Simmia di Tebe
Filosofo (2a metà del 5° sec. a.C.). È noto principalmente attraverso il Fedone (➔) platonico. In esso egli compare, accanto a Cebete, quale discepolo del pitagorico Filolao (➔), che a Tebe aveva insegnato per un certo periodo di tempo, e poi di Socrate, ed è insieme con Cebete, anch’esso discepolo di Filolao, il principale interlocutore di Socrate nella discussione circa l’immortalità dell’anima da quest’ultimo tenuta poco prima della morte. Essendo questa avvenuta nel 399 a.C., e figurando S. nella schiera dei giovani amici di Socrate, si può ascrivere la sua data di nascita al secondo o terzo decennio della seconda metà del 5° sec. a.C. Nulla di preciso si conosce circa le sue dottrine, né si è potuto stabilire se la teoria dell’anima quale armonia del corpo, che egli difende nel Fedone, e che poi viene ripresa dal peripatetico pitagorizzante Aristosseno, sia sua o di Filolao o di generica tradizione pitagorica. S. ricopre un ruolo rilevante anche nel De genio Socratis di Plutarco. Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, I, 124) elenca 23 titoli di dialoghi attribuiti a S., circolanti ai suoi tempi in un unico volume.