SIMULAZIONE
Diritto. - Consiste nella conclusione di un negozio giuridico con l'intesa di tutte le parti che esso non debba avere effetto alcuno (simulazione assoluta) o debba averlo diverso da quello che altrimenti avrebbe (simulazione relativa); quest'ultima si presenta sotto diverse forme, secondo che abbia per oggetto la natura del negozio, i suoi soggetti, un elemento del suo contenuto. Caratterizzano il negozio simulato questi essenziali segni distintivi: apparenza diversa dalla realtà, riconoscibilità (di solito in seguito a previa intesa) del suo carattere simulato da parte di tutti coloro che concorrono a compierlo, scopo d'inganno. Ciò tenendo presente, si comprende come non siano suscettibili di simulazione i negozî unilaterali non ricettizî, mentre risulta agevole distinguere dal negozio simulato la riserva mentale, lo scherzo, i negozî fiduciarî, quelli indiretti, quelli dicis causa, gli atti in frode alla legge e quelli in frode ai creditori, i quali tutti presentano con esso taluni punti di contatto.
Importa ricercare quale effetto spieghi la simulazione sulla validità rispettiva del negozio che si simula e di quello che si nasconde: indagine fondamentale per la risoluzione dei conflitti inevitabili tra coloro a cui interessa che il negozio valga giuridicamente cosi come appare e coloro che vogliono invece ricercare, al di là della veste esteriore, se o come il negozio realmente esista.
Il diritto romano classico non pare aver dato al problema una soluzione unitaria. Invero, la nullità, asserita in molti testi, di un negozio presumibilmente simulato dipendeva soltanto dalla mancanza di un elemento essenziale del negozio dissimulato. La simulazione veniva colpita, quando i simulanti si fossero valsi del sistema di attestare per iscritto un negozio diverso da quello anteriormente concluso, in quanto i comuni principî romani in materia di documenti permettevano ai giuristi di preferire senz'altro, indipendentemente da ogni regola sulla simulazione, il negozio stipulato alla sua falsa redazione scritta; questo soltanto è probabilmente il significato della famosa massima plus valere quod agitur, quam quod simulate concipitur. La volontà vera sembra aver avuto per i giuristi classici una relativa importanza nella disciplina della venditio donationis causa. Quando le suaccennate condizioni non si verificassero, il negozio simulato era verosimilmente valido; ma è lecito supporre che i diritti dei terzi venissero tuttavia salvaguardati attraverso l'equa valutazione delle circostanze di fatto, e sotto il profilo della frode più che sotto quello della simulazione. Nell'epoca giustinianea la nullità del negozio simulato fu, come rivelano alcune interpolazioni, più decisamente affermata; ma non sempre risulta avvertita la differenza tra la nullità per simulazione e quella per frode alla legge o per violazione di diritti di terzi.
La creazione e l'elaborazione della dottrina del negozio simulato è opera degli scrittori italiani del diritto comune, i quali primi scorsero in detto negozio la mancanza di consenso come causa di nullità (ciò chiaramente sintetizza Baldo, là dove dice che il negozio simulato è sicut corpus sine spiritu, quia consensus est remotus). Il fine fraudolento, che informa di solito la simulazione, oltre che favorire talvolta la confusione con gli atti in frode, determinò la partizione in simulatio bona e simulatio mala; questa, secondo l'Ancarano e altri, non si poteva allegare dai contraenti quod allegatio continet inhonestam professionem. Ma già il Socino si liberava da questi riflessi morali, per cogliere l'essenza dell'azione di simulazione, basata non sulla turpitudo dei contraenti, bensì sul difetto di consenso. Da questa dottrina, il cui sviluppo continuò fino al sec. XVIII, prendono le mosse le soluzioni moderne di quasi tutti i problemi sostanziali o processuali che la simulazione ingenera.
Il codice civile italiano manca, come il codice francese, di una norma specifica sulla simulazione, quale si ritrova in altri codici moderni e nel progetto italo-francese delle obbligazioni. Ciò è conseguenza del fatto che la dottrina francese, ispiratrice dei due codici, aveva elaborato la teoria delle contre-lettres (controdichiarazioni: posteriori riconoscimenti compiuti dalle parti stesse della simulazione di un negozio), ma in modo impreciso aveva studiato la simulazione vera e propria. Tuttavia la dottrina e la giurisprudenza italiane non hanno trovato difficoltà a dedurre dai principî generali del diritto vigente la regola della nullità del negozio simulato e della validità di quello dissimulato, dove, s'intende, questo sia lecito, e purché sia rivestito della forma che l'ordinamento giuridico prescrive; ciò in sostanza è ormai pacifico. Si controverte invece sulla natura giuridica della simulazione e quindi sui motivi che giustificano la soluzione suddetta. La corrente dottrinale più diffusa e la giurisprudenza concorde scorgono nel negozio simulato un caso di quella divergenza fra dichiarazione e volontà che è stato oggetto di lungo dibattito, non ancora sopito; secondo i principî di questa dottrina il negozio apparente sarebbe nullo per difetto di volizione, mentre avrebbe efficacia quello larvato per il prevalere della volontà sulla manifestazione divergente. A questa dottrina non sono mancate obiezioni che si possono ritenere fondate. Sembra preferibile affermare che la simulazione crea un contrasto tra il significato ordinario delle parole pronunziate o degli atti compiuti dalle parti e quello che esse hanno inteso dar loro, tra la lettera della dichiarazione e il suo spirito: la questione sembra quindi ridursi a una questione d'interpretazione (G. Segrè). Affine a questa è la concezione che reputa derivare l'inefficacia del negozio simulato dal neutralizzarsi in esso di dichiarazioni diverse, con che parimenti si esclude ogni divergenza tra dichiarazione e volontà (I. Kohler, G. Messina).
