PAPPALETTERE, Simplicio
(al secolo Giuseppe). – Nacque a Barletta il 7 febbraio 1815, secondogenito di Ettore e di Aurora Palmieri.
Di famiglia illustre, fu avviato agli studi presso l’abazia di Montecassino, dove maturò la sua vocazione religiosa ed effettuò la professione solenne il 10 febbraio 1836, entrando nell’Ordine dei benedettini con il nome di Simplicio. Diventato sacerdote, insegnò filosofia in una comunità che educava alla libertà degli studi e della riflessione critica, legandosi con profonda amicizia allo studente Silvio Spaventa e al maestro Luigi Tosti, con i quali scrisse una lettera anonima al re di Napoli per richiedere la concessione della costituzione di Cadice. Nel 1844 prese parte alla preparazione del periodico L’Ateneo italiano, che Tosti aveva pensato di avviare con prestigiosi patrioti cattolici come Vincenzo Gioberti, Silvio Pellico, Alessandro Manzoni, Cesare Cantù e Antonio Rosmini.
Mentre l’abbazia di Montecassino diventava oggetto di maggiore sorveglianza da parte della polizia borbonica, nella Dieta della congregazione cassinese del 1846, Pappalettere fu nominato priore accanto all’abate Giuseppe Frisari. Dopo l’elezione di Pio IX (1846), collaborò ancora con Tosti per il volume d’intonazione giobertiana La Lega Lombarda, pubblicato nel marzo 1848. Nel dicembre 1849, infine, fu arrestato dalla polizia borbonica e detenuto per due mesi prima che l’indignazione dell’Ordine benedettino e la presenza di Pio IX nel Regno favorissero la sua liberazione. Poco dopo, per timore di ulteriori restrizioni di libertà, si recò a Roma; nel 1852 fu nominato abate cancelliere della congregazione, risiedendo a Subiaco.
Nel 1853 subentrò a Mariano Falcinelli (in seguito vescovo e cardinale) come abate di S. Paolo fuori le mura a Roma, dove contrastò la riforma dell’Ordine proposta da Pietro Casaretto, accrebbe il numero dei religiosi e protesse lo studio dei novizi. Si occupò della sistemazione del palazzo di San Callisto e della solenne consacrazione della nuova basilica di S. Paolo, il 10 dicembre 1854. Nei suoi rapporti con il mondo ecclesiastico romano e con l’aristocrazia europea, mise in luce una vivace intelligenza e un tratto signorile frutto della sua posizione sociale e della colta formazione. Dal 1856 fu ascritto tra i consultori della Sacra congregazione dell’Indice.
Nel 1858 subentrò a Michelangelo Celesia come abate ordinario di Montecassino e ‘visitatore della Napolitana Provincia’, affiancato come priore da Carlo Maria de Vera. Ben accolto dalla comunità cassinese, Pappalettere si trovò presto impegnato nella difesa dell’abazia, del clero e della popolazione a essa legati nei conflitti e nei mutamenti che accompagnarono la fine del Regno delle Due Sicilie, nel 1860. Costituitosi il Regno d’Italia si adoperò per sottrarre l’abazia ai decreti Mancini, incontrando anche Luigi Farini e Costantino Nigra; con quest’ultimo fu in contatto per un tentativo conciliatorista che coinvolse Tosti tra il marzo e l’aprile 1861. Nel disorientamento sul comportamento da tenere di fronte alle istituzioni italiane, come aveva permesso in passato le messe per la morte del re Ferdinando II, consentì alla richiesta di effettuare il Te Deum e le preghiere Pro Regem per i Savoia, in linea con l’attitudine delle maggiori chiese del meridione. Convincimenti radicati e intenti di protezione dell’abazia lo spinsero a inviare, il 23 aprile 1862, una lettera a Vittorio Emanuele II con gli omaggi «della religiosa famiglia Cassinese», desiderando che il re si recasse a Montecassino, luogo «che raccoglie tante glorie, e fecondò tante italiane speranze» (Leccisotti, 1975, p. 229). La pubblicazione della lettera nel giugno seguente su La Nazione di Firenze suscitò gravi critiche nel mondo cattolico e nello stesso ambito benedettino, mentre la monarchia gli fu riconoscente: Pappalettere affermò il carattere privato della sua missiva e si mostrò pronto a dimettersi.
La sua conosciuta posizione di conciliatorista fece dell’abate una figura adatta a tentativi di mediazione nelle vertenze tra Stato e Chiesa in Italia. In tale quadro si inserì anche un suo viaggio a Milano, dove incontrò Manzoni, e a Torino nell’aprile 1863 per l’ennesima difesa di Montecassino e del clero napoletano presso l’amico Spaventa e il ministro Giuseppe Pisanelli. Con l’occasione operò per favorire il ritorno a Fermo del cardinale Filippo De Angelis, esiliato a Torino; questi, tuttavia, sospettò che l’interessamento fosse un modo per ingraziarsi la Segretaria di Stato vaticana che diffidava delle effettive credenziali che egli vantava. Pappalettere fu convocato a Roma e ricevuto in udienza da Pio IX il 29 aprile; tra il maggio e il giugno 1863, infine, concordò con il cardinale segretario di Stato Giacomo Antonelli le proprie dimissioni da abate di Montecassino. Obbedendo al pontefice, Pappalettere restò a Roma, dove rafforzò i suoi legami con gli ambienti del transigentismo cattolico che facevano capo ai cardinali Gustav Adolf Hohenlohe- Schillingsfürst e Camillo Di Pietro, riprese il suo impegno come consultore dell’Indice e mantenne rapporti epistolari con esponenti del governo italiano (nel 1865 incontrò Saverio Francesco Vegezzi e Giovanni Lanza). Ritenendo che la Chiesa avesse il compito di fecondare il mutamento sociale in corso, nel 1866 cercò una maggiore libertà d’azione, premendo per tornare a Montecassino; pur tranquillizzato sulla fiducia di Pio IX, tuttavia, dovette attendere il 1869 per far ritorno al suo monastero. Qui riprese le fila dei contatti con la destra liberale: in maggio incontrò Raffaele De Cesare e Antonio Starabba Di Rudinì, allora prefetto di Napoli.
