DELLA TOSA, Simone
Figlio di Rosso, nacque, quasi certamente a Firenze, intorno al 1270, poiché nel 1307 ricopriva, per la prima volta, la carica di podestà. Le scelte politiche compiute dal padre determinarono fin dagli inizi la carriera del D., ponendolo naturalmente dalla parte dei vittoriosi guelfì neri e portandolo a ricoprire sin da giovanissimo incarichi pubblici di prestigio. Nel 1307 venne inviato come podestà a Città di Castello, e nell'ottobre dell'anno seguente ricoprì la medesima carica a Pistoia. Tuttavia la prima vera affermazione del D. nel mondo politico cittadino coincise con la scomparsa del padre, morto settantacinquenne l'11 luglio 1309: pochi giorni dopo infatti, il 20, insieme col fratello Gottifredo e con Pino di Vanni Della Tosa, un suo parente, venne, quasi a raccogliere l'eredità paterna, creato "cavaliere di popolo" dalla parte nera. La concessione del cavalierato avrebbe accresciuto - secondo il Villani - l'ambizione dei figli di Rosso, che "volendo tener gran vita per esser onorati, perché parea loro che l'opere del padre il meritassono, cominciarono a calare" (Cronica, III, xxviii). Sempre secondo questo cronista, mentre il D., dopo il trionfo del luglio del 1309, andò gradualmente perdendo, con la sua fazione, credibilità e influenza in Firenze, il suo parente Pino Della Tosa vi acquistava invece un sempre maggior ascendente.
Da questo momento, ad ogni modo, tutta l'azione politica del D. si mosse lungo questo doppio binario: da un lato la fedeltà e l'adesione agli ideali paterni, dall'altro l'antagonismo con Pino. Nell'ambito dell'indirizzo politico indicato da suo padre si mosse ancora nel gennaio del 1313, difendendo le case dei Cavalcanti, responsabili dell'assassinio di Pazzino de' Pazzi, dall'assalto dei Pazzi e dei Donati, divenuti, questi ultimi, suoi implacabili nemici proprio a causa di Rosso, ritenuto uno dei mandanti dell'omicidio di Corso Donati. Nell'agosto del 1315 il D. combatté, insieme con il fratello Gottifredo, nella battaglia di Montecatini contro le truppe di Uguccione Della Faggiuola. La grave sconfitta subita dall'esercito fiorentino il 29 agosto - nel cruento scontro aveva perso la vita anche Gottifredo - ebbe pesanti ripercussioni sulla posizione politica di Firenze che, soprattutto in Toscana, ne fu fortemente indebolita: molte città, già sue alleate, si indussero infatti a trattare tregue d'armi col nemico Uguccione. Benché l'insuccesso militare fosse da imputare soprattutto alla leggerezza con cui i Fiorentini, certi della vittoria, avevano affrontato lo scontro decisivo, parte dell'opinione pubblica preferì vedere la causa della sconfitta in un insufficiente apporto militare dal grande alleato di Firenze, il re Roberto di Angiò. In Firenze, dunque, si formarono ben presto due opposte fazioni, l'una favorevole -ancora, e nonostante tutto - all'Angioino, l'altra decisamente ostile alla politica di alleanza e cooperazione col re di Napoli. A capo della prima si trovava Pino Della Tosa; la seconda contava tra i suoi principali animatori il D.: "ed era tanto più forte questa che l'altra, che facieno fare ciò che voleano a' Priori e al Comune" (Stefani, p. 119). Infatti il D. poteva contare in quel momento sull'appoggio dei gonfalonieri delle compagnie del Popolo, su quello dei fuorusciti amnistiati e riammessi in città, sul popolo minuto. La sua popolarità era tale che contro di lui poco poteva lo stesso vicario in Firenze del re di Napoli, Bertrando Del Balzo, il quale venne di lì a poco sostituito dal più energico e influente conte di Battifolle, Guido Guidi.
