DORIA, Simone
Nacque a Genova nella prima metà del sec. XII da Ansaldo; il nome della madre, Anna Grimaldi, riportato dai genealogisti, non è confortato da documenti. Suoi fratelli furono Enrico e Guglielmo.
Ancor giovane, dovette seguire il padre, console e comandante della flotta genovese partita alla conquista della roccaforte araba di Almeria (1147); dopo la resa della città, mentre il padre ritorno con ricco bottino a Genova, egli rimase in Spagna con l'esercito passato all'assedio di un altro porto arabo, Tortosa. Nel novembre 1148 fu testimone all'atto in cui Raimondo IV di Barcellona donò alla chiesa genovese di S. Lorenzo due parti di un'isola posta sul fiume Ebro, di fronte a Tortosa. Nel 1156 fu chiamato alla carica di console dei Placiti; in seguito, partecipò al Parlamento in cui tutti i più importanti "cives" giurarono fedeltà al trattato commerciale concluso tra il Comune e Guglielmo 1 di Sicilia (gennaio 1157).
Per questi anni, il cartulario di Giovanni Scriba testimonia la sua intensa attività economica, legata al ruolo che Genova svolgeva come centro di smistamento delle merci tra Oriente ed Occidente mediterraneo. Nel 1157 il D. risulta in rapporti d'affari con Ogerio "de Guidone", che gli doveva una partita di pepe, allume e legno di brasile (30 ottobre); sempre in quest'anno, comperò terre sulla collina di Carignano, posta nel suburbio della città, dove possedeva già aree presso il Bisagno (25 agosto); nel 1160 concedeva una commenda e comperava panni (3 giugno); come fideiussore di Zaccaria "de Castro" vendette a Caffaro due pezze di terra poste in S. Siro (30 settembre); nel 1161 vendette pepe (5 gennaio) e finanziò un mercante in partenza per il Mediterraneo orientale (9 luglio); nel 1163 comperò una quota di un mulino posto accanto ad un altro di cui egli era già comproprietario (4 settembre); l'anno dopo ricevette un mutuo da Ansaldo, fratello di Belmosto, impegnandosi a restituirlo se fossero arrivate in Sardegna le galere su cui aveva imbarcato merci (13 aprile). Questi rapporti d'affari con l'isola (già documentabili per il padre Ansaldo sia pure episodicamente, dato l'esiguo materiale documentario sopravvissuto) devono essere tenuti presenti per comprendere il motivo che spinse il D. ad appoggiare Barisone, giudice d'Arborea, nel tentativo di ottenere la corona di "rex Sardiniae".
Nel frattempo egli ottenne dal Comune un incarico delicato presso la corte imperiale (1162). Non conosciamo i motivi per cui tra il D. e la corte sveva si fossero stretti legami così intensi; è certo che, a partire da lui, la famiglia Doria divenne a Genova la più fedele rappresentante degli interessi imperiali. Quando, distrutta Milano, anche il Comune genovese dovette affrontare la pretesa fredericiana di limitare la sua autonomia, per arrivare ad un accordo fu inviato a Pavia Enrico, fratello del D., insieme con altri ambasciatori; di fronte alla richiesta dell'imperatore di discutere il problema con una rappresentanza del Comune al più alto livello, Genova inviò a Torino, dove allora si trovava Federico, una delegazione di cui il D. fece parte. I rappresentanti genovesi precedettero quelli pisani; quando Raimondo Berengario, conte di Barcellona, morì a Borgo San Dalmazzo fu il D. ad accompagnare l'imperatore per rendere omaggio alla salma. Il fondamentale accordo che uscì dai colloqui tra il Barbarossa e la delegazione genovese riconobbe ufficialmente al Comune la sua autonomia e la legittimità delle sue pretese sul litorale ligure.
È possibile che il D. abbia partecipato anche alle trattative tra l'imperatore e Barisone d'Arborea per concedere a questo ultimo la corona di Sardegna; la somma richiesta dalla corte sveva in cambio del titolo fu versata in buona parte da privati genovesi, tra cui il D. fu in primo piano. In un documento non datato, ma assegnabile al 24 nov. 1164 (unica ricevuta rimasta dei prestiti privati fatti al giudice), Barisone si impegnò a restituire il mutuo di 905 lire di genovini fattogli dal D., versando la somma con gli interessi al Comune. Come pegno per un altro finanziamento in moneta lucchese, il D. ricevette in feudo alcuni domnecalia nell'isola. Iniziò così una lunga vicenda, destinata a legare sempre più al Comune genovese Barisone, oppresso dai debiti ed incapace di pagarli, e che segnò il definitivo coinvolgimento nelle vicende sarde del D., desideroso di recuperare l'enorme somma prestata e di crearsi una vasta proprietà privata nell'isola.
Col D., inoltre, giunse a prendere forma il disegno, già perseguito dal padre, di costruire una rotta "familiare" per l'Oriente attraverso zone "franche" in Sardegna (tali furono Alghero e Torres) e scali protetti in Sicilia, ricercando in quest'isola l'appoggio della potenza normanna e poi di quella sveva. Inoltre, il tentativo di penetrare in Sardegna mise in inevitabile conflitto la famiglia Doria con la potenza pisana, vera padrona dell'isola: per più di cento anni i Doria alimentarono in Genova l'ostilità verso la città rivale.
