MOSCA, Simone
– Figlio dello scalpellino Francesco di Simone, detto delle Pecore, nacque nel 1492 a San Martino a Terenzano, nei pressi di Settignano (Firenze).
Allo stato attuale delle conoscenze, non risultano notizie sulla sua formazione artistica che, stando alle informazioni di Giorgio Vasari, avvenne nella bottega di Antonio da Sangallo il Giovane, nipote di Giuliano e Antonio il Vecchio. Dopo essersi fatto «pratico nell’intagliare ... [e aver] atteso al disegno con molto frutto» (Vasari, 1568), Mosca, al seguito del maestro, ebbe agio di trasferirsi a Roma, dove giunse intorno al 1513 (Venturi, 1935). L’arrivo nell’Urbe gli consentì di affinare la sua educazione e di ampliare le conoscenze nel campo dell’ornato, «disegnando i fogliami della maniera antica et a girare gagliardo le foglie et a traforare le cose per condurle a perfezzione, togliendo dalle cose migliori il migliore» (Vasari, 1568). Scarse e decisamente frammentarie appaiono le notizie sulla sua prima attività romana, legata soprattutto all’esecuzione di fregi ornamentali e intagli di vario tipo, in particolare rilievi scolpiti nel palazzo del cardinale Alessandro Farnese e alcune armi destinate alla chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini in via Giulia. Sotto l’egida del Sangallo attese, in un tempo prossimo al 1519, a un ciclo di rilievi ornamentali per S. Giovanni dei Fiorentini e poco più tardi realizzò alcuni ornati nel pozzo di S. Pietro in Vincoli (Marchini, 1964). A lungo tempo equivocati dai critici d’arte, a partire da Vasari, gli interventi di Mosca nel pozzo, al quale avevano lavorato separatamente e in tempi diversi anche Giuliano e Antonio da Sangallo il Giovane, si limitarono, con probabilità ai fregi della trabeazione e ai capitelli delle colonne.
Ormai distintosi come uno degli ornatisti scultorei più à la page attivi in quel tempo a Roma, ottenne intorno al 1524 l’incarico della decorazione plastica della cappella Cesi in S. Maria della Pace, la prima importante opera pubblica interamente autografa all’artista. Condotta sotto la supervisione del maestro, l’opera fu eseguita come elemento ornamentale per alcune statue e rilievi figurati, la cui realizzazione, seppur prevista per lo stesso tempo, avvenne però alla metà del secolo per opera di Vincenzo de’ Rossi (Venturi, 1935).
Frutto di un dotto ed eclettico linguaggio culturale, la decorazione della cappella, pur rivelando una sorta di horror vacui nell’inserto compositivo sovraccarico di elementi ornamentali, mostra un modellato agile e sicuro, evidente, soprattutto, nella cura analitica delle rifiniture e nella perizia esecutiva dei racemi vegetali e dei mascheroni. Gli assemblages con festoni, targhe, chimere, candelabre, nastri, vasi e grottesche di vario tipo, che attestano lo studio dei rilievi antichi, si pongono in stretta sintonia con le decorazioni del tardo Rinascimento fiorentino, trovando parametri di confronto pertinenti nelle opere di maestri come Benedetto da Rovezzano e Filippino Lippi, punti di riferimento essenziali per lo sviluppo di questo genere ornamentale nel corso del Cinquecento (Bellesi, 1995).
Dopo l’esecuzione dei rilievi Cesi e di un camino in palazzo Della Valle (Bartalini, 1993), Mosca fece ritorno a Firenze, dove appare documentato a partire dal 1525 (Venturi, 1935). Secondo la biografia dedicata all’artista da Vasari «Baccio Bandinelli che faceva l’Orfeo di marmo, che fu posto nel cortile di palazzo de’ Medici fatta condurre la basa dell’opera da Benedetto da Rovezzano, fece condurre a Simone i festoni con altri intagli bellissimi che vi sono, ancor che un festone vi sia imperfetto e solamente gradinato».