Una volta conquistata la maggioranza all'interno delle magistrature, il D. cercò di consolidarsi al potere insieme col partito antiangioino, e per tenere più saldamente in pugno la città, provata dalla sconfitta e turbata dalle ostilità interne, cercò di imporre la pace alle fazioni. Fece dunque approvare nella primavera del 1316 l'istituzione di un nuovo ufficio municipale, che fosse specialmente preposto ai servizi di polizia, quello del Bargello, e chiamò a dirigerlo un uomo d'armi eugubino, ser Lando Bicci.
Il rigore con cui il Bicci mantenne, tra il maggio e l'ottobre del 1316, l'ordine pubblico, ed alcuni errori di gestione - come l'emissione di una moneta di misura da 6 denari (il cosiddetto bargellino), che dovette essere ben presto ritirata a causa della scarsa percentuale d'argento in essa contenuta - fecero perdere al D. ed alla sua parte sia la fiducia e l'appoggio dei gonfalonieri delle compagnie del Popolo, sia il favore della cittadinanza. Il 15 ottobre il Collegio dei priori dovette essere rinnovato ed i fautori dell'accordo col re di Napoli vi conquistarono sei seggi. La fortuna politica del D., per altro già scossa - come quella della sua parte - da questo fatto, fu travolta definitivamente sul finire d'ottobre -insieme con quella della sua fazione - dalla caduta del Bicci, che sanzionò la vittoria dei suoi avversari politici.
Benché uscito sconfitto dalla lotta del 1316, il D. non si allontanò dalla vita politica. Nel maggio del 1325 sedeva infatti nel Consiglio dei capitani di guerra, e nel settembre di quello stesso anno partecipò forse - ma la notizia non è sicura - alla battaglia di Altopascio contro Castruccio. Due anni dopo, il 13 apr. 1327, venne designato dal Comune, quale "nobile e gentile cittadino", ad accompagnare al fonte battesimale, insieme con Silvestro Manetti de' Baroncelli, il figlio dell'allora signore di Firenze Carlo d'Angiò duca di Calabria e della sposa di questo, Maria di Valois, nato durante il soggiorno della coppia a Firenze. Richiamato da re Roberto nel Regno di Napoli, ove si temeva un attacco da parte delle forze imperiali, il duca partì con la consorte dopo qualche mese (28 dic. 1327) nominando suo vicario un esperto uomo d'armi, Filippo di Sanguineto, figlio del conte di Catanzaro.
Nei primi di gennaio del 1328 Castruccio Castracani aveva raggiunto, accompagnato da 300 cavalieri e 1.000 balestrieri, Ludovico il Bavaro che si recava a Roma per esservi incoronato imperatore. Filippo di Sanguineto volle allora tentare, approfittando di questa assenza, un colpo di mano contro Pistoia, che era presidiata da un corpo di 150 cavalieri tedeschi e da 500 fanti sotto il comando del genero dello stesso Castracani, Filippo Tedici. Per raggiungere lo scopo il di Sanguineto, oltre che sulle sue forze e su quelle a disposizione del Comune di Firenze, poteva contare sull'appoggio di tre guelfi pistoiesi sbanditi e sulle collusioni che questi ultimi avevano nella loro città. Degli uomini politici fiorentini più in vista volle avere con sé nell'impresa il solo D.: "e non menò seco nullo fiorentino se non messer Simone di Rosso Della Tosa" (Villani, X, Iviii). L'iniziativa ebbe successo.
