FORNARI, Simone
Nacque a Reggio di Calabria nei primi anni del sec. XVI forse da Bernardino, come argomenta L. Furnari smentendo la tradizione che lo voleva figlio di Prospero e di Tedesca Di Capua. La famiglia, di antica nobiltà, proveniva da Genova; un ramo di essa si era stabilito in Sicilia, da dove era partito il nucleo che era approdato a Reggio nel corso del Quattrocento.
Nella città nativa il F. iniziò i suoi studi insieme con il fratello maggiore, l'abate Giovanmaria, che ci appare come la sua guida spirituale e letteraria. Intrapresa la carriera religiosa nell'ambiente di monsignor Agostino Gonzaga arcivescovo di Reggio, il F. completò la formazione intellettuale presso prestigiosi centri universitari. Soggiornò prima a Padova e poi a Pisa, dove fu allievo del filosofo Simone Porzio, del "dottissimo Anton Lapini certo e chiaro interprete d'Aristotile" e ancora di Remigio Migliorato e Giovanni Strozzi, nonché del matematico e astrologo fra Giuliano da Prato. Nel passare da Padova a Pisa si fermò anche a Ferrara, dove incontrò Virginio, figlio di Ludovico Ariosto, e Gabriele, suo fratello, dai quali ricevette utili informazioni per i suoi studi sulla biografia del poeta.
Alla critica ariostesca il F. si dedicò "quasi per giuoco" fin dall'adolescenza, seguendo le orme e i suggerimenti del fratello, anch'egli autore di un commento dell'Orlando furioso, andato disperso. Il F. stesso distinse, comunque, due fasi del suo interesse per il poema dell'Ariosto, confessando di essere stato dapprima "acceso dalla piacevolezza delle sue narrazioni e dalla vaghezza del dire", e poi "in più ferma età dall'altezza de soggetti, e dalla velata moralità". Convinto che, per la nobiltà della forma e per la presenza di sensi riposti, fosse necessario "esplicar per tutta l'opera que' luoghi, che impedir parea che dovessono il lettor non dotto e giudicioso", il F. realizzò un imponente lavoro erudito ed esegetico intitolato La sposizione sopra l'Orlando furioso di messer Ludovico Ariosto, diviso in due parti (Fiorenza, L. Torrentino, 1549 e 1550), rispettivamente dedicate a Cosimo de' Medici e ad Agostino Gonzaga.
Complessa è la struttura dell'opera. Nella prima parte il F. traccia innanzitutto una "Vita" del poeta, attingendo le sue notizie dai colloqui con i familiari incontrati a Ferrara. Per questo, nonostante qualche inesattezza, egli poté fornire ragguagli e testimonianze attendibili, tanto che la sua biografia è stata nei secoli varie volte ripubblicata all'interno di edizioni e commenti del poema ariostesco, italiani e stranieri. In una successiva sezione, "Apologia brieve sopra tutto l'Orlando furioso", passa poi a confutare le censure degli aristotelici riguardo alla lingua, al titolo del poema e all'imitazione di Matteo Boiardo, dimostrando che esso ha una struttura "complicata", ma non viola l'unità d'azione, essendo incentrato su un fatto principale, come la guerra dei cristiani contro i Saraceni. Dopo aver esposto "alcune contraddittioni con le solution loro", in cui vengono affrontati problemi di critica testuale, il F. indaga ancora su certe "allusioni" che sarebbero contenute nel Furioso "sopra molte cose, o ne nostri, o ne più antichi tempi accadute". Secondo la sua convinzione era possibile trovare le fonti di numerosi episodi narrativi nell'attualità, perché Ariosto aveva voluto donare "immortal memoria a molti altri de' tempi suoi, nominandoli ne' suoi versi come se stati fossero nel tempo di Carlo Magno" (p. 65). A questo punto comincia il commento vero e proprio ai singoli canti, illustrati con un ricco corredo di "osservazioni grammaticali, storiche, geografiche e astronomiche" (Fatini, p. 20).
