SIMON, Domenico, Matteo Luigi
e Gian Francesco.
– Figli di Bartolomeo e di Maddalena Delitala-Solinas, nacquero ad Alghero (Sassari), rispettivamente il 4 ottobre 1758, il 21 settembre 1761 e il 6 ottobre 1762. Il padre, figlio unico di un mercante ligure, dinamico proprietario terriero, censore dell’agricoltura e suddelegato patrimoniale regio, prese parte alla stagione del riformismo boginiano e trasmise ai figli l’amore per gli studi e il gusto per le arti e le scienze.
Il primogenito, Domenico, brillante studente dell’Università di Sassari da poco riformata, ebbe come maestri i gesuiti Francesco Gemelli e Francesco Cetti e si laureò in leggi nel 1777. Due anni dopo, in occasione dell’aggregazione al Collegio di filosofia e arti dell’Università di Cagliari, pubblicò il poema didascalico in ottava rima Le piante (ora a cura di G. Marci, Cagliari 2002), articolato in quattro canti corredati da erudite e aggiornate annotazioni scientifiche e storico-letterarie, espressione dell’ampio rinnovamento degli studi avviato dalle riforme scolastiche e universitarie. Nell’estate dello stesso anno si trasferì a Torino, dove fece pratica forense e lavorò nell’ufficio dell’avvocato fiscale regio del Supremo Consiglio di Sardegna. Nominato vicecensore generale del Regno (1782), continuò a rimanere a Torino per tutelare gli interessi della famiglia in una causa di successione feudale e soprattutto per coltivare gli studi di storia patria: è di questo periodo la collezione dei Rerum sardoarum scriptores, pubblicata in due volumi a Torino presso la Stamperia reale (1785 e 1788). L’opera – prima organica testimonianza dell’esigenza di rifondare la storia dell’isola su più solide basi filologiche – riproponeva, sulla scorta del modello muratoriano, nel primo volume un classico della geografia antiquaria del XVII secolo, la Sardinia antiqua di Philipp Clüver, e nel secondo, insieme alla Sardiniae brevis historia et descriptio di Sigismondo Arquer, le fonti di storia della Sardegna edite da Ludovico Antonio Muratori accanto ad altri documenti medievali e moderni. Nel 1785, segnalato dall’Accademia delle scienze di Torino, contribuì con le informazioni sulla lingua sarda all’inchiesta sull’origine delle lingue promossa dall’Accademia delle scienze di San Pietroburgo e dal naturalista e scienziato Pierre-Simon Pallas.
Il secondogenito, Matteo Luigi, dopo gli studi nel Collegio Canopoleno di Sassari si iscrisse nell’Università di Cagliari, dove nel 1782 si laureò in teologia e due anni dopo in giurisprudenza, con un’interessante tesi sulla liceità della tortura giudiziaria (De quaestionibus aut tormentis, Cagliari 1784). Nello stesso anno, in occasione dell’aggregazione al Collegio dei giuristi dell’ateneo cagliaritano, presentò una dissertazione di orientamento giurisdizionalistico (De origine immunitatis ecclesiarum...), che il fratello Domenico fece pubblicare a Vercelli nel 1787 con la dedica al ministro Giuseppe Amedeo Corte di Bonvicino. Nel 1789, dopo cinque anni di volontariato presso gli uffici dell’avvocato dei poveri e dell’intendenza generale, fu nominato sostituto soprannumerario dell’avvocato fiscale patrimoniale a Cagliari.