Nella notte fra il 27 e il 28 gennaio il D. ed il vicario angioino, alla testa delle forze congiunte di Firenze e di Prato, attaccarono di sorpresa Pistoia e la conquistarono. La città fu messa al sacco. Mentre Filippo di Sanguineto tornava, in trionfo, a Firenze dopo aver riformato Pistoia "nella fedeltà verso la Santa Chiesa, il re Roberto e il duca di Calabria", il D. rimase nella città appena occupata come podestà della città e capo del presidio militare fiorentino. Il D. col suo governo non dispiacque, in un primo momento, ai Pistoiesi che furono soddisfatti per la sua rassicurante presenza, "però ch'elli era de' più savi e de' leali cavalieri di Firenze" (Storiepistoiesi, p. 119).Ma ben presto provocò i risentimenti dei suoi amministrati, perché - stando a quanto riferiscono alcune fonti - esercitò con scarso impegno il suo mandato: avrebbe permesso infatti ai suoi famigli di rubare e non si sarebbe troppo curato, per parte sua, degli uffici affidatigli. Così, ad esempio, si lamenta l'anonimo autore delle Storie: "seanzi ch'elli entrasse in oficio vi si facea male, dopo la sua venuta vi si facea male e peggio" (p. 119). Tuttavia il. D. non riuscì a terminare il suo mandato, perché il repentino ritorno di Castruccio in Toscana (9febbraio), e la consueta lentezza del governo fiorentino nell'approntare valida difesa per le proprie conquiste, permisero la riconquista di Pistoia da parte del suo vecchio signore. Nonostante la perizia con cui diresse la difesa ed il valore del piccolo presidio posto ai suoi ordini (250 cavalieri e 1.000 fanti), dopo qualche settimana di assedio il D. fu costretto dalla fame a capitolare (3 agosto). Ebbe, con il presidio, salva la vita, e poté tornare coni suoi, incolume, a Firenze.
L'episodio ebbe uno strascico giudiziario. Nel 1332 il D. reclamò dal Comune di Pistoia il pagamento delle somme dovutegli per contratto relative agli.ultimi mesi della sua podesteria, che gli era stata conferita per un anno nel 1328 ma che aveva dovuto interrompere anzitempo in seguito all'attacco di Castruccio. Il D. vinse la causa: ottenne come risarcimento il versamento di ben 325 fiorini.
Nell'agosto del 1329 il D. svolse il ruolo di ambasciatore e sindaco di Firenze nella firma di un trattato di pace a Moritopoli tra le città della Lega guelfa e Pisa; e, sempre in quell'anno, tra aprile e maggio, si batté fieramente e decisamente nei Consigli della Signoria, "con belle ragioni e colorate" (Villani, X, cxxvii), contro il parere, sostenuto dal parente ed eterno avversario Pino Della Tosa, di acquistare, da Marco Visconti e dalla Compagnia di S. Giorgio, la città di Lucca per 80.000 fiorini d'oro.
L'ultima notizia in nostro possesso, in cui il D. compaia ancora vivente, è quella relativa alla ricordata causa da lui intentata nel 1332 contro il Comune di Pistoia.
Morto il D., forse già nel 1340, certamente prima del maggio 1345, i suoi figli furono, come quelli di messer Pino Della Tosa, privati, a quella data, dei beni che erano stati donati ai loro padri "... per lo comune e popolo di Firenze, quando gli feciono cavalieri del popolo, che tanto per lo popolo si adoperarono" (Villani, XII, xliv).
Fonti e Bibl.: D. Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., IX, 2, a cura di I. Del Lungo, pp. 260 s., 263; Storie pistoiesi, ibid., XI,5, a cura di S. A. Barbi, pp. 118 s., 125, 134; Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani, ibid., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, pp. 119 ss., 161 s.; S. Della Tosa, Annali, in Cronichette antiche, a cura di D. M. Manni, Firenze 1733, pp. 163, 168; G. Villani, Cronica, a cura di F. Gherardi Dragonetti, Firenze 1845-1847, II, p. 194; III, pp. 24, 54-57, 119 s., 123 s.; IV, pp. 75 s.; R. Davidsohn, Forschungen zur Gesch. von. Florenz, IV, Berlin 1908, pp. 573, 577; T. Casini, Nuovi docum. su Cino da Pistoia, in Il Propugnatore, n. s., I (1888), 23, pp. 179-185; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1956-1968, ad Indicem;D. De Robertis, Un nuovo carme del Boccaccio: l'epitaffio per Pino e Ciampi della Tosa, in Studi sul Boccaccio, LX (1975-1976), pp. 62 s. e passim.