GUIDI, Simone
Fu uno dei numerosi figli del conte Guido di Battifolle e della contessa Gherardesca figlia di Ugolino (o di Gherardo) Della Gherardesca conte di Donoratico. Sebbene portasse il nome del nonno paterno (figlio del conte Guido il Vecchio), non sembra essere stato il primogenito, ma il secondo dopo Carlo, che probabilmente ebbe tale nome in onore di Carlo d'Angiò. La sua nascita e quella di Carlo sono presumibilmente da collocare fra 1280 e 1285.
Sembrerebbe da un documento che il G. sia stato indirizzato ancora ragazzo alla carriera ecclesiastica. La testimonianza di un suo stato clericale (che peraltro rimane dubbia, poiché dalla vita del G. sembrerebbe risultare una chiara preparazione alle armi piuttosto che alla liturgia) è del 1313, quando il Comune di Firenze, grato del sostegno ricevuto da suo padre nella lotta contro l'imperatore Enrico VII, si mosse chiedendo per lettera a re Roberto di Napoli di procurare qualche dignità nel Regno di Napoli al chierico Simone figlio del conte Guido di Battifolle; non pare che a tale richiesta sia stato dato seguito.
In ogni caso, nel 1315 - dopo la morte del fratello Carlo sul campo di battaglia di Montecatini e del fratello Roberto francescano alla Verna - il G. dovette comunque assumere il ruolo militare e politico tipici di un conte della casa dei Guidi e, se era chierico, dovette rapidamente rinunciare al suo stato. Così, sposatosi con Tessa, detta Novella, figlia di Guiduccio di Bandino signore di Valbona, venne subito destinato a incarichi politici di peso. Nel 1317, infatti, re Roberto lo nominò suo vicario nella città di Prato per un anno, e nei due anni successivi il G. fu assoldato dal Comune di Firenze come condottiero di una schiera di 50 cavalieri reclutati fra i fedeli dei territori soggetti al padre - il che fa appunto dubitare su una sua precedente condizione di religioso. Poiché si era in un momento di pace, il ruolo del G. si trasformò in quello di ufficiale al servizio del Comune; suo compito principale fu quello di ispezionare castelli e terre dove il Comune teneva guarnigioni e per tale funzione gli venne assegnato come residenza fiorentina quel palazzo confiscato ai Cerchi che era stato un tempo dei conti Guidi.
Nel novembre il G. fu richiamato a Prato e gli venne dato un incarico di rettore del Comune che unificava i poteri di podestà e capitano del Popolo; inoltre ebbe dai Consigli cittadini poteri speciali per sanare le spaccature cittadine portate dalla contrapposizione tra fazioni.
Fra dicembre e gennaio promulgò uno statuto in base al quale vennero restituiti i beni agli sbanditi e si dispose che le loro mogli e i loro figli sotto i 14 anni potessero vivere indisturbati a Prato. Il provvedimento non piacque alla Parte guelfa fiorentina, ma ciò non compromise i buoni rapporti di essa col G. che anzi, nel gennaio 1320, fu nominato capitano generale della cavalleria cittadina.
Poiché il suo ufficio pratese arrivava a tutto il 1321, egli tenne probabilmente entrambi gli incarichi utilizzando come suo vicario a Prato messer Pannocchia da Volterra.
A entrambi pose termine, comunque, in anticipo, poiché nel secondo semestre del 1321 fu chiamato come podestà a Siena. In quello stesso inverno il vescovo d'Arezzo Guido Tarlati con 600 cavalieri propri e 150 tedeschi avuti in appoggio da Pisa assalì il Casentino puntando ai castelli dei conti di Battifolle. In poco tempo prese Montale e Fronzola (vicinissimo a Poppi) e pose l'assedio a Castel Focognano, sotto la signoria degli Ubertini, che resisteva. Il G. - che con la morte del padre proprio in quel periodo assumeva il ruolo di capo del casato - con l'appoggio del conte Ruggero Guidi di Dovadola chiese immediatamente il sostegno armato fiorentino.
