, ma arbitraria. Assai più propriamente la coscienza popolare vede nell'anello un simbolo di fedeltà coniugale, nella corona d'alloro un simbolo di gloria, nella bandiera un simbolo della patria, ecc.
Un principio di "economia" psichica presiede alla formazione dei simboli, poiché, il simbolo è espressione di un modo di pensare più immediato, concreto e primitivo. È più facile salutare e venerare una bandiera che sollevarsi all'idea più generale e astratta dell'amor di patria. Da ciò la grande abbondanza di simboli e d'immagini nelle lingue primitive, nel linguaggio infantile, nei dialetti.
Le indagini psicoanalitiche (v. psicoanalisi) hanno ravvisato l'origine prima delle espressioni simboliche in un meccanismo automatico di difesa nei riguardi di certi contenuti psichici inconsci. Il simbolo li esprime e nello stesso tempo li attenua e li rende accetti alla coscienza. In base a tale criterio la psicoanalisi restringe ancor più il significato della parola simbolo, che applica propriamente alle sole equazioni simboliche dell'inconscio, palesateci, ad es., da molte immagini oniriche, da espressioni popolari, cultuali, ecc. In un secondo tempo, viene data al simbolo un'interpretazione "funzionale" (H. Silberer), più generale e lontana dal significato originario, e di conseguenza più anodina. Così, la fiamma, simbolo, per la psicoanalisi, essenzialmente fallico, assurge a rappresentazione della vita, della potenza, dell'anima immortale, ecc.
Dei simboli sono state proposte molte classificazioni e distinzioni di tipo empirico: così G. Marchesini li divide in rappresentativi (ad es., il ritratto di una persona), significativi (ad es., i numeri), ricostruttivi (ad es., il pennello nei riguardi della pittura) ed esplicativi (ad es., una formula matematica). Ma è chiara, in questa e in simili classifiche, l'assunzione vaga ed estensiva del termine simbolo, che nella distinzione del Marchesini viene a essere arbitrariamente identificato con quelli, rispettivamente, d'immagine, di segno convenzionale, di emblema e di espressione logica riassuntiva.
Religione. - In virtù del significato di congiunzione implicito nella sua etimologia, il simbolo ha nella religione una parte larghissima e una funzione non sostituibile. E, invero, quella sua proprietà di esser segno o espressione sensibile di un oggetto o di un'idea non visibile, qual'è appunto il mondo divino, fa sì che il simbolo sia spontaneamente adoperato tutte le volte che l'individuo (o il gruppo) intende assurgere alla sfera misteriosa del divino.
I simboli religiosi sono di varia specie. Se si considera la loro natura, essi sono realistici (realismo che può toccar la magia), idealistici, razionalistici (quando sono suggeriti da opportunità o convenzione). Se si considera la loro espressione essi sono grafici, gestiti, formulati.
Quanto più l'individuo (o il gruppo) è primitivo tanto più il simbolo ha un valore realistico, fino a identificarsi con la cosa cui si riferisce. Per la mentalità primitiva, che è fondamentalmente mistica - nel senso che vede dietro le cose materiali il movente spiritico occulto che le fa agire in un dato modo, e che nella raffigurazione di una cosa vede, per la cosiddetta legge di partecipazione, una relazione strettissima tra il rappresentante e il rappresentato - il simbolo riveste tutti i caratteri della realtà. Così nelle danze magiche, di tipo animalesco, fatte o come rito totemico o come rito di caccia, i danzatori che rivestono la pelle o la maschera dell'animale rappresentato, si esaltano in quella loro mimica fino a sentirsi una incorporazione dell'animale e a identificarsi con lui. Tutti i riti della magia imitativa (v. magia) sono riti simbolici.
Anche quando la mentalità da primitiva s'innalza a concezioni più elevate e più astratte, il valore religioso del simbolo rimane sempre sostanzialmente realistico. Una riprova si ha nelle antiche misteriosofie greche ed ellenistiche nelle quali il rito centrale dell'iniziazione attuava, attraverso un toccamento, un gesto, una degustazione simbolica, l'unione sacra con il dio e l'ascrizione alla sua sacra milizia.
Il simbolo quando è convenzionale o razionalistico, ossia suggerito da congruenza intellettuale o da motivi convenzionali, può avere un valore teologico-filosofico, ma non propriamente religioso. Così non ha valore religioso il triquetro, figurazione geometrica triangolare curva con un cerchio inscritto, talora assurta a simbolo della Trinità; né la mezzaluna simbolo statale adottato per ragioni non note dai Turchi e conservatosi come tale in quei territori islamici dove si è esteso il dominio dell'impero ottomano; né la swastica o croce gammata, adottata dai nazionalsocialisti tedeschi a simbolo di "arianità".