Il terzogenito, Gian Francesco, ammesso nel 1778 al Collegio dei nobili di Cagliari, mostrò un precoce talento letterario: nel 1782 entrò in contatto epistolare con Giuseppe Vernazza, a cui comunicava il progetto di redigere una bibliografia di «sardi scrittori», per la quale aveva già individuato oltre duecento autori. Nel 1784, laureatosi in teologia, si aggregò al Collegio di filosofia e arti e fu ordinato sacerdote; in polemica con il dilettantismo degli eruditi sardi pubblicò la Serie degli arcivescovi d’Oristano, rigorosamente basata sulle fonti e i cartulari medievali. Nello stesso anno curò l’edizione delle Orazioni sacre del suo maestro Alberto Marchi, professore di fisica sperimentale, e la raccolta in tre volumi dell’opera poetica del gesuita Angiolo Berlendis, suo ex professore di eloquenza e prefetto delle scuole a Cagliari. Nel 1786, incaricato di tenere il panegirico ufficiale del padre servita Giovanni Antonio Cossu che veniva consacrato vescovo di Bosa, compose un discorso di chiaro impianto muratoriano incentrato sul ruolo delle gerarchie ecclesiastiche nella realizzazione delle riforme promosse dal principe nel campo dell’istruzione e del miglioramento dell’agricoltura. Su proposta di Vittorio Amedeo III nel 1787 gli fu attribuita una delle tre abbazie secolari del Regno, quella di San Michele di Salvenero. Nel 1789, dopo un breve soggiorno in Toscana e a Roma, giunse a Torino, dove godette della protezione di Sigismondo Gerdil e del cardinale Vittorio Costa d’Arignano. Poeta, letterato, erudito, conversatore piacevole e oratore affascinante, tipico abate settecentesco, Gian Francesco non passava inosservato. Grazie alla benevolenza degli ambienti di corte fu nominato protonotario apostolico (1789), consultore canonista del sovrano e preside del Collegio dei nobili di Cagliari (gennaio e aprile 1793), di cui riformò il regolamento sul modello degli ordinamenti piemontesi.
Il fallito tentativo di occupazione francese della Sardegna e le vicende del triennio rivoluzionario sardo (1793-96) segnarono profondamente le biografie dei tre fratelli. Matteo Luigi, testimone partecipe e osservatore acuto della mobilitazione antifrancese, compose il Giornale storico di Cagliari (pubblicato con il titolo Il bombardamento di Cagliari, a cura di A. Flore, Cagliari 1964), un diario penetrante degli avvenimenti di quei mesi (dicembre 1792-aprile 1793) e una fonte fondamentale per ricostruire la nascita del movimento patriottico. Ma il vero protagonista del primo periodo della rivoluzione sarda fu Domenico che, ritornato nel frattempo in Sardegna, prese attivamente parte fin dal gennaio del 1793 alle riunioni dello stamento militare, quando l’antico braccio dell’assemblea rappresentativa del Regno si autoconvocò per predisporre la difesa dell’isola. Non appena l’attività stamentaria si spostò dall’ambito militare a quello più propriamente politico-istituzionale, Domenico s’impose come uno dei più lucidi e autorevoli interpreti della tradizione parlamentare sarda, distinguendosi per il suo qualificato contributo politico-giuridico nella formulazione delle cosiddette cinque domande, la piattaforma rivendicativa da presentare al sovrano per ottenere il riequilibrio dei rapporti tra il Regno e la Dominante. Eletto come rappresentante dello stamento militare tra i sei componenti della deputazione incaricata di sottoporre a Vittorio Amedeo III le richieste del Regno, Domenico nell’estate del 1793 partì per Torino, dove, in un clima di intrighi e aperte ostilità, i deputati attesero fino alla primavera dell’anno successivo per essere ricevuti dal sovrano. Per Domenico, che aveva sperato in un benevolo accoglimento delle richieste della ‘sarda nazione’, le deludenti risposte del biglietto regio del 1° aprile 1794, per di più comunicate al viceré a Cagliari anziché alla deputazione, determinarono un’amara delusione. Maturò così una delle decisioni più importanti della sua esistenza: quella di rinviare sine die il suo ritorno in Sardegna e di appartarsi dalla vita pubblica. Dopo aver rifiutato gli aiuti della famiglia e una pensione offertagli dal sovrano, visse in povertà a Torino fino alla morte (10 gennaio 1829), conducendo un’esistenza solitaria, immerso, come ricorderà Giuseppe Manno (Note sarde e ricordi, Torino 1868, pp. 22 s.), nei suoi studi e nei fantasmi del passato.