I Consigli cittadini, però, che temevano un conflitto generalizzato, tardarono a concedere gli aiuti, così anche Castel Focognano fu preso e demolito, e in ogni caso non si volle procedere in quel momento contro Arezzo. Non solo, approfittando della morte di Guido Novello (II) Guidi conte di Raggiolo, Firenze si appropriò degli undici villaggi che facevano parte della corte di Ampinana e che erano rimasti a Guido Novello dopo che la rocca era stata ceduta alla città dallo zio Manfredi. In realtà però tali villaggi e i loro uomini erano una parte consistente dell'eredità che Guido Novello aveva lasciato per testamento al G. e al fratello Ugo che erano fratelli di sua moglie Parta. Così il G. ebbe un altro motivo di risentimento verso Firenze e di nuovo, sempre appoggiato da Ruggero di Dovadola, andò in città chiedendo che la questione dei villaggi del Mugello fosse affidata a un giudizio arbitrale. I Priori però non vollero dargli ascolto e deliberarono che nella zona fosse fondato il nuovo centro di Vicchio che assorbisse proprio gli uomini di quei villaggi. Sotto la persistente minaccia del vescovo di Arezzo, il G. nel maggio 1323 si alleò in funzione difensiva con altre famiglie signorili filoguelfe e con i guelfi della Romagna. Ma in ogni caso l'alleanza in posizione subordinata con Firenze era una scelta obbligata per il G., che quindi aderì alla lega messa in piedi contro Guido Tarlati in ottobre (dopo che questi aveva occupato anche Città di Castello) di cui fecero parte - oltre a Firenze e ai Guidi guelfi - Bologna, Siena e Perugia.
Nel frattempo una guerra locale, per ragioni prevalentemente patrimoniali, aveva coinvolto i vari rami dei Guidi e altre famiglie feudali e magnatizie in Casentino e in Romagna; a essa pose provvisoriamente termine un accordo di pace raggiunto nell'aprile 1325, pare proprio grazie a una mediazione del G., e siglato nel suo castello di Borgo alla Collina. Probabilmente proprio in questo periodo egli aveva definitivamente riunito nelle sue mani tutte le quote parti del castello di Poppi che era divenuto il centro del potere e la residenza principale dei conti di Battifolle e ne aveva ulteriormente arricchito il palazzo. Inoltre doveva aver trovato un accordo con il fratello Ugo per una spartizione dei diritti signorili - abbiamo infatti un lodo arbitrale fra i conti di Battifolle pronunciato dal fiorentino Geri Spini nel 1324 - in base alla quale a lui restava il nucleo casentinese, al fratello minore andavano i castelli in Mugello, Val di Sieve, Valdarno superiore e i centri romagnoli di Biforco e Acereta.
Nello stesso 1325, nel contesto della sua alleanza con Firenze, inviò un contingente di uomini nell'esercito fiorentino messo in campo contro Castruccio Castracani, ma non sembra che lui stesso, che teneva l'ufficio di capitano generale a Siena, abbia preso parte alla battaglia di Altopascio del 23 settembre. Anche nel 1326 il G. fu a Siena con lo stesso incarico. Con l'arrivo in città di Giovanni d'Angiò - che aveva seguito in Toscana il nipote Carlo duca di Calabria chiamato in soccorso dai Fiorentini - vi furono tentativi da parte di questo di crearsi un regime signorile personale a Siena, cercando sostegno in tal senso - senza successo - anche nel G. che egli armò solennemente cavaliere; tentativi che comunque fallirono per l'assenza di reali appoggi in città. Per la sua alleanza con Firenze il G. fornì su richiesta del Comune contingenti di uomini anche nel 1328 in difesa di Pistoia assediata dal Castracani e così anche negli anni seguenti nel corso della guerra che oppose Firenze a Lucca; non è chiaro se personalmente il G. vi prese parte, in ogni caso come alleato di Firenze fu compreso negli accordi di tregua con Giovanni di Boemia del luglio 1333.
La posizione dei conti Guidi di Battifolle (oltre al G. in particolare il fratello Ugo e suo figlio Guido) nei confronti di Firenze si era ulteriormente indebolita anche a fronte dell'indirizzo fortemente espansionistico della città. Così, quando nel 1337 il G. si rifiutò di andare a presidiare con suoi uomini la città di Pistoia - ormai stabilmente assoggettata a Firenze - a difesa di un possibile attacco di Mastino Della Scala che aveva assunto la signoria di Lucca, ciò venne a Firenze interpretato come sintomo di tradimento e di accordo con il nemico. Poiché alcune correnti della politica cittadina non aspettavano altro che pretesti, e a volte li creavano, per poter togliere castelli e territori ai signori del contado - come era accaduto pochi anni prima per i castelli valdarnesi di Ganghereto, Barbischio, Moncione, Pietravelsa tolti al giovane nipote del G., Guido - il G. dovette subito darsi da fare per riabilitarsi. Scrisse quindi alla Signoria sostenendo di non aver mai avuto accordi con Mastino Della Scala e nemmeno con i Pazzi del Valdarno; quindi inviò propri uomini a ingrossare l'esercito fiorentino; infine accettò di porsi nell'agosto 1339 in accomandigia al Comune - cioè in un rapporto di dipendenza parafeudale - per il castello di Castagno posto sul versante del Falterona. Nel 1340, inoltre, quando venne a sapere che alcune famiglie magnatizie guidate da Bardi e Frescobaldi in collegamento con Ubaldini, Pazzi di Valdarno e Tarlati di Arezzo stavano preparando un colpo di Stato, inviò in città propri uomini a sostegno del governo di Popolo e altrettanto fece fare al nipote Guido che aveva bisogno di rientrare nelle grazie di Firenze. Allo stesso modo i due conti contribuirono notevolmente con loro uomini all'esercito raccolto da Firenze per tentare di ottenere il possesso di Lucca e contrastare la medesima aspirazione di Pisa.
