ARRIGONI, Simone
Nacque a Milano intorno al 1463, figlio postumo di Simone, collaterale generale del ducato, morto nel 1462. Troviamo l'A. bene avanti nella carriera al tempo di Ludovico il Moro: dal 10 genn. 1494 è nominato capitano della Martesana per un quadriennio, ma non riesce a compiere il periodo, perché il 31 dic. 1495 viene sostituito con effetto immediato da Ottaviano Bonsignori, nobile cittadino di Lodi. In questi anni l'A. porta il titolo di cavaliere gerosolimitano. La sua posizione a corte era divenuta intanto assai solida; ne sono testimonianza le amichevoli relazioni ch'egli mantenne col marchese di Mantova, Francesco Gonzaga, al quale, nell'agosto 1498, egli chiese la liberazione d'un suo parente, Giovanni Arrigoni. Il 13 ott. 1498 è nominato maestro delle entrate ordinarie. Senza dubbio fin da allora il carattere violento dell'A. si alimentava delle rivalità di corte e d'ufficio, specialmente contro il tesoriere ducale Antonio Landriani, gran favorito del Moro. Quest'odio esplose nei giorni critici del ducato sforzesco, forse a causa d'una tassazione straordinaria cui l'A. fu sottoposto; il 30 ag. 1499, all'uscita da un consiglio convocato affannosamente dal Moro sotto l'incalzare delle truppe francesi, il disgraziato Landriani fu aggredito e ferito a morte da un gruppo di cavalieri mascherati condotto dall'Arrigoni.
Costui s'affrettò a dare una coloritura politica al suo crimine, passando ostentatamente ai servizi dei vincitore: così, il 6 ott. 1499, quando Luigi XII fece il suo solenne ingresso a Milano, l'A. figurò fra i quattro gentiluomini milanesi che "vestiti di drappo d'oro sino a terra" (Prato, p. 228) si tenevano presso la staffa del re. Si mise quindi al seguito di Gian Giacomo Trivulzio, maresciallo del re di Francia, dal quale ottenne il dazio dell'acqua del Po a Torricella, nella diocesi di Parma, ed una parte, dei beni confiscati alla famiglia Landriani. Gli furono infine concessi il governatorato di Lecco e il titolo di conte dell'avita terra di Valsassina, con la rocca di Baiedo. Senonché, nel gennaio 1500, avvicinandosi Ludovico il Moro con un esercito per riprendere possesso del ducato, l'A. fuggì da Lecco e riparò a Milano. Di qui fu costretto nuovamente a fuggire nei giorni della rivolta antifrancese (febbraio 1500), durante i quali la sua casa venne saccheggiata. Riparò allora in territorio veneziano, e con forze messegli a disposizione dalla Serenissima riuscì ad occupare Piacenza e a dare notevoli molestie al partito sforzesco.
Caduto il dominio del Moro, l'A. riottenne, in nome di Luigi XII, l'antico ufficio di maestro delle entrate ducali; ma rimase presto scontento del trattamento ricevuto. Usò allora della sua familiarità con Gian Giacomo Trivulzio per esortarlo ad armarsi e a vigilare, in modo da poter dominare la situazione alla morte di Luigi XII, prevista (a torto) ed auspicata come prossima; e nel clima di crescente sospetto e larvata tensione tra Francia e Venezia maturò un ambizioso progetto, del quale, nel settembre 1504, fece segretamente partecipe l'inviato veneto a Milano, Leonardo Bianco, che a sua volta ne riferì al Consiglio dei Dieci. L'A. fortificò, a prezzo di gravi sacrifici, la rocca di Baiedo e assoldò una compagnia di avventurieri armati, per mezzo dei quali si assicurò il controllo della Valsassina, taglieggiando le popolazioni. La mira ultima dell'A. era di costituirsi una base territoriale che gli permettesse una politica personale nel complesso giuoco politico tra Francia, Venezia, cantoni svizzeri e Impero. Egli pensava probabilmente d'imitare i Trivulzio; ma non ebbe fortuna. Gli ambasciatori veneti, malgrado le insistenze dell'A., menarono le cose per le lunghe, senza troppo esporsi. Benché dunque il tradimento dell'A. fosse rimasto più che altro intenzionale, egli fu dichiarato ribelle al re di Francia (18 febbr. 1507). Dopo aver resistito per alcuni giorni nella sua rocca alla spedizione mandatagli contro, fu infine catturato e condotto a Milano in castello.