Nell’estate del 1793 anche Matteo Luigi lasciò l’isola e intraprese un lungo viaggio che lo avrebbe portato a soggiornare a Milano, a Firenze e a Roma: entrò in contatto con le esperienze riformatrici toscane e lombarde; ebbe modo di accostarsi agli ambienti giansenisti e poté cogliere gli entusiasmi e le paure suscitati dalle ‘nuove’ di Francia. Mentre i tre fratelli erano assenti dall’isola, a Cagliari il mancato accoglimento delle ‘cinque domande’ provocava la sollevazione popolare del 28 aprile 1794, con la cacciata del viceré e dei piemontesi dal Regno e l’apertura di una nuova fase della ‘sarda rivoluzione’, in cui il governo fu assunto dalla Reale Udienza (la suprema magistratura ormai composta solo da giudici ‘nazionali’), che d’intesa con i tre stamenti divenne il garante dell’ordine e della tranquillità pubblica. I contrasti sul modo di ricucire i rapporti con il governo di Torino fecero emergere i due opposti schieramenti dei ‘realisti’ e dei ‘patrioti’. Nel settembre del 1794, in concomitanza con l’arrivo del nuovo viceré Filippo Vivalda, Gian Francesco fece ritorno nell’isola, dove assunse la carica di preside del Collegio dei nobili e s’inserì nella lotta politica come esponente di primo piano dello stamento ecclesiastico.
Intanto Matteo Luigi il 27 aprile 1795 venne nominato sostituto effettivo dell’avvocato fiscale patrimoniale e avvocato fiscale del Tabellione. In questa veste, su richiesta degli stamenti, fu incaricato dal viceré del sequestro delle carte relative al tentativo di ‘colpo di stato’ attribuito al generale delle armi, il marchese della Planargia e all’intendente Gerolamo Pitzolo, trucidati nei tumulti popolari dell’estate del 1795. Gian Francesco nel frattempo assumeva un ruolo decisivo nella pubblicazione del Giornale di Sardegna, l’organo degli stamenti, che sosteneva la componente radicale del movimento patriottico e incoraggiava le agitazioni antifeudali. Le vicende che nell’estate del 1795 determinarono la seconda, grave frattura tra il Regno e la Dominante finirono per coinvolgere nello scontro l’intera famiglia Simon: sia Gian Francesco, sia il padre Bartolomeo venivano infatti nominati in rappresentanza dell’ecclesiastico e del militare nella deputazione degli stamenti che avrebbe stabilmente affiancato il viceré e la Reale Udienza nell’effettivo governo del Regno. Mentre i ‘realisti’, allarmati dalla crescita del movimento antifeudale e larvatamente sostenuti dal ministero torinese, vagheggiavano la secessione del Capo di Sassari, i Simon, in prima linea, con il giudice Giovanni Maria Angioy, nella mobilitazione patriottica, venivano apertamente accusati di giacobinismo: ma essi, in realtà, erano fautori di un programma riformatore che sulla scorta del diritto pubblico patrio auspicava una monarchia costituzionale fondata su un nuovo patto tra la Corona e il Regno di Sardegna. Con il precipitare degli eventi – la sollevazione dei villaggi infeudati, la riconquista di Sassari e la fuga dei ‘realisti’, l’invio di Angioy quale alternos viceregio nel Capo settentrionale dell’isola, la spaccatura del movimento patriottico, la sconfitta del ‘partito’ angioiano e la repressione del moto antifeudale – i Simon, indicati tra i principali ispiratori dei moti ed esiliati dalla capitale, si rifugiarono nella loro città natale.