Seppur importante questa citazione lascia molti dubbi sul reale tempo di lavorazione di Mosca a questa impresa in quanto l’Orfeo e la sua base, ancora conservati in palazzo Medici poi Riccardi, furono realizzati non oltre il 1519, anno nel quale Benedetto da Rovezzano partì per l’Inghilterra. Esclusa la possibilità di un ritorno in patria di quest’ultimo prima del 1536 è da ipotizzare che l’intervento di Mosca sia da fissare anch’esso allo scorcio del secondo decennio, tempo nel quale lo scultore di Rovezzano era ancora in Toscana, o, in via alternativa, che le parti dell’opera lasciate eventualmente incompiute siano state ultimate da Mosca alla metà degli anni Venti. Data l’omogeneità del linguaggio stilistico della scultura appare più ovvio ritenere, comunque, che questa sia stata realizzata dai due artisti in stretta collaborazione, come sembra attestare un’analisi dettagliata della stessa. In base a tale proposta risulta pertanto logico fissare l’intervento di Simone verso il 1519, cioè durante un breve rientro in patria dell’artista, non documentato nelle fonti antiche.
A causa della mancanza di commissioni importanti nel capoluogo toscano, dopo aver realizzato «molte opere di macigno» (Vasari, 1568), si trasferì intorno al 1527 ad Arezzo, dietro proposta dello scalpellino Pietro di Bernardino di Guido, detto Sobisso. In questa città si trattenne fino al 1534 e ottenne vari incarichi legati alla committenza privata ed ecclesiale. Dalla biografia vasariana apprendiamo che per «la casa degl’eredi di Pellegrino da Fossombrone [...] la quale casa aveva già fatta fare Messer Piero Geri, astrologo eccellente, col disegno d’Andrea Sansovino [l’artista] eseguì un camino di macigno et un acquaio di non molta spesa». Smantellate dalla loro collocazione originaria, le due opere risultano conservate attualmente l’una nel Museo statale d’arte medievale e moderna di Arezzo (Maetzke, 1987), l’altra nel Metropolitan Museum of art di New York (Raggio, 1971).
Già addossato a una parete della sala di casa Fossombroni, il camino costituisce una delle opere più rappresentative dell’attività dello scultore nonché uno degli esempi di maggiore interesse nel panorama della scultura ornamentale del suo tempo. Apprezzabile soprattutto per la proporzione armoniosa delle sue parti e per l’equilibrata distribuzioni dei brani decorativi, trova assonanze lessicali dirette soprattutto con le composizioni di Benedetto da Rovezzano, in particolare con gli ornati dell’altare di S. Stefano nella badia fiorentina e nel camino del Museo Horne a Firenze. Caratterizzata da una maggiore sobrietà compositiva rispetto alle prove romane, l’opera, nella quale spiccano rilievi con racemi floreali, ghirlande, mascheroni e oggetti di vario tipo, dette il via a un repertorio decorativo molto apprezzato nell’arte italiana contemporanea, che ritroveremo in altre opere di Mosca come i pilastrini in S. Maria della Rotonda a Spello (Bellesi, 1995). Alienato da casa Fossombroni all’inizio del Novecento e poi passato nella collezione Dick Brisbane Harris a New York, l’acquaio, o meglio lavabo, costituisce, come il camino, uno dei vertici artistici di Simone. Conciliando con estrema raffinatezza la parte architettonica con gli elementi decorativi, questo si qualifica soprattutto per l’aspetto ‘sobriamente’ solenne dell’insieme, dove tutto sembra esaltare la purezza del disegno e il nitore degli ornati, distribuiti con garbata attenzione all’interno e ai margini della struttura.
Dopo i successi conseguiti con le composizioni Fossombroni, Mosca fu impegnato verso il 1534 nell’esecuzione della cappella Guadagni nella badia aretina delle Ss. Flora e Lucilla (Andanti, 1992). Definita con pochi elementi decorativi, questa, affine stilisticamente all’altare di S. Maria al Calcinaio ad Arezzo eseguito da Bernardino Covatti, risulta in linea con le tendenze artistiche fiorentine del tempo, trovando riscontri appropriati nelle realizzazioni di Giuliano e Antonio da Sangallo il Vecchio. Durante la permanenza aretina, oltre alle opere citate, Vasari ricorda che l’artista «aiutò a fare a Piero di Sobisso, che non molto sapea, molti disegni di fabriche, di piante di case, porte, finestre et altre cose attenenti a quel mestiero. In sulla cantonata degl’Albergotti, sotto la scuola e studio del comune, è una finestra fatta col disegno di costui assai bella. Et in Pellicceria ne son due nella Casa di ser Bernardino Serragli, et in una cantonata de’ Priori è di mano del medesimo un’arme grande di macigno di Papa Clemente VII».
