SIMONE da Lentini
SIMONE da Lentini (Simuni da Lentini, Symon de Leontino). – Nacque in data imprecisata nella prima metà del XIV secolo, in Sicilia, da genitori di cui non si conosce il nome; non è possibile stabilire il luogo di nascita sulla base del toponimo, essendo tale denominazione diffusa nell’isola e precipuamente nel Messinese e nel Siracusano – come cognome – sin dal XII secolo (Sciascia, 2000).
L’eventuale legame con il casato Lentini non è quindi dimostrabile. Suoi contemporanei furono il messinese Gilbertus de Leontino, che fu nominato pubblico notaio di tutta l’isola da Federico III il 15 febbraio 1356 (Codice diplomatico..., a cura di G. Cosentino, 1885-1907, pp. 116 s.), mentre un certo Antonio da Lentini procurava vettovaglie per le milizie aragonesi a Patti il successivo 31 agosto (p. 232).
Omonimi furono due Simone da Lentini messinesi vissuti nella seconda metà del XIII secolo, spesso confusi tra loro, ma distinti da Norbert Kamp (1975, pp. 1247-1250). Il primo prese gli ordini sacri dopo aver avuto una figlia e fu eletto vescovo di Siracusa nel 1269; sporadicamente attestato negli anni successivi in atti di Gregorio X (1274) e di Carlo I (che gli conferma nel 1275 un privilegio del 1270), fuggì probabilmente dall’isola in occasione dei Vespri siciliani (Sella, 1944, p. 83; Garana, 1969, pp. 110 s.; Kamp, 1975, pp. 1247-1250). Il secondo, parente di Alaimo da Lentini, fu domenicano e priore del convento della sua città, ambasciatore di Martino IV per mediare in nome della S. Sede tra Pietro III d’Aragona e Carlo I d’Angiò che si contendevano la Sicilia dopo i Vespri siciliani. Scrisse il Quodlibettum (conservato mutilo nella parte iniziale a Parigi, Bibliothèque nationale de France, lat. 6069C, cc. 46r-127r: cfr. De Marinis, 1969, pp. 181 s.), una bizzarra raccolta di quaestiones filosofiche, teologiche, giuridiche, mediche, naturalistiche e geografiche, che gli valse la censura da parte del Capitolo della provincia domenicana romana tenutosi a Napoli nel 1293 (Acta capitulorum, 1941, p. 116).
Nulla si sa circa la famiglia e l’istruzione: dai suoi scritti, tuttavia, si deduce una robusta formazione giuridica. In data ignota entrò nell’Ordine francescano.
Simone è attestato alla corte di Federico III (IV) di Sicilia, sin dagli albori del regno (1355). Negli anni successivi, seguì la curia nel suo lungo peregrinare lungo l’isola dopo la rivolta di Messina e la conseguente invasione angioina. Era già confessore del re e maestro cappellano della sacra reale cappella il 22 aprile 1357, in sostituzione dell’agostiniano Luca da Messina: in tale data Federico lo incaricò di togliere a frate Luca (che aveva aderito, nella città peloritana, alla sedizione) alcune rendite e di riassegnarle a un altro chierico (Codice diplomatico..., a cura di G. Cosentino, 1885-1907, pp. 360 s.).
Seguirono a ritmo serrato diversi altri incarichi, pertinenti al ruolo ricoperto. Nel marzo del 1358 il sovrano ordinò a Simone di porre in possesso Andrea di Palermo, chierico della regia cappella, della terziaria (la terza parte delle rendite e dei proventi), delle vecchie gabelle di Calatafimi, vacante per morte (p. 440). Il 18 aprile 1358 ebbe dal re le lettere patenti per l’esercizio della Maestra cappellania e per gli ecclesiastici e secolari di Caltanissetta affinché prestassero al nuovo cappellano la dovuta obbedienza (pp. 449 s.). Nel luglio del 1358 Simone fu incaricato da re Federico di risolvere una vertenza su un beneficio di regia collazione a Caltanissetta (p. 480) e di assegnare al chierico Rinaldo de Spalano la terziaria della tonnara di Castellammare del Golfo vacante per morte (p. 465). Nell’agosto del 1358, infine, fu incaricato di privare di un beneficio il canonico messinese Filippo de Parisio, traditore nella città dello stretto, e di assegnarlo al canonico della chiesa di Mazara Bartolomeo Bandino (pp. 493 s.).
Morì presumibilmente entro il 1360, quando fu nominato maestro cappellano, peraltro sempre «propter absenciam [...] fratris Luce de Messana», il frate minore Francesco da Castrogiovanni (pp. 502 s.).
Il principale scritto tradito di Simone da Lentini è La conquesta di Sichilia fatta per li normandi, un compendio in volgare siciliano del De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius di Goffredo Malaterra (edizione a cura di E. Pontieri, in RIS, V, 1, Bologna 1927-1928).
Tale scritto fu redatto in soli venti giorni, dal 5 al 25 marzo 1358 (La conquesta..., a cura di G. Rossi-Taibbi, 1954, pp. IX, 3, 148 s.). L’opera, priva di dedica, fu stilata «ad laudem omnipotentis Dei et utilitatem legentium», poiché il testo di Malaterra risultava già «in gramatica obscura et grossa et mali si potia intendiri» (p. 3).