Il simbolo religioso oltre a un valore realistico deve essere anche intelligibile ossia intuitivamente rivelatore della verità religiosa che simboleggia, ma non troppo razionalisticamente analizzabile, sotto pena di perdere la sua efficacia mistica che si basa sul senso dell'inconcepibile e del misterioso che sempre informa l'anima quando si accosta al divino. Come conseguenza dell'intelligibilità, il simbolo non deve essere una riproduzione completa della realtà, una fotografia, ma si deve ridurre agli elementi essenziali: 1. perché possa essere immediatamente afferrato e ricordato da aggruppamenti umani non intellettualmente affinati; 2. perché deve essere all'occorrenza facilmente rappresentabile.
Per aggruppamenti minori proprî di gruppi d'iniziati, il simbolo può essere più complicato e misterioso perché in questo caso serve come tessera di riconoscimento per i soli adepti: basti ricordare il pesce (ἰχϑύς) simbolo di "Gesù Cristo figlio di Dio salvatore".
Questa realtà del simbolo religioso, indispensabile ad attuare la vita mistica nel singolo e nel gruppo, tende ad assumere un valore più spirituale a mano a mano che la mentalità religiosa si evolve, fino a giungere, in alcuni casi, a escludere l'interpretazione realistica, accusata di magia e intesa come un peso che soffoca il libero slancio dello spirito nella regione del divino.
Così avviene che nelle fasi supreme della mistica l'orante faccia a meno d' immagini sacre, di luoghi consacrati, di cerimonie, e si concentri in una meditazione fatta in silenzio raccolto. E passando dagl'individui ai movimenti religiosi collettivi di riforma contro forme religiose preesistenti si ha il rigetto radicale del simbolismo cultuale anteriore. Così il profetismo ebraico rifugge dal cerimoniale levitico e proclama il sacrificio del cuore superiore a quello delle vittime; il buddhismo è, di fatto, un ripudio del ritualismo brahmanico; l'islamismo ridusse il culto alla sola preghiera; il protestantesimo ha limitato la liturgia alla sola parte uditiva (cantici e sermoni) escludendone quella visiva e plastica.
Il simbolo, essendo una sintesi delle credenze e delle esperienze religiose del corpo sociale, segue le sorti di quelle e quindi o si dissolve e si volatizza quando gli schemi religiosi si evolvono, ovvero si cristallizza quando il gruppo, per ragioni di contrasto storico ed etnico, si chiude alle influenze e agli scambî esteriori. Valgano per tutti di esempio i riti delle chiese orientali dissidenti, in cui l'immobilità del simbolismo religioso rispecchia l'isolamento etnico e culturale delle medesime.
Per il valore del simbolo nell'azione sacrificale, v. sacrifizio.
I simboli nel diritto. - Poiché il diritto regola e consacra i rapporti sociali degli uomini si comprende facilmente come in esso il simbolo sotto i suoi varî aspetti di segno, di gesto, di formula, abbia un uso tanto più largo quanto più primitivo.
Cosi lo spezzamento di un rotolo (σκυτάλη) in Grecia, di un'asticciola o stipula in Roma, le cui due parti restano nelle mani dei contraenti o dei testi, simboleggiava la stipulazione di un contratto; così tutte le formule giuridiche accompagnate da gesti relativi a varie parti del corpo umano: la testa in caso di adozione e d'inaugurazione; il lobo dell'orecchio (considerato sede della memoria) nelle mancipazioni, eredità, testimonianze (antestatio); la mano, come simbolo della potestà (in manum convenire, in manu esse, manumittere, manus conserere, manus inicere, manum opponere); il piede come simbolo del possesso, specialmente d'immobili.
Nel diritto medievale le cerimonie di adozione e d'investitura erano tutte caratterizzate da una cerimonia simbolica: il taglio di una ciocca di capelli (tonsura) per quelle che si ascrivevano al servizio della Chiesa; la cintura di una spada per gli eletti cavalieri; la consegna del calice o del pastorale per l'investitura di un feudo ecclesiastico; di una zolla di terra per uno civile, ecc.
Per i simboli come formule di fede (e specialmente per il cosiddetto simbolo degli Apostoli), v. credo.