Il maggior servigio reso dal G. alla città - per il quale rimase poi famoso nell'aneddotica e nella storiografia fiorentina fino a tutto l'Ottocento - fu al momento in cui la popolazione si ribellò alla signoria di Gualtieri di Brienne, duca d'Atene. Questi, chiamato dai Fiorentini stessi, si era però presto rivelato un pericolo per la sua chiara ambizione a un governo personale e in più non era stato capace di ingraziarsi alcuna delle componenti politiche cittadine. Al momento della sollevazione cittadina il 26 luglio 1343 furono inviati messi a chiedere aiuti ai governi e ai signori amici e il giorno successivo il G. stesso venne in città, col nipote Guido, conducendo 400 uomini armati. Nei giorni seguenti egli collaborò quindi con il governo provvisoriamente eletto e con il vescovo nel cercare un accordo con il duca d'Atene che si era chiuso nel palazzo dei Priori. Il 1° agosto il duca si arrese rinunciando alla signoria e a ogni diritto sulla città; pretendendo però a sua garanzia di ratificare l'accordo solo una volta che fosse stato fuori del territorio fiorentino. È probabile che lo stesso G., presente alle trattative, abbia allora offerto di condurlo a Poppi. Il 6 agosto, quindi, Gualtieri di Brienne scortato dal G. con i suoi uomini, dalle truppe inviate a Firenze in aiuto da Siena e da una delegazione di principali cittadini fiorentini fu condotto a Poppi. Qui però il duca tentò di sfuggire all'impegno preso e allora il G., minacciando di farlo ricondurre in città, lo costrinse a firmare la rinuncia.
In seguito ai nuovi disordini scoppiati in città in settembre per i contrasti fra famiglie grandi e Popolo e per alcune iniziative personali, il G. tornò in città a prestare soccorso al Popolo e, terminati gli scontri, collaborò alla riforma delle magistrature comunali che portò di nuovo a un'esclusione delle famiglie magnatizie. Tali dimostrazioni di appoggio guadagnarono al G. la fiducia del nuovo governo che, una volta consolidatosi, non solo non vide più nei conti Guidi di Battifolle un ostacolo o una minaccia, ma si adoperò a restituire al casato almeno una parte di quanto era stato perso nei venti anni precedenti. Così al G. vennero restituiti i diritti sugli uomini di Ampinana in Mugello e sui castelli di Barbischio e Moncione in Valdarno e inoltre l'anno seguente gli furono fornite truppe a sufficienza per muovere sul castello di Fronzola e riprenderselo. La guerra con i Tarlati proseguì dopo tale episodio vedendo come alleati Firenze e i conti di Battifolle e dal gennaio 1345 anche il vescovo di Arezzo Buoso degli Ubertini che, a garanzia del suo impegno, cedette in consegna per dieci anni al G. i principali castelli vescovili, fra cui Civitella e Cennina.
Il G. morì nel 1348, probabilmente a Poppi, nel Casentino, colpito dalla micidiale epidemia di peste che devastò città e campagne.
Dalla prima moglie, morta presumibilmente prima del 1330, aveva avuto un figlio, Roberto, e due figlie. Quindi si era risposato con Novella di Francesco del casato degli Estensi, che visse fino al 1363, e dalla quale ebbe altre due femmine e due maschi, Francesco e Carlo.
Fonti e Bibl.: Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), pp. 150, 160, 182-184, 186; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin 1908, p. 580; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991, p. 367; III, ibid. 1991, pp. 238 s., 335, 337 s., 340, 344, 359 s., 364, 376 s., 382; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, Firenze 1879, pp. 989, 1084; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 885, 920, 922; E. Sestan, I conti Guidi e il Casentino, in Id., Italia medievale, Napoli 1968, p. 375; M. Bicchierai, Il castello di Raggiolo e i conti Guidi, Raggiolo-Montepulciano 1994, pp. 118, 121, 180; E. Repetti, Diz. geografico fisico storico della Toscana, IV, Firenze 1841, p. 568; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v.Guidi di Romagna, tav. XV.