Gian Francesco nel luglio del 1796 lasciò l’isola alla volta di Pisa, dove intendeva immergersi nei suoi studi prediletti e riprendere il vecchio progetto della storia delle «abbazie e munisteri di Sardegna». Nel novembre dell’anno successivo anche Matteo Luigi partì per la terraferma, soggiornò in Liguria dove entrò in contatto con i circoli repubblicani e dove strinse amicizia con il patriota Onorato Ferreri, che lo avrebbe poi introdotto negli ambienti governativi della Francia napoleonica. A Torino, il 30 dicembre 1797, una sentenza del Supremo Consiglio scagionava i Simon da ogni accusa e li reintegrava negli uffici da cui erano stati sospesi. Ma nell’isola l’ostracismo nei loro confronti era destinato a perdurare e nell’estate del 1799, quando, a pochi mesi dal trasferimento della corte sabauda a Cagliari, i due fratelli ritornarono in Sardegna, dovettero amaramente prendere atto di esser stati destituiti dai loro impieghi.
Il 2 dicembre 1800, fallito anche l’ultimo tentativo di farsi ricevere dal sovrano, Matteo Luigi decise di abbandonare definitivamente l’isola. In esilio volontario, nella Liguria occupata dagli austro-russi, pubblicò alla macchia con lo pseudonimo di Astemio Lugtinmio il volumetto Crisi politica dell’isola di Sardegna (Cosmopoli, ma Genova, 1800), la prima ricostruzione storica in chiave patriottica degli avvenimenti del triennio rivoluzionario sardo. L’opera era stata preceduta dal Quadro storico delle vicende politiche del Regno di Sardegna, un consistente lavoro destinato a restare incompiuto (ora Quadro storico della Sardegna durante la Rivoluzione Francese, a cura di L. Neppi Modona, Cagliari 1974), che era stato concepito in aperta polemica con l’Essai sur l’histoire [...] du Royaume de Sardaigne del giurista sassarese Domenico Alberto Azuni, apparso a Parigi nel 1799. Sempre nel 1800 pubblicava con lo pseudonimo di Ismene Auribaldo l’opuscolo Omaggio alla verità, un’accorata difesa della propria famiglia dalle accuse degli avversari politici, presto affiancata da una Lettera ad Ismene Auribaldo (Cosmopoli, ma Genova, 1800) fatta pubblicare dal padre Bartolomeo, in cui si prendevano le distanze dalle affermazioni dell’«amico incognito». Ma l’opera più importante, rimasta inedita e incompiuta, a cui lavorò in questo periodo, fu il Prospetto dell’isola di Sardegna antico e moderno disposto in forma di catechismo patrio, un vero e proprio manuale, anzi il primo manuale della storia dell’isola, concepito «ad uso e comodo delle scuole sarde», finalizzato a educare la gioventù ai valori patriottici (ora in Mattone - Sanna, 2007, pp. 299-364). Nel gennaio del 1802 lasciò la Liguria per raggiungere a Parigi l’esule Angioy, portavoce dell’emigrazione politica sarda, nella speranza di trovare un impiego nell’amministrazione francese. Ma presto si rese conto che l’ex alternos aveva ben poca influenza negli ambienti diplomatici e governativi e che il gruppo degli esuli viveva nell’impotenza e nella frustrazione. Deluso e scoraggiato, nel giugno del 1802, si trasferì a Marsiglia, dove fra l’altro incontrò Azuni, che si era agevolmente integrato nell’amministrazione napoleonica. Ma il momento di svolta nella sua vita si presentò un anno dopo, quando, di ritorno a Parigi, fu invitato dal prefetto piemontese Carlo Salmatoris a presentare «un rapporto dello stato attuale della Sardegna, che il primo console avrebbe veduto con piacere»: nacque così il Mémoire sur l’isle de Sardaigne, presentato il 21 giugno 1803 (ora Mémoire pour Napoléon, a cura di L. Neppi Modona, Milano 1967), un ampio e dettagliato quadro della situazione dell’isola che andava ben al di là dei ragguagli strategico-militari originariamente richiesti dal governo francese. La sua preziosa collaborazione sarebbe stata ricompensata con la nomina, nell’ottobre del 1805, a procuratore imperiale nel tribunale di Savona.