Nel 1165 il D., diventato console, fu mandato a Portovenere per incontrarvi la delegazione pisana alla ricerca di una intesa, per la quale premeva l'imperatore; il D. ne approfittò per un colpo di mano sul castello di Rocchetta, presso Vernazza, e si preoccupò di rinforzare Portovenere, sentinella avanzata nella lotta contro Pisa. Nell'ottobre si recò ad Arles, dove sottoscrisse un accordo col conte di Provenza in funzione antipisana. L'anno seguente fu confermato console in un momento di serio imbarazzo per il Comune. L'arcivescovo Cristiano di Magonza, infatti, aveva concesso a Pisa l'investitura sulla Sardegna, vanificando gli sforzi compiuti da Genova per vedere riconosciuti i diritti di Barisone, che, per di più, continuava a non essere in grado di pagare le enormi somme accettate per l'ormai utopistico sogno di conquista dell'isola. Alla corte imperiale i delegati genovesi si opposero con vivacità alle pretese pisane; prese la parola lo stesso D., che attaccò violentemente la decisione di Cristiano, che replicò, ricordando al D. la sua qualifica di "homo imperatoris".
L'anno seguente egli fece parte della commissione incaricata di incontrare quella pisana per una tregua, ma senza risultati. Nel luglio fu testimone all'accordo con Lucca per trattare paci separate con Pisa. Nel 1168, insieme con Folco de Castello, fu scelto come arbitro nelle vertenze tra il Comune ed i Malaspina per il castello di Monleone (23 ottobre). Nel 1170 fu inviato a Terracina per accogliervi i messi dell'imperatore bizantino, che era desideroso di arrivare ad un accordo col Comune. Nello stesso tempo ci fu un avvicinamento tra Genova ed il Barbarossa, che, in cambio di ciò, privò Pisa di ogni suo diritto sulla Sardegna.
Nel 1172 il D. fu di nuovo console, aprendo un periodo di stretta intesa tra Genova e l'imperatore, spinto dal D. ad assumere posizione contro Pisa. Egli fu, infatti, protagonista delle complesse trattative con Cristiano di Magonza per arrivare ad una lega contro la città rivale. Sono anni in cui massima è la concordia tra il Comune e la potenza sveva (gli Annali genovesi non ricordano neppure la battaglia di Legnano!); non a caso, alla guida del Comune è costantemente presente un Doria (1172 il D.; 1174 Guglielmo; 1176 il D.; 1179 Guglielmo; 1180 il D.; 1181 Guglielmo; 1182 Andrea, figlio del D.; 1183 Guglielmo; 1185 il D.; 1186 Guglielmo; 1188 il Doria). Nel 1174 il D. fece parte del collegio arbitrale incaricato di dirimere le controversie tra il Comune ed i marchesi di Massa, Parodi ed altri feudatari minori, da una parte, ed i Malaspina, dall'altra. Sempre nello stesso anno è ricordato tra i genovesi le cui merci, depositate negli emboli di S. Croce e di Coparia a Costantinopoli, erano stati saccheggiate durante una rivolta. Nel 1176 fu di nuovo console. condannando gli abitanti di Portovenere a pagare la "decima maris" come gli altri cittadini genovesi. Nel 1180 rivestì lo stesso incarico; due anni dopo assistette all'accordo tra il Comune ed i marchesi Ottone ed Enrico Del Carretto (20 luglio); nel 1183, insieme col fratello Guglielmo, anche a nome dell'altro fratello Enrico, locò una terra posta presso il Bisagno nel domnicatum della famiglia (28 ottobre); nel 1185 fu eletto console; l'anno seguente fu teste all'accordo con cui Barisone [II], giudice di Torres, si alleò col Comune genovese contro Pisa; si previde anche un intervento a favore di Agalbursa di Bas, vedova di Barisone d'Arborea, per permetterle di recuperare i suoi possessi, in modo da pagare i debiti contratti dal defunto marito (24 novembre): nella trattativa come rappresentante del giudice agì Andrea, figlio del D., che nel 1180 aveva sposato Susanna di Lacon, figlia di Barisone di Torres. Questo matrimonio, il primo contratto dai Doria in Sardegna, pose le basi per la formazione di un vasto territorio familiare nel Logudoro.
Nel 1188 il D. fu console per l'ultima volta ed in tal veste sottoscrisse la pace con Pisa: era la condizione necessaria per l'organizzazione della crociata, resa urgente dalla progressiva caduta delle piazzeforti cristiane in Oriente, tradizionali punti di sbarco anche per i mercanti genovesi. Nel giugno 1189 il D. era ancora a Genova, perché fu teste all'atto in cui l'arcivescovo confermò il permesso agli Spinola di fondare la chiesa gentilizia di S. Luca. Organizzata la spedizione per la riconquista di San Giovanni d'Acri, accanto al console Guido Spinola prese la croce anche il Doria. La sua assenza da Genova è testimoniata dal fatto che, nel 1189, fu il fratello Guglielmo ad occuparsi delle proprietà terriere in comune.
Il D. morì durante l'assedio di Acri (che si arrese il 12 luglio iigi); due anni dopo è ricordata la sua vedova, Anna, di cui si ignora il casato. Suoi figli furono sicuramente Andrea, Pietro (morto prima del 1215), Nicolò e, forse, Giacomo (se non è figlio di Enrico).
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