Bibl.: E. Otto, De Jurisprudentia symbolica, Utrecht 1735; P. Marzolo, Saggio sui segni, Pisa 1866; G. Ferrero, I simboli, Torino 1893; G. Marchesini, Il simbolismo nella conoscenza e nella morale, ivi 1901; A. Schmid, Christliche Symbole, Friburgo in B. 1909; R. Winkler, Die Frage nach dem symbolischen Charakter des religiösen Erkennens, in Christentum und Wiss., V (1929); M. Schlisinger, Geschichte des Symbols, Berlino 1924; id., Grundlagen und Geschichte des Symbols, ivi 1930; C. A. Bernoully, J. J. Bachofen und das Natursymbol, Basilea 1924; M. Wiener, Von der Symbolen, Berlino 1924; S. A. Mackenzie, The migration of Symbols and their relation to Reliefs and Customs, Londra 1926; G. Lanoë-Villène, Le livre des symboles. Dictionnaire de symbolique et de mythologie, Parigi 1930; E. Cassirer, Philosophie des symbolischen Formen, voll. 3, Berlino 1923-1931. Per il punto di vista psicoanalitico, v. specialmente: S. Freud, Die Traumdeutung, in Ges. Schr., II, Vienna 1924-25, nuova ed., ivi 1932; H. Silberer, Von den Kategorien der Symbolik, in Zentralblatt für Psychoanalyse, II, (1911), p. 177; id., Über die Symbolbildung, in Jahrbuch für psychoanalyt. und psychopath. Forschungen, II (1910), p. 691; id., Zur Symbolbildung, ibid., IV (1912), p. 607; esaurientissimo il saggio di E. Jones, The theory of symbolism, in Papers on psycho-analysis, 3ª ed., Londra 1923, cap. 8°.
Simboli epigrafici.
Nelle iscrizioni dell'età imperiale, di carattere privato e sepolcrali, sono espressi talvolta dei simboli di carattere religioso o, ciò che è più comune, alludenti alla persona del defunto. Sono più rari nelle epigrafi pagane, molto comuni invece in quelle cristiane ed ebraiche. I simboli consistono in segni ideografici, impiegati generalmente per abbreviare il pensiero; non di rado sono indicazioni preziose per riconoscere, in mancanza di dati più precisi o apertamente espressi, la qualità della persona commemorata nell'epigrafe, l'ufficio o il mestiere da lei esercitato in vita, e le sue qualità morali. I simboli stessi potevano servire quali segni di riconoscimento da parte dei parenti e degli amici del defunto, specie se analfabeti e illetterati, per individuare, fra le tante di un sepolcreto, la tomba della persona cara e poterle, senza tema di errare, tributare l'omaggio della pietà o dell'amicizia. Qualche volta è espresso nella stele funebre o nel cippo sepolcrale il signum mortis mediante un simbolo o una figura allegorica alludente, in caso di morte violenta, all'incidente che tolse la vita alla persona cui è eretta la tomba. Così, ad es., un cavaliere gettato di sella, una scena di caccia, ecc. In certo modo possono annoverarsi fra i simboli delle iscrizioni sepolcrali anche le consuete lettere D. M. (Dis Manibus), che sono il segno di consacrazione della tomba, oltre ai simboli dell'urceus (vaso sacro ansato) e della patera (piatto liturgico umbonato), che si veggono scolpiti ai lati dei cippi funebri. Le foglie d'edera, che talora servono d'interpunzione, sono state falsamente credute, per essere cuoriformi, simboli dell'affetto. Possono considerarsi simboli la figura dell'Annona nelle tessere frumentarie, che davano diritto a usufruire delle distribuzioni gratuite di grano. Comuni e molto noti sono i numerosi simboli incisi o graffiti nelle lapidi e nella calce che chiude i loculi delle gallerie cimiteriali cristiane: la colomba, con il ramoscello d'olivo, simbolo della pace dell'anima, l'àncora della speranza in Cristo. La palma e la corona semplice o atletica, premî concessi ai vincitori delle gare nel circo, simboleggiano la vittoria riportata dal defunto sulle passioni umane; il pavone è simbolo dell'immortalità dell'anima, e il vaso delle buone azioni del cristiano. La nave e il faro vogliono mostrare come l'anima sia giunta al porto della salvezza. Simboli sono anche i varî monogrammi formati o con le iniziali I e X o con X e P del nome greco di Cristo (v. monogramma). Anche le iscrizioni dei cimiteri ebraici, scritte per lo più in greco, hanno simboli, fra i quali i più comuni sono il candelabro eptalicno, il corno (shofar), i vasi sacri, ecc.