Grazie ad Antonio da Sangallo il Giovane, in sosta ad Arezzo per un breve periodo, Mosca si trasferì nel 1534 a Loreto, dove ottenne l’incarico di alcune realizzazioni marmoree per la cappella della Madonna nella chiesa della Santa Casa. Nel venerato santuario marchigiano, lo scultore appare documentato nei conti dei pagamenti dall’ottobre 1534 al dicembre 1536, in relazione all’esecuzione di alcuni fregi e a un «puttino di marmo facto per l’ornamento della Cappella», attualmente non identificato (Weil-Garris, 1977).
Seppur menzionato nei conti della fabbrica loretana fino allo scorcio del 1536, Mosca, in base a puntuali riscontri documentari, risulta impegnato dal 1535 nella realizzazione dei rilievi ornamentali della cappella dell’Adorazione dei magi nella cattedrale di Orvieto (Perali, 1919), ottenuti ancora una volta grazie ai suoi buoni rapporti con il maestro Sangallo. Legati a progetti dell’architetto Michele Sanmicheli approvati nel 1528 dal pontefice Clemente VII Medici, i lavori nella cappella orvietana procedettero molto lentamente e coinvolsero vari artisti e artigiani, tra i quali il rinomato Raffaello da Montelupo, autore del pannello istoriato in marmo, collocato, nel 1542, nella parte centrale sopra l’altare. Dopo aver dato prova del suo talento grazie a questa prima commissione, Simone ottenne altri importanti incarichi per la cattedrale orvietana che lo indussero addirittura a trasferirsi, con la sua famiglia, nella cittadina umbra. Dopo aver giurato con alcuni scalpellini nel 1537 la «fratellanza in Duomo» (ibid.), ottenne dal 1538 un vitalizio annuo per i lavori da svolgersi nella stessa cattedrale (Luzi, 1866), che, entro breve tempo, richiesero la collaborazione del figlio Francesco, detto il Moschino, saldato nel 1546 per i suoi interventi svolti proprio nella cappella dell’Adorazione.
Grazie alle informazioni tratte dalla biografia vasariana apprendiamo che nella distribuzione degli incarichi relativi agli ornati marmorei della cappella, spettò al padre l’esecuzione dei fregi dei pilastri, dei capitelli e del basamento e al figlio quella delle parti figurate a rilievo e a tutto tondo. Forte del successo riscosso con questo incarico, Simone ottenne, poco tempo più tardi, la commissione della cappella della Visitazione, da eseguirsi in pendant con quella appena ultimata. Progettata tra il 1546 e l’anno successivo in collaborazione con Raffaello da Montelupo, questa fu scolpita interamente dal figlio Francesco, che, autore del pannello centrale istoriato e degli elementi decorativi, la condusse a termine nel 1554.
In contemporanea con i suoi primi incarichi svolti nel duomo di Orvieto, Mosca, come appare dai referti biografici e archivistici, fu impegnato in altre commissioni cittadine più o meno importanti, in particolare nella realizzazione dei rilievi ornamentali per il pozzo di S. Patrizio, documentati tra il 1536 e il 1537 (Satolli, 1991). Poi, seppur attivo quasi stabilmente a Orvieto, fu chiamato, ancora una volta al seguito di Antonio da Sangallo il Giovane, a Perugia, dove tra il 1540 e il 1542 (Venturi, 1935) ottenne l’incarico della realizzazione per la fortezza Paolina degli «ornamenti ... onde furono con suo disegno condotte tutte le porte, finestre, camini et altre sì fatte cose, et in particolare due grandi e bellissime armi di sua Santità» (Vasari, 1568).
Nel corso del quinto decennio, al di là delle commissioni sopracitate, fu impegnato prevalentemente come architetto. Risale al 1542 la collaborazione con Raffaello da Montelupo al ripristino e al restauro degli appartamenti papali in Castel Sant’Angelo a Roma e poco più tardi risultano i suoi progetti per la realizzazione del palazzo di Tiberio Crispo, figlio naturale di papa Paolo III Farnese, a Bolsena, per il quale sovrintese i lavori di costruzione e «accomodò ... nel punto più alto di quel Castello riguardante il lago ... parte in sul vecchio, parte fondato di nuovo, una bella abitazione con una salita di scale bellissima e con molti ornamenti di pietra» (Vasari, 1568). Per il Comune di Orvieto fu impegnato, ancora, tra il 1543 e il 1546 in progetti di vario tipo, legati soprattutto alla sistemazione delle strade e alla ristrutturazione del palazzo dei Papi (Perali, 1919). Per alcune famiglie patrizie locali, tra cui iMonaldeschi della Cervara, diresse, infine, il rifacimento di importanti edifici privati, (Marchini, 1953).