Il F. dispiegò tutta la sua cura erudita in questo esercizio esegetico, interpretando il testo con strumenti vari, che vanno dal recupero dell'allusione aneddotica alla lettura allegorizzante. A una ricerca della "moralità" impronta in effetti la sua indagine, e ciò porta intanto ad apprezzare la tendenza gnomica dei "principij de' canti", pochi dei quali sono quelli in cui "il poeta non si spatij dolcemente per alcun loco morale secondo che la suggetta materia richieda" (La sposizione, p. 108); ma soprattutto a individuare un fondo di significati sotto le figurazioni fantastiche della lettera. Non sfuggono ancora al critico altre questioni fondamentali, come quella della costruzione unitaria dell'opera, e gli pare "indizio" di non "picciolo ingegno, far andare concatenate le parti d'un poema sì fattamente, che l'una dall'altra dipenda" (ibid., p. 73). Attento anche alla vicenda redazionale del Furioso, tanto da dare la spiegazione delle ragioni di certe "ammende", il F. apprezza inoltre la capacità dell'Ariosto di inventare nuove parole senza cadere nell'"asprezza" di Dante. Generici sono invece i criteri della valutazione estetica: oltre alla preoccupazione di trovare la verosimiglianza nella "finzione", non si scorgono che sporadiche osservazioni sulla "ricchezza di colorito" e sulla "dolcezza" di linguaggio del poema, di cui viene ammirato il "temperamento medio".
Ma altre erano le finalità interpretative della lettura del Fornari. Convinto infatti che l'Ariosto fosse un "gran poeta cristiano" capace di agevolare con le "infinite sue moralità" "l'erto sentiero dei sacri misteri", egli cercò di trovare nella seconda parte del suo lavoro i riposti sensi allegorici del Furioso, ritenendo che quella "mirabile dottrina" contenesse precetti e insegnamenti. Ne vien fuori un Ariosto esperto delle discipline occulte, che "dintorno le finzioni morali avanza tutti gli altri", un Ariosto che avrebbe "nascosto la dottrina sotto il velame", per sottrarla agli ignoranti. Il poema così sacralizzato viene infatti offerto alla competenza di "studiosi lettori", per i quali possono valere i chiarimenti del testo che il F. fornisce. In questa ricerca di una semantica morale emergeva la familiarità del critico con l'opera di Dante e con i metodi di lettura umanistici della Commedia. Interpretando le favole come una cifrata verità, il F. si diffuse nell'ermeneutica di alcuni canti (VI-VIII, X, XV, XXXIII, XXXIV, XLI) particolarmente adatti alla sua prospettiva allegorizzante. Con questo procedimento egli trovò modo di ridurre a edificante didascalia tutte le invenzioni, come si può, ad esempio, vedere nel lunghissimo commento all'episodio di Alcina o nell'interpretazione dei due mostri (quello scolpito nella fonte di Merlino e l'altro che assale Rinaldo nella selva Ardenna).
Ignoto è l'anno esatto della morte del F., avvenuta intorno al 1560 a Serra San Bruno (oggi in provincia di Vibo Valentia), dove aveva vestito l'abito di certosino nel monastero di S. Stefano del Bosco.
Oltre a La sposizione sono state attribuite (Aliquò Lenzi - Aliquò Taverriti, p. 328) al F. un volumetto di Poesie e un'Epistola sulle furie di Orlando amante, pubblicati entrambi a Firenze nel 1550 e 1596; la "Vita" dell'Ariosto è stata pubblicata da G. Sforza, Documenti inediti per servire alla vita di L. Ariosto, Modena 1926, pp. 415-428.
Fonti e Bibl.: A.F. Doni, La seconda libraria, Venetia 1551, c. 19b; G. Ruscelli, Orlando furioso tutto ricorretto, Venetia 1556, c. 31a; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1750, III, parte I, p. 418; parte VI, p. 272; A. Zavarrone, Biblioteca calabra, Napoli 1753, p. 88; G. Arcovito, S. F., in Fata Morgana, 15 agosto 1839; L. Accattatis, S. F., in Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza 1869, pp. 36-39; D. Spanò-Bolani, Storia di Reggio Calabria, II, Napoli 1857, pp. 183 s.; L. Furnari, S. F. da Reggio primo spositore dell'Orlando furioso nel 1549, Reggio di Calabria 1897; A.M. Maccauri Marvasi, Saggio critico letterario su S. F. primo spositore dell'Orlando Furioso, Benevento 1930; A. Davoli, Chi erano i due Simone Fornari della prima metà del Cinquecento, Reggio Emilia 1931; L. Perroni-Grande, Da manoscritti e libri rari, Reggio Calabria 1935, pp. 50 ss.; Id., S. F. un commentatore dell'Orlando furioso del Cinquecento, Messina 1942; W. Binni, Storia della critica ariostesca, Lucca 1951, pp. 12, 14, 76; R. Ramat, La critica ariostesca dal sec. XVI ad oggi, Firenze 1954, ad Indicem; L. Aliquò Lenzi - F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, Reggio di Calabria 1955, I, pp. 327 s.; G. Fatini, Bibliografia della critica ariostesca (1510-1956), Firenze 1958, ad Indicem; A. Piromalli, La letteratura calabrese, Napoli 1977, p. 73.