PRODENZANI, Simone de
PRODENZANI, Simone de. – Nacque da Ugolino di Nallo di Cino di Ranuccio di Provenzano di Lupiccino dei Monaldeschi con ogni probabilità a Orvieto nel 1351, dal momento che ricoprì il suo primo incarico pubblico, al quale si poteva accedere al compimento dei venticinque anni e dopo almeno venti anni di residenza in città, nel 1376. Il nome della madre è ignoto; ebbe tre fratelli: Nallo, Antonio e Guido, o Guidone, la cui unica figlia Francesca ereditò anche i suoi beni.
Prodenzani è attestato frequentemente, soprattutto dal 1400 al 1438, nei protocolli notarili, nelle Riformagioni del Comune e dell’Opera del duomo, nei registri del catasto, negli atti giudiziari, in definitiva nei documenti degli archivi orvietani, relata con una grande quantità di varianti che interessano sia il nome del padre (Golino, Gulino, Goleno), sia quello del capostipite (Prodençalibus, Prodelsalibus, Prodensanibus, Prudenzani, Prudenziani).
La forma ‘Prodenzani’ è fondata su tre motivi: la sottoscrizione di una supplica al Comune, il testamento del 1428, uno stemma di famiglia, seppure tardivo. È stata adottata stabilmente nella letteratura italiana dalla fine degli anni Settanta del XX secolo.
In una città sconvolta da interminabili lotte tra fazioni, in particolare quella dei Muffati e quella dei Mercorini, guelfi di parte bianca, Prodenzani dovette sottomettersi all’alterna fortuna della sua parte politica, quella dei Mercorini. Trascorse in esilio al seguito del padre, essendo maschio, gli anni 1380-86 e 1389-91 e, per una condanna ricevuta, gli anni 1391-1400: era stato condannato per alto tradimento, insieme con altri sette Mercorini, per avere contraffatto le chiavi di porta Postierla con il fine di fare entrare in Orvieto la ‘parte estrinseca’. Pur avendo confessato la sua colpa e collaborato a sventare l’attuazione del piano, la sua azione fu ritenuta tanto disonorevole e grave che nel 1395, quando, per risollevare l’economia della città, fu concessa l’amnistia a tutti i fuoriusciti, si fece eccezione per «illis octo civibus Urbevetanis qui fuerunt et sunt condemnati pro rebellibus» (Orvieto, Archivio storico del Comune, Registro delle Riformagioni, 183, c. 71r).
Rientrato a Orvieto dopo il 19 febbraio 1400, avendo pubblicamente dichiarato che non si sarebbe occupato di politica, i concittadini gli affidarono incarichi pubblici di notevole responsabilità fino alla morte, a conferma della considerazione di cui godeva, nonostante l’appartenenza politica e le vicende a essa legate. Fu conservatore nel 1403, 1410, 1413, 1417, 1422, 1428; membro del Consiglio generale per cinque anni consecutivi dal 1401 al 1405 e successivamente quasi per ogni anno fino al 1431 e nel 1437; camerlengo della Fabbrica del duomo nel 1406, 1412, e dal 1408 al 1438 quasi ogni anno fu soprastante.
Prima del 1402 sposò Sibia di Catalano di Pietro di Neri di Torre, sorella della moglie del fratello Guido. Non si ha documentazione di eventuale prole.
Morì, con ogni probabilità di peste, a Orvieto nel 1438, dal momento che, ricoprendo quell’anno la carica di soprastante della Fabbrica di S. Maria della Stella, alla seduta del 29 settembre risulta assente perché infermo a causa della vecchiaia. Successivamente non se ne hanno più notizie.
Prodenzani ha lasciato un canzoniere di oltre 250 componimenti utilizzando solo quattro metri: il sonetto, la ballata narrativa, il capitolo ternario e il cantare in ottave. È rimatore per lo più arguto e di intelligenza vivida e pronta, ma nelle ultime due parti del Saporetto e nei capitoli risulta prolisso. Tratta qualsivoglia argomento, ma non si inviluppa, come la gran parte dei suoi colleghi petrarcheggianti, in tematiche d’amore: parla infatti della donna con toni ironici o sarcastici e con largo ricorso a topoi antiuxori.
Detiene il merito di avere arricchito la letteratura italiana di nuove forme poetiche, ovvero della prima raccolta di novelle in ottave, della prima raccolta di corone di sonetti che formano un’unica opera e della singolarità che si incontra soltanto nella rimeria orvietana del dialogo dell’autore con il sonetto-messaggero. Le sue rime, che si radicano soprattutto nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, nel Catechismo, nella Commedia e nel Decameron, costituiscono una preziosa e copiosa fonte, spesso unica, di notizie sulla musica, sulla danza, sui giochi, sulla caccia, sulla culinaria, sulle festività religiose, sui culti, sulla devozione dell’Italia centrale tra gli ultimi anni del XIV secolo e i primi del XV.
