BELPRAT, Simonetto (Simonotto)
Appartenente ad una famiglia di mercanti originaria del Regno di Valencia, nacque nel 1433 o nei primi giorni del 1434. Egli dovette passare nel Regno di Napoli già al tempo di Alfonso V d'aragona dal quale, secondo notizie dell'Aldimari non altrimenti confermate, sarebbe stato preposto alla fabbrica del Castel Nuovo.
È certo che il B., che nelle fonti viene qualificato come milite e consigliere regio, acquistò un posto di rilievo alla corte napoletana solo dopo la morte di Alfonso il Magnanimo. Si sa infatti che re Ferdinando I, bisognoso di denaro per sostenere la guerra contro Giovanni d'Angiò, nel 1460 lo mandò come commissario della tesoreria reale a Venezia per impegnare presso la banca dei Partini la sua corona. A causa di precedenti debiti non saldati da Ferdinando con questa banca, il B. incorse in non poche difficoltà, che gli impedirono di realizzare l'operazione. Trasferitosi a Milano, riuscì a concludere, il 30 sett. 1460, per intervento del duca Francesco Sforza, un contratto di pegno con il banchiere fiorentino Matteo Gondi.
Nel 1462 fu nominato commissario reale alle allumiere di Lipari, e, con privilegio reale del 1466, fu esentato, come gli altri Liparesi, da ogni dazio doganale, cosa a lui tanto più giovevole in quanto egli possedeva, a quel che pare, alcune navi (nel 1467 le pose a disposizione del re). Quale esperto di traffici marittimi il B. fu nominato nel 1471 tesoriere dell'armata di mare, carica che manteneva ancora nel 1485, quando era già da tre anni ambasciatore napoletano a Milano.
Nell'estate del 1478 Ferdinando I affidò al B. un compito assai delicato: lo mandò, con una piccola flotta, come suo commissario e ambasciatore a Genova, per sostenere la rivolta genovese contro il dominio sforzesco, al quale la Repubblica era assoggettata fin dal 1464.
L'intervento di Ferdinando nella questione genovese nascondeva il proposito di indebolire la posizione del potente ministro ducale Cicco Simonetta, non troppo gradita al sospettoso re di Napoli, che la riteneva alquanto minacciosa nei confronti del giovane duca di Milano, Gian Galeazzo Sforza, ancora sotto tutela della madre Bona di Savoia. L'interesse del re di Napoli per le sorti del giovane duca si spiegava col fidanzamento di questo con sua nipote, Isabella d'Aragona. Per assicurarsi da ogni possibile pericolo, Ferdinando si accordò anche con gli zii di Gian Galeazzo, Sforza Maria e Ludovico il Moro, che, in seguito ad un loro tentativo di rivolta contro il Simonetta, erano stati banditi dal ducato di Milano.
La rivolta genovese risultò vittoriosa e il B., che nel frattempo aveva ricondotto, con una spedizione di tre galere, la ribelle Savona sotto il dominio genovese, designò al comando delle truppe genovesi Roberto Sanseverino, già capitano degli Sforza ribelli al Simonetta. Il Sanseverino il 9 ag. 1478 sconfisse l'esercito milanese inviato a riconquistare Genova. Il B. era ancora a Genova, quando, nel novembre dello stesso anno, i violenti contrasti delle fazioni interne genovesi determinarono un nuovo rovesciamento del governo, che però, dichiarandosi anch'esso subito contro i Milanesi, ebbe l'approvazione del Belprat.
Nell'agosto del 1480, quando giunse a Napoli l'allarmante notizia dell'assedio della flotta turca a Otranto, il B. fu mandato in tutta fretta in Sardegna, per condurre a Napoli le navi del giovane conte di Bosa, Bernardo Villamari, che dovevano riunirsi alla flotta messa insieme per combattere i Turchi.
Dal 1482 in poi il B. ricoprì con qualche interruzione le mansioni di ambasciatore napoletano a Milano, dove nel 1480 Ludovico il Moro aveva assunto la reggenza per il nipote Gian Galeazzo. Nel corso dei dieci anni circa, in cui egli ricoprì tale carica, si trovò in una situazione difficile per via della tensione crescente tra Napoli e Milano, che doveva diventare rottura con la calata di Carlo VIII.
