GHINI, Simone
Figlio di Giovanni di Giovanni, di professione sarto, nacque a Firenze nel 1410 e svolse l'attività di orefice. In epoca imprecisata sposò una certa Maritana, di circa dodici anni più giovane; nel 1464-65 ebbe una figlia illegittima di nome Francesca.
Per distinguerlo dall'omonimo orefice, maggiore di tre anni e figlio di Giovanni di Simone, nonché fratello di Rinaldo, il G. viene spesso indicato con il nome convenzionale di "Simone II"; inoltre, egli è stato talvolta erroneamente identificato con il fantomatico "Simone fratello di Donato" (risulta che Donato Bardi, detto Donatello, ebbe solo una sorella) che Vasari ricorda al fianco di A. Averlino - il Filarete - nella realizzazione delle porte di S. Pietro, quindi impegnato come scultore anche a Firenze e in altre città. Riguardo al monumento funebre di papa Martino V in S. Giovanni in Laterano, l'opera più celebre tra quelle attribuite dallo storico aretino al "fratello di Donato", non è possibile attribuirlo con certezza a nessuno dei due orafi fiorentini conosciuti con il nome di Simone di Giovanni Ghini. Vasari, nella vita di Donatello riveduta e corretta nell'edizione del 1568, affermò che l'artista si sarebbe recato infatti a Roma per sovrintendere alla fusione della lastra bronzea all'epoca in cui Sigismondo di Lussemburgo veniva incoronato imperatore da papa Eugenio IV. L'esecuzione dell'opera sarebbe quindi avvenuta a Roma nel 1433, ma i registri della dogana romana attestano che il monumento arrivò a Roma il 7 apr. 1445, su una nave pontificia proveniente da Firenze (Esch - Esch, p. 209). Difficilmente, quindi, l'autore dell'opera può essere stato "Simone I", conosciuto unicamente come collaboratore del più stimato fratello Rinaldo; né può averla scolpita e fusa "Simone II", che dopo aver lasciato Firenze nel 1434-35 abitò continuativamente a Roma fino alla morte. Quest'ultimo, inoltre, non sembra essersi mai applicato ad altro che all'oreficeria, ambito in cui riscosse i più larghi consensi.
La data di nascita del G. si desume dalla dichiarazione fatta al Catasto nel 1470, in cui l'orefice affermò di avere sessant'anni e di mancare da Firenze da trentasei (Müntz, 1884). Nel 1434-35, quindi, dovette trasferirsi a Roma, dove dieci anni più tardi subentrò a Rinaldo Ghini nel favore della corte pontificia, divenendo l'orefice prediletto di Nicola V, Pio II, Paolo II e Sisto IV. Nel 1444 realizzò, infatti, lo stocco d'oro e d'argento donato da Eugenio IV la notte di Natale e saldato al G. nel febbraio dell'anno successivo. In seguito, con l'ascesa al soglio pontificio di Nicola V, il G. eclissò tutti gli altri colleghi chiamati a lavorare per la Camera apostolica. Gli vennero commissionate non solo le rose d'oro e gli stocchi donati dal papa a personaggi influenti, a città o santuari, ma anche vasellame d'argento e d'oro, gioielli e altri prodotti d'oreficeria.
Sotto il pontificato di Pio II il G. ottenne la maggior parte delle commissioni. Oltre ad aver realizzato la tiara d'oro tempestata di gemme utilizzata per l'incoronazione di papa Piccolomini, dal 1459 al 1464 ebbe infatti il monopolio delle rose d'oro e di quasi tutte le spade d'onore distribuite dal pontefice. Per molti di questi doni i mandati di pagamento della Camera apostolica forniscono spesso informazioni dettagliate. Il palazzo comunale di Siena conserva la rosa d'oro donata alla città nella quaresima del 1459, una delle pochissime rimaste a testimoniare questo prezioso segno di benevolenza pontificia e l'unica superstite tra quelle realizzate dal Ghini.
Il ramo spinoso, sostenuto da una base d'argento dorato, si biforca in tre ramoscelli minori fogliati e culmina con una rosa a corolla semplice, impreziosita da uno zaffiro: particolare, quest'ultimo, destinato alla fine del Quattrocento a essere sostituito dal balsamo e dal muschio posti in una coppetta traforata al centro del fiore, per imitarne la fragranza (Giunta di Roccagiovine).
Nel 1460 il G. eseguì la rosa d'oro destinata a Giovanni, re d'Aragona e di Navarra; nei due anni successivi, quelle donate al principe di Morea e al re di Portogallo, che la ricevette dalle mani di Gaspare Piccolomini. Nel 1463 realizzò la rosa destinata alla cattedrale di Pienza e nel 1464 quella inviata al duca di Milano. Il G. forgiò inoltre lo stocco donato all'imperatore Federico III nel 1459 e quelli consegnati nel 1460 rispettivamente al margravio Alberto, detto l'Achille di Brandeburgo, cui andò lo stesso anno anche una croce di diamanti e perle, e al duca Filippo di Borgogna. Anche Luigi XI re di Francia fu gratificato nel 1461 di una spada d'onore. Oltre all'esemplare donato al margravio di Brandeburgo e conservato a Berlino, tra gli stocchi usciti dalla bottega del G. si è conservato quello donato nel Natale 1463 al doge Cristoforo Moro, esposto nella sala delle armi di palazzo ducale a Venezia. Durante il pontificato di Pio II il G. ricevette anche pagamenti per una Testa di s. Andrea in oro e argento, eseguita nel 1463, di cui si sono perse le tracce.
Il G. realizzò poi la mitra pontificale di Paolo II e, durante il pontificato di questo, svolse, dal 1467 al 1471, la funzione di verificatore dei pesi e delle misure, incarico importante e lucrativo compensato con uno stipendio mensile di 6 fiorini.
Con la salita di Sisto IV al soglio di Pietro la fortuna del G. iniziò a declinare e le commissioni si diradarono notevolmente. Il pontefice non solo gli negò tutte le commissioni, con l'eccezione della montatura di un rubino balascio nel 1473, ma lo fece attendere a lungo per il pagamento delle forniture fatte al suo predecessore. Nella dichiarazione catastale resa al Comune di Firenze nel 1470, l'orefice affermò di essere "accechato e infermo" e di guadagnare appena di che vivere e pagare la pigione della bottega.
Il G. morì a Roma in data imprecisata.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 419, 458-461; E.M. Müntz, Les arts à la cour des papes pendant le XVe et le XVIe siècle, II-III, Paris 1879-82, ad indicem; Id., L'orfrèverie romaine de la Renaissance, in Gazette des beaux-arts, XXV (1883), pp. 414 s.; Id., Les arts à la cour des papes. Nouvelles recherches sur les pontificats de Martin V, d'Eugène IV…, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, V (1884), pp. 290-300; H.W. Janson, The sculpture of Donatello, II, Princeton 1957, pp. 232-235; C. Bulgari, Argentieri gemmari e orafi d'Italia, I, Roma 1958, pp. 517 s.; Z. Giunta di Roccagiovine, Orafi dell'Italia centrale dei secoli XIV e XV, in Atti dell'Accademia nazionale di S. Luca, n.s., VI (1962), 2, p. 4; A. Esch - D. Esch, Die Grabplatte Martins V. und andere Importstücke in den römischen Zollregistern der Frührenaissance, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XVII (1978), pp. 209-211; A. Bulgari Calissoni, Maestri argentieri gemmari e orafi di Roma, Roma 1987, p. 227; U. Franzoi, L'armeria del palazzo ducale a Venezia, Venezia 1990, p. 94.