In quegli anni gli uomini di cultura di una collettività periferica ed emarginata, qual era Orvieto, si arroccavano in una visione tardomedievale di laudatio temporis acti inesorabilmente destinata a declinare in patetico ricordo di una immaginaria età dell’oro. Non mostravano il desiderio di conoscere l’incipiente umanesimo, del quale non solo non potevano comprendere o condividere gli interessi, ma neppure la moda di privilegiare contenuti di derivazione classica.
Né il nome di Prodenzani, né la sua opera o singole sue parti si trovano infatti citati in altri autori, o in altre opere, neppure minori. Fanno eccezione la decina di codici relatori di uno, o di entrambi, gli estravaganti Sonetti del piato e il codice Vat. lat. 5372, di origine vicentina e dell’ultimo quarto del XVI secolo, che tramanda in unicum un trattato anonimo di viticoltura e vinificazione, nel quale sono inseriti i due estravaganti Sonetti delle vignie, copiati dal Vat. lat. 5181 che, insieme con il Vat. lat. 5180, fu letto prendendolo da uno scaffale della libreria veneta dei Manuzio.
Seguendo un probabile ordine di composizione del canzoniere (a parte un prosastico e molto modesto Trattato extraordinario di cose morali, scritto tardivamente come ponte di collegamento con quasi tutte le rime estravaganti), si può indicare tra le prime rime il cantare Chiaro robino sopre l’altre gemme (sulla cui attribuzione pende qualche dubbio); a seguire decine di ballate narrative in ottave, delle quali solo diciotto sono state scelte e tramandate personalmente dall’autore con il titolo collettivo di Sollazzo; una corona di sette sonetti intitolati nel codice base De etate hominum (ma in altri testimoni Aetates hominum); corone di sonetti (in tutto 176 pezzi) collegate e suddivise in quattro mundi o parti (Placidus, Blandus, Tranquillus, Meritorius) intitolate Saporetto; quattordici Capitoli morali e, infine, le rime varie, oltre quattro dozzine di sonetti estravaganti (comprese le risposte).
La quasi totalità delle rime è tradita dal Vat. lat. 5181, il codice completo più antico, esemplato da un archetipo, perduto, approntato dallo stesso Prodenzani, come è dimostrato dal fatto che le ballate narrative trascritte sono il risultato di una scelta e dal fatto che il Trattato extraordinario è stato vergato unicamente per essere utilizzato come prefazione di preesistenti rime estravaganti, anche queste risultato di una selezione. In alternativa, il manoscritto vaticano potrebbe essere stato esemplato utilizzando testi di Prodenzani scelti da persone che avevano accesso alle sue carte. L’una o l’altra operazione avvenne comunque non oltre un decennio dopo la morte del rimatore, come dimostra l’analisi paleografica e codicologica del manoscritto.
Nel complesso, i codici di opere prodenzaniane pervenuti sono numericamente esigui, cartacei, modesti e di piccolo formato, ma dovrebbero essere state in circolazione un buon numero di copie, anche di buona fattura, dal momento che un sonetto introduttivo del Sollazzo, relato dai mss. Vat. lat. 5180 e Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.1026, parla di un «originale […] storiato, pénto di figurette e storie bene cento». Tale descrizione richiama alla memoria una perduta copia membranacea, di grande formato e di buona qualità, che si trovava nella biblioteca dell’avvocato Carlo Bologna a Perugia nel 1892, quando la vide e descrisse Salomone Morpurgo. Altri codici da segnalare sono: Parma, Biblioteca Palatina, Palat., 286; Siena, Biblioteca comunale, H.X.24, C.IV.8.
In edizione critica sono disponibili le Rime, a cura di F. Carboni, Manziana 2003, e il Sollazzo, a cura di M. Milani, Alessandria 2004.
Fonti e Bibl.: S. Debenedetti, Spunti e motivi boccacceschi in un antico novelliere umbro, in Scritti vari in onore di Rodolfo Renier, Torino 1912, pp. 675-695; Id., Il “Sollazzo” e il “Saporetto” con altre rime di Simone Prudenzani d’Orvieto, in Giornale storico della letteratura italiana, 1913, suppl. n. 15; Id., Il “Sollazzo”. Contributi alla storia della novella, della poesia musicale e del costume nel Trecento, Torino 1922; F. Carboni - A. Roncaglia, Due nuovi codici di S. P., in Medioevo romanzo, V (1978), pp. 260-271; P. Andrioli Nemola, Trittico per S. P., Lecce 1979; F.A. Ugolini, Rilettura filologica di testi letterari antichi dell’area dialettale mediana. C. Annotazioni ai testi di S. P. di Orvieto, in Contributi di dialettologia umbra, I (1980), pp. 41-137; F. Carboni, Spigolature dal ‘libretto vario’ di Simone Ugolini de’ Prodenzani, in Cultura neolatina, LIX (1999), pp. 262-328; C. Giunta, Chi era il Fi’ Aldobrandino, in Nuova Rivista di letteratura italiana, II (1999), pp. 27-151; Il vivo fonte. Trattato del secolo XVI sull’arte del vino, a cura di F. Carboni, L’Aquila-Città del Vaticano 2003, pp. 46 s., 248-251.