L’ultima fase dell’attività di Mosca fu segnata essenzialmente da incarichi svolti tra Roma e Orvieto, dove fu nominato capo mastro dell’Opera del Duomo, in seguito al decesso di Antonio da Sangallo il Giovane. Nella capitale pontificia si recò nel 1550 soprattutto per favorire il generoGiovan Domenico Berzugli, marito di sua figlia Lauretta, affinché eseguisse alcuni lavori di ristrutturazione nella basilica di S. Pietro. Risale a questo tempo anche il consolidamento della sua amicizia con Vasari, in quel tempo attivo nell’Urbe.
Dietro interessamento di Vasari, fu prospettata a Mosca l’allogazione degli ornati marmorei per la tomba del cardinale Antonio Del Monte in S. Pietro in Montorio, non portata a buon fine a causa del parere negativo espresso da Michelangelo, che consigliò al pontefice Giulio III Ciocchi Del Monte, committente dell’opera, di «non s’impiccia(re) con intagli perché, se bene aricchiscono l’opere, confondono le figure, là dove il lavoro di quadro, quando è fatto bene, è molto più bello che l’intaglio e meglio accompagna le statue, percioché le figure non amano altri intagli attorno» (Vasari, 1568).
Dopo questa permanenza romana, fece ritorno a Orvieto, dove morì nel 1553 (Venturi, 1935).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori (Firenze 1568), a cura di P. della Pergola - L. Grassi - G. Previtali, VI, Milano 1962, pp. 187-204; L. Luzi, Il duomo di Orvieto, Firenze 1866, pp. 486-489; L. Fumi, Il duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891, pp. 148 s., 315 s., 335-337, 490; P. Perali, Orvieto, Orvieto 1919, pp. 171, 179, 181; A. Venturi, Storia dell’arte italiana. La scultura del Cinquecento. Parte I, Milano 1935, pp. 265-270; G. Marchini, S. M., in Bollettino dell’Istituto storico artistico orvietano, IX (1953), pp. 3-7; Id., Un pozzo a Roma, in Antichità viva, III (1964), 2, pp. 28-37; O. Raggio, Outstanding recent accession: S. M., wall fountain, Fossombroni palace, in The Metropolitan museum of art bullettin, n.s., XXX (1971), 2, pp. 94 s.; K. Weil-Garris, The Santa Casa di Loreto. Problems in Cinquecento scultpture, New York 1977, I, pp. 79-89; II, doc. nn. 769 s., 782-784, 799, 817, 841 s.; A.M. Maetzke in Il Museo statale d’arte medievale e moderna in Arezzo, Firenze 1987, pp. 31 s.; A. Andanti, Un’opera d’arte che si riteneva perduta. L’altare di S. M. nella badia di Arezzo, in Bollettino d’informazione. Brigata aretina degli amici dei monumenti di Arezzo, XXV (1988), 46, pp. 3-11; A. Satolli, Il pozzo della rocca di Orvieto volgarmente detto di S. Patrizio, in IV Mostra mercato dell’antiquariato (Orvieto), Bolsena 1991, pp. 23-25; A. Andanti, Sulle opere di S. M. in Arezzo, in Studi di storia dell’arte sul Medioevo e il Rinascimento nel centenario della nascita di Mario Salmi. Atti del Convegno internazionale, Arezzo-Firenze… 1989, II, Firenze 1992, pp. 801-815; R. Bartalini, Su S. M., Jean Mone e la tomba di Ferry Carondelet, in Prospettiva, LXXI (1993), pp. 55- 57; S. Bellesi, S. M., scultore, ornatista e architetto, in Antichità viva, XXXIV (1995), 1-2, pp. 22-28; S. Bule, in The dictionary of art, XXII, New York 1996, p. 166; Repertorio della scultura fiorentina del Cinquecento, a cura di G. Pratesi, Torino 2003, I, pp. 58-59; III, figg. 615-617; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, 1931, p. 176.