L’8 gennaio 1808 sposò la ventenne Julie-Helène Jacob, nipote dell’influente Jean Jacob, alto funzionario dell’amministrazione napoleonica in Italia, da cui ebbe due figlie. Nello stesso anno rappresentò la città di Savona nel corpo legislativo francese. Nel 1810 ebbe la Legion d’onore e fu nominato presidente della Corte criminale del dipartimento di Montenotte: nel Discours pronunciato per il suo insediamento (s.l., ma Genova 1810) aderiva alla nuova civiltà giuridica della codificazione, tracciando alla luce delle dottrine illuministiche il profilo ideale del magistrato criminale. Nel 1812 divenne consigliere della corte d’appello di Genova e poi presidente della Corte speciale e straordinaria di Parma. Con la caduta di Napoleone nella primavera del 1814 dovette precipitosamente abbandonare Parma. Si rifugiò a Genova, dove morì la giovane moglie. Costretto, dopo la pace di Vienna, a lasciare la Liguria passata sotto il dominio dei Savoia, si trasferì in Francia dove ottenne la naturalizzazione e nel 1815 fu eletto deputato dell’Alta Provenza. Morì a Parigi il 10 marzo 1816: Luigi XVIII lo aveva da poco nominato presidente della Corte di cassazione di Marsiglia. Lasciò inedito un grosso manoscritto De la Sardaigne ancienne et moderne ou aperçu d’un voyage statistique critique et politique dans l’île de Sardaigne (ora La Sardegna antica e moderna, a cura di C. Sole - V. Porceddu, Cagliari 1995), ultimato nel 1813-15 e articolato in cinque parti, in cui offriva un’esauriente bibliografia di scritti sull’isola e una penetrante summa delle conoscenze storiche, geografiche, economiche, civili, religiose sulla Sardegna, pensata per il pubblico francese ed europeo.
Benché isolato e privo di sussidi economici, anche Gian Francesco, relegato ad Alghero dal 1799, non rimase inoperoso: nel maggio del 1800 rappresentò all’erudito cagliaritano Lodovico Baille la necessità di istituire una «Società filopatrida di storia della Sardegna». Nel 1801 pubblicò a Cagliari il suo scritto giuridico più importante, la Lettera sugli illustri coltivatori della giurisprudenza in Sardegna, la prima puntuale rassegna delle fonti del diritto patrio e delle opere dei giuristi sardi dal Medioevo fino al XVIII secolo. In essa auspicava una profonda riforma giuridica volta a superare il «longobardico sistema» feudale che ancora caratterizzava gli ordinamenti e la realtà sociale dell’isola. Il 7 ottobre 1802 s’imbarcò per Alassio: rimase in terraferma per ben quindici anni. Nelle numerose città dell’Italia settentrionale dove trascorse questo lungo periodo della sua vita, tra l’apogeo napoleonico e la Restaurazione, ritrovò il prediletto mondo delle accademie, delle biblioteche, delle gazzette, dei salotti letterari. Dalla sua biografia emerge la figura di un intellettuale vivace e acuto, dall’ingegno prolifico, ma al tempo stesso dispersivo, come testimoniano i numerosi scritti destinati a restare inediti, tra cui si segnalano: Vicende e progressi della letteratura in Sardegna (concluso nel 1808); Della introduzione progressi e stato attuale dell’arte tipografica in Sardegna; Sulla patria di Colombo. Ritornò in Sardegna nell’agosto del 1817. Il 14 agosto 1818 fu nominato arcidiacono della cattedrale di Alghero. Morì nella sua città natale il 28 dicembre 1819.
Fonti e Bibl.: Fondamentali per la ricostruzione delle biografie dei fratelli Simon risultano le carte di famiglia, conservate ad Alghero, comprensive degli inediti, della corrispondenza e della letteratura coeva: cfr. A. Derriu, L’Archivio storico della famiglia Simon-Guillot (XV-XX sec.), in Il Mondo degli archivi - Studi, luglio 2014, http://mda2012-16.ilmondodegliarchivi.org/index.php/studi/item/375 (18 giugno 2018).
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Gian Francesco.