La Conquesta è strutturata in un prologo e trentuno capitoli, seguiti da una genealogia dei sovrani di Sicilia fino al 1358 (e continuata in un perduto archetipo da una prima mano fino al 1377, da una seconda al 1434); il testo comprende solo le parti di interesse siciliano del De rebus gestis. Simone, deluso dalle condizioni attuali del regno, scrisse la Conquesta con l’intento di sollecitare il ripristino del perduto prestigio della Sicilia, attraverso la dimostrazione della debolezza ormai strutturale dell’ordinamento politico e culturale dell’isola. Il testo enfatizza infatti l’antitesi tra il passato, rappresentato positivamente quale tempo di potenza politico militare e pietas religiosa, e il presente, caratterizzato da una condizione di subalternità e dalla mancanza di ideali religiosi (Bruni, 1980, pp. 216 s.).
Lentini interpolò la cronaca di Malaterra con aggiunte originali e con passi adattati da altre fonti. Si riscontrano, infatti, giudizi sulla pietas di Ruggero (La conquesta..., cit., 1954, p. 113) e sui motivi del trasferimento della sede episcopale da Troina a Messina (p. 103), nonché concise note sull’origine dei nomi di alcune località e di popoli, motti e credenze (pp. 16, 23, 41, 45, 68, 76, 89, 92, 114, 118) che non figurano nel suo ‘modello’. Tra le altre fonti più importanti, vanno annoverati la Cronica Martiniana di Martino Oppaviense, alcuni documenti provenienti dal tabulario della cattedrale di Catania e anonimi scritti annalistici di ambito monastico siciliano (pp. XIV-XVIII). La Conquesta, il cui stile è caratterizzato da ricchezza espressiva e agilità espositiva, rivela maturità e perizia di scrittura (pp. XXII, XXIV; La Fauci, 1987; Id., 2001, pp. 23-31; Valente, 2011, p. 79); ebbe una discreta fortuna tra i secoli XV e XVII, soprattutto come appiglio per le frequenti contese campanilistiche che infervorarono i maggiori centri siciliani nella prima età moderna (e ne è dimostrazione la corposa tradizione manoscritta, cfr. La conquesta..., cit., 1954, p. XI).
«Frate Simuni» compose in volgare anche una Esposicioni di li Evangeli dominicali per tuttu l’anni e alcune poesie, delle quali non resta traccia (Repertorium..., 2005, pp. 382 s.). Il Chronicon Regni Siciliae latino, ritenuto sovente come sua opera perduta (La conquesta, 1954, pp. X-XI; Repertorium..., 2005, p. 383; cfr. Carrera, 1639, p. 134; Mongitore, 1714, p. 230; Cronache siciliane..., a cura di V. Di Giovanni, 1865, pp. XXV-XXVII), è in realtà l’anonima continuazione della genealogia dei sovrani di Sicilia, con parti in latino e altre in siciliano (edita in Simon Leontinensis Chronicon..., 1792).
Fonti e Bibl.: Simon Leontinensis Chronicon Regni Siciliae, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestats sub Aragonum Imperio retulere, II, Palermo 1792, pp. 303-323; Cronache siciliane dei secoli XIII, XIX, XV, a cura di V. Di Giovanni, Palermo 1865 (con l’edizione della Conquesta alle pp. 1-114); Codice diplomatico di Federico III di Aragona, re di Sicilia (1355-1377), a cura di G. Cosentino, Palermo 1885-1907; La conquesta di Sichilia fatta per li Normandi translatata per frati Simuni Da Lentini, a cura di G. Rossi-Taibbi, Palermo 1954.
P. Carrera, Delle memorie historiche della città di Catania, I, Catania 1639, p. 134; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula sive De scriptoribus Siculis, II, Palermo 1714, p. 230; F. Bruni, La cultura e la prosa volgare nel ’300 e nel ’400, in Storia della Sicilia, IV, Palermo 1980, pp. 179-279 (in partic. pp. 213-217); N. La Fauci, La lingua e la mano. Evidenze sintattiche ne La Conquesta di Sichilia di frati Simuni da Lentini, in Schede medievali, XII-XIII (1987), pp. 295-302; M.C. Storini, S. da Lentini, in Letteratura italiana. Gli autori, Dizionario biobibliografico e indici, II, Torino 1991, p. 1641; L. Sciascia, Lentini e i Lentini dai Normanni al Vespro, in La poesia di Giacomo da Lentini. Scienza e filosofia nel XIII secolo in Sicilia e nel Mediterraneo occidentale. Atti del Convegno..., Barcellona... 1997, a cura di R. Arqués, Palermo 2000, pp. 9-34; N. La Fauci, Lucia, Marcovaldo e altri soggetti pericolosi, Roma 2001, ad ind.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, X, 3, Roma 2005, pp. 382 s.; S. Valente, Le strategie di relativizzazione di alcuni testi siciliani del XIV secolo, in Vox romanica, LXX (2011), pp. 79-101.
Sui due omonimi: Bibliothèque national de France, lat. 6069C, cc. 46r-127r; Acta capitulorum provincialium Provinciae Romanae (1243-1344), a cura di T. Kaeppeli - A. Dondaine, Roma 1941; P. Sella, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, Città del Vaticano 1944; T. De Marinis, La biblioteca napoletana dei re d’Aragona. Supplemento, I, Verona 1969, pp. 181 s.; O. Garana, I vescovi di Siracusa, Siracusa 1969; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung. Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, III, Sizilien, München 1975, pp. 1247-1250.