La cattura avvenne per il tradimento dei capitano cui l'A. aveva affidato il castello, un certo Gerolamo Pecchio da Vercelli, il quale a quanto sembra fece entrare un gruppo di armati sotto falsa veste di rinforzi. È quanto si deduce da un passo di Leonardo (Cod. Atl. f. 41v), il quale, trattando della costruzione delle fortezze, scrive che'gli alloggiamenti dei soldati devono essere disposti in modo che il castellano possa sempre ricevere aiuto immediato, "e questo è fatto per li soccorsi falsi, come fu chi tradì Simon Arrigoni". L sicuro che Leonardo, ospite del governatore di Milano Carlo de Chaumont d'Amboise nel 1506 -1507, parla d'un fatto di cui ebbe diretta conoscenza; è anche possibile, come dice l'Orlandi, che avesse conosciuto personalmente l'A. alla corte del Moro; meno facile è accettare la supposizione dell'Orlandi stesso che Leonardo abbia dato consigli all'A. per la ricostruzione della rocca di Baiedo o ne abbia addirittura preparato il progetto.
Subì immediatamente un processo, durante il quale cercò di scaricare le responsabilità sulla Serenissima e sul Trivulzio. L'inviato veneto Niccolò Stella (che informa di questi fatti col dispaccio dell'8 apr. 1507) s'affrettò a smentire e il Trivulzio, allarmatissimo, s'accinse a partire per la Francia per difendersi dall'ingiusta accusa. Gli atti del processo furono mandati al re di Francia per la conferma; il 27 marzo 1507 l'A. "su la piazza del castello, vestito de velluto bruno con una colanetta d'oro, fu decollato, poi squartato, et posti i soi membri alle porte di Milano" (Prato, p. 259). "Misso il capo suo suso il campanile del broletto, perché alla morte del tesorere del Moro desiderava de farse grande, e cossì divenne alto senza fallo, perché meritava" (Ambrogio da Paullo, p. 190).
Sussiste qualche incertezza sul giorno della morte. Le date del 4 marzo (A. da Paullo) e 10 marzo (Franceschini) sono da escludere. Attendibile invece quella del 27 marzo (Prato), che potrebbe tutt'al più essere spostata di qualche giorno in avanti, dato che la notizia dell'esecuzione giunge a Venezia il 16 aprile (M. Sanuto, VII, coll. 43-44).
L'A. era sposato e padre di due figlie, maritate. Secondo l'Argelati avrebbe avuto un figlio, che fu decurione e, avendo sposato una romana, Eugenia Tara, finì con lo stabilirsi a Roma: da essi sarebbero nati Pompeo, il futuro cardinale, ed Orazio, avvocato concistoriale. Ma tale notizia, come già vide l'Orlandi, è da mettere in dubbio: queste persone appartengono più probabilmente ad altro ramo della famiglia.
Fonti e Bibl.: L. G. Pélissier, Documents pour l'histoire de la domination francaise dans le Milanais (1499-1513), Toulouse 1891, n. 29, pp. 100 ss.(rapporto dell'amb. L. Bianco al Consiglio dei Dieci) e n. 51, p. 152; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, pp. 67, 205; M. Sanuto, I diarii, VII, Venezia 1882, coll. 25, 27, 32, 43 s., 551, 553; G. A. Prato, De rebus Mediolanensibus sui temporis, in Cronache milanesi scritte da G. P. Cagnola, G. A. Prato e G. M. Burigozzo, a cura di C. Cantù, Firenze 1842, pp. 228, 240, 244, 259; Ambrogio da Paullo, Cronaca milanese dall'anno 1476 al 1515, a cura di A. Ceruti, in Miscell. di storia ital., XIII(1873), pp. 119, 190; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 103 s.; G. Arrigoni, Notizie stor. della Valsassina e delle terre limitrofe, Milano 1840, pp. 216-218 (interessanti riferimenti a bibl. locale); L. G. Pélissier, Louis XII et Ludovic Sforza, II, Paris 1896, pp. 46, 118, 250, 293, 316; Id., Note e docc. su Luigi XII e Lodovico Sforza, in Arch. stor. ital., XXIII (1899), pp. 147 s.; A. Orlandi, La rocca di Baiedo in Valsassina, Lecco 1911; G. P. Bognetti. La città sotto i Francesi, in Storia di Milano, VIII, Milano 1957, pp. 60 s.; G. Franceschini, Le dominazioni francesi e le restaurazioni sforzesche, ibid., pp. 96, 99.