La rivolta contro Ferdinando I dei baroni napoletani, che avevano trovato pronto ed efficace appoggio alla corte pontificia, non ebbe però alcun sostegno da parte di Ludovico il Moro, ed è lecito supporre che a tale risultato non fosse estranea l'azione diplomatica del Belprat. Si sa comunque che, una volta conclusa la pace tra Ferdinando I e Innocenzo VIII l'11 ag. 1486, il B. fu incaricato, nell'ottobre dello stesso anno, di consegnare a Ludovico il Moro, in riconoscimento dei meriti acquisiti nelle trattative, le insegne dell'ordine dell'Arminio, istituito da Ferdinando. Sempre in connessione con la rivolta dei baroni, egli ricevette l'ordine, nello stesso anno, di confiscare i beni posseduti fuori dal Regno da Francesco Coppola, uno dei maggiori esponenti della congiura.
Nel 1487 toccò al B. l'ingrato compito di trattare con il Moro i capitoli nuziali per il matrimonio tra Isabella d'Aragona e il giovane duca di Milano Gian Galeazzo Sforza. Sulle modalità del versamento della dote di Isabella, stabilita in 100.000 ducati, sorsero infatti assai presto gravi contrasti. Mentre Ludovico il Moro chiedeva la consegna della somma in una sola volta, Ferdinando voleva versarla invece in due rate di cinquantamila ducati l'una. Il B. riuscì a raggiungere un compromesso, in base al quale Ferdinando s'impegnò a versare ottantamila ducati all'atto del matrimonio e gli altri ventimila qualche anno dopo. Di fatto li consegnò al duca di Milano lo stesso B. il 23 sett. 1490.
Concluso l'accordo, il B. accompagnò a Napoli gli ambasciatori milanesi che dovevano condurre a Milano la giovane sposa e, dopo la stipula dei patti nuziali, avvenuta il 22 dic. 1488, presenziò a Milano alla loro ratifica da parte di Gian Galeazzo Sforza il 5 febbr. 1489.
Durante il soggiorno a Milano il B. tornò ad occuparsi a più riprese della questione genovese. Nel 1483 Ferdinando I lo incaricò di trattare un accordo con Genova, forse per assicurarsi l'amicizia del nuovo doge, il cardinale Paolo Fregoso, giunto al potere dopo una congiura contro Battista Fregoso, suo nipote. Quando poi, nel 1488, il malcontento contro il governo del cardinale sfociò in una sommossa popolare e quindi nell'instaurazione di un governo della fazione avversaria sotto il doge Agostino Adorno, il B. comandò la piccola flotta napoletana accorsa a Genova per controllare da vicino gli sviluppi della situazione politica e impedire che il nuovo governo affidasse la città alla tutela francese. Sotto la doppia pressione del duca di Milano e del re di Napoli, i nuovi signori decisero di sottomettersi al dominio sforzesco e il B., al fianco di Ludovico il Moro, presenziò il 2 nov. 1488 alla solenne cerimonia, nel corso della quale gli ambasciatori genovesi consegnarono la loro città allo Sforza. Ancora una volta nell'ottobre del 1491 fu mandato a Genova, per comporre certi contrasti sorti tra la città e il re Ferdinando.
Durante il soggiorno a Milano Ferdinando nominò il B. governatore e doganiere di Brindisi e, il 10 ott. 1483, castellano del castello d'Oria in Terra d'Otranto e capitano di tutto il distretto, finché ne avesse riscosso la somma di quattromilacinquecento ducati dati in prestito al sovrano.
Il B., che negli ultimi tempi, a quanto pare, aveva perduto la fiducia del re, morì a Milano il 17 genn. 1492. Ebbe sontuosissimi funerali che, secondo quanto riferisce l'ambasciatore ferrarese Giacomo Trotti, costarono "presso cinquecento ducati" e furono illuminati da "tante torzie che pareva che Milano brusasse".
Lasciò i suoi beni - le terre di Campodigiove e di Canzano in Abruzzo - al figlio Vincenzo, al quale furono confermate il 29 luglio 1494.
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