Nel 1870 Pappalettere informò il governo italiano sull’andamento del Concilio; la presa di Porta Pia e l’insediamento delle istituzioni italiane a Roma rilanciarono il suo ruolo come tramite tra la Curia romana e il governo nazionale o come interlocutore di ambienti prussiani e inglesi. Scriveva sulla conciliazione fra la Chiesa e la nuova Italia utilizzando gli pseudonimi di «fra Giusto» e «fra Paolo», ma fu anche «informatore e consigliere fido e prezioso» per gli uomini della Destra (De Cesare, 1907, p. 133); conosciuto Emilio Visconti Venosta lo assicurò essere Gioacchino Pecci il candidato ideale per il conclave che si annunciava prossimo. Legatosi Pappalettere a Giuseppe Massari, nell’autunno 1874 il ministro Spaventa propose al governo Minghetti la sua nomina a gran priore della basilica palatina di S. Nicola di Bari, autorità morale ed economica del territorio. Fin dall’inizio del 1875 l’abate sollecitò il processo che doveva condurre la nomina regia all’approvazione del pontefice: vi si opposero ambienti del locale clero capitolare legati a Giovanni Diana (prima esponente dell’amministrazione borbonica e poi consigliere comunale e deputato per la Sinistra liberale) e coloro che in Vaticano accusavano Pappalettere di liberalismo. Il 3 ottobre 1876, infine, ebbe l’approvazione attesa; impegnato a Roma in margine alla nomina di alcuni vescovi, soltanto all’inizio di maggio del 1877 poté giungere a Bari. Da lì inviò subito a Pio IX gli omaggi per il suo giubileo, pregando che non se ne facesse cenno nei giornali a causa dei già difficili rapporti con le autorità civili. Più tardi avrebbe scritto a Massari: «Il solo pensiero che la mia persona avesse potuto dare a Bari una direzione alla opinione liberale e moderata, mi onora e non credo che io abbia tradito quel pensiero» (Roma, Museo centrale del Risorgimento, 816/5).
Pappalettere lavorò per dare decoro al Capitolo della basilica e contrastare il degrado morale del clero cittadino, incontrando presto l’ostilità del vescovo nonostante gli auspici vaticani. Appoggiò il movimento per un superamento del non expedit presso Leone XIII; nel 1880 trattò con successo con il ministro di Grazia e giustizia e dei culti Tommaso Villa la nomina di Alfonso Capecelatro, suo vecchio amico, a vescovo di Capua.
Morì a Bari l’8 maggio del 1883.
Fonti e Bibl.: Documentazione sull’opera di Pappalettere si trova presso l’Archivio storico dell’Abbazia di Montecassino, l’Archivio storico di S. Paolo fuori le mura a Roma, l’Archivio della Basilica di S. Nicola a Bari e, a Roma, presso l’Archivio centrale dello Stato (Casa civile di S.M. il re e ministero della Real Casa, Chiese e Cappelle palatine). Altri carteggi e documenti sono conservati nell’Archivio segreto Vaticano (Segreteria di Stato; Spoglio di Pio IX), presso l’Archivio della Congregazione della Dottrina della fede e presso l’Archivio storico della Segreteria di Stato della Santa Sede (Rapporti con gli Stati). Carteggi interessanti con interlocutori politici e personalità del Risorgimento italiano si possono trovare anche presso il Museo centrale del Risorgimento di Roma.
Oltre ai molti necrologi, nell’Ordine e nella stampa nazionale, si segnala la conferenza celebrativa pubblicata in R. De Cesare, Don S. P., in Rassegna. Pugliese di scienze, lettere ed arti, XXIII (1907), 5-8, pp. 129-34. Nell’Ordine benedettino la figura di Pappalettere fu oggetto degli studi di Tommaso Leccisotti, tra i quali si segnalano: A proposito di un autografo manzoniano, in Archivio Storico Pugliese, XIV (1961), 1-2, pp. 108-12; Uno dei tentativi di conciliazione del 1861. Con documenti inediti, in Archivio storico per le province napoletane, LXXXI (1963), pp. 419-456; Don S. P. e la restaurazione monastica del secolo XIX, in Benedectina, XIX (1972), pp. 108-21; Pio IX e il ‘caso’ dell’Abbate P. (1860-1863), in Pio IX, IV (1975), pp. 204-279. Cfr. da ultimo G. De Angelis-Curtis, Don S. P. e le dimissioni da abate, in Studi Cassinati, XIII (2013), 1-2, pp. 96-103. Per l’opera di Pappalettere nella storia cassinese si rinvia a M. Dell’Omo, Montecassino. Un’abbazia nella storia, Cassino 1999 e S. Trinchese, Su alcuni abati di Montecassino tra Risorgimento e Unità, in Lo Stato in periferia. Elites, istituzioni e poteri locali nel Lazio meridionale tra Ottocento e Novecento, a cura di S. Casmirri, Cassino 2003.