Il negozio simulato è nullo ipso iure, onde nessuna azione si richiede, perché la nullità venga dichiarata. Tuttavia, a chi voglia far accertare giudizialmente la reale situazione giuridica, il diritto concede l'azione di nullità per simulazione, la quale può essere intentata da tutti coloro (parti o terzi), che vi abbiano un interesse attuale (art. 36 cod. proc. civ.).
Gli effetti della nullità del negozio simulato, in contrasto col principio generale nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse haberet, sono circoscritti dall'art. 1319 cod. civ. alle parti contraenti e ai loro eredi a meno che la simulazione non sia accertata in una controdichiarazione per atto pubblico.
La lettera di questo articolo rende inopponibile la simulazione a tutti indistintamente gli estranei al negozio; ma dalla protezione si sogliono escludere i terzi di mala fede, i quali, per la conoscenza della simulazione, vengono parificati alle parti. È inoltre controverso se debbano essere tutelati i creditori chirografarî del finto titolare: la dottrina prevalente lo nega, la giurisprudenza è incerta.
Bibl.: Per il diritto romano: J. Partsch, Die Lehre vom Scheingeschäfte im römischen Recht, in Zeitschr. d. Sav. St. f. Rechtsg. (rom. Abt.), XLII (1921), p. 227 segg.; id., Aus nachgelassenen und kleineren verstreuten Schriften, Berlino 1931, p. 122 segg.; G. Longo, La simulazione nei negozi giuridici, in Studi in onore di S. Riccobono, III, Palermo 1933, p. 113 segg.; E. Betti, Consapevole divergenza della determinazione causale, in Bull. ist. dir. rom., 1934, p. 299 segg.; id., Diritto romano, parte generale, Padova 1935, p. 197 segg. Per il diritto moderno: F. Ferrara, La simulazione nei negozi giuridici, Acireale 1900, 5ª ed., Roma 1922; G. Segrè, L'ipoteca su cosa altrui, in Temi, 1906, p. 721; G. Messina, La simulazione assoluta, in Riv. dir. comm., V (1907), i, pp. 393 segg., 500 segg.; VI (1908), i, p. 10 segg.; F. Pestalozza, in Enciclopedia giuridica italiana, s. v., XV, parte 2ª; G. Segrè, In materia di simulazione nei negozî giuridici, in Scritti giuridici, I, Cortona 1930, p. 422 segg.; G. Gorla, Sull'efficacia del negozio simulato nei conflitti fra terzi, in Foro lomb., 1932, p. 692; G. Stolfi, Simulazione e conflitti fra terzi acquirenti, in Riv. dir. civ., 1935, p. 105.
Simulazione di reato.
Il delitto di simulazione di reato (art. 367 cod. pen.) consiste nel fatto di chi con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'autorità giudiziaria o a un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo. Ragione dell'incriminazione è l'interesse pubblico che l'opera della giustizia non sia traviata da denunce false o aberranti; lo stesso interesse che è a fondamento della previsione del delitto di calunnia, ma, mentre in questo si contiene anche l'incolpazione dell'autore del reato, nella simulazione tale incolpazione manca.
La simulazione di reato non è preveduta in quelle legislazioni nelle quali la calunnia è considerata come un delitto contro l'onore (cod. greco) o contro la persona (codici francese, belga, parmense), perché in tali legislazioni non apparisce punibile il fatto di simulare un reato senza ascriverlo ad alcuno, posto che l'addebitarlo a un innocente costituisce solo la privazione della libertà e dell'onore. Il Carrara osserva che anche nella dottrina si rilevano forti dissensi sull'incriminabilità della simulazione di reato, ritenendo alcuni scrittori applicabili le disposizioni della falsa testimonianza al simulatore di delitto comparso dinnanzi al giudice per falsa denuncia. Secondo la legislazione italiana la materialità di questo reato può assumere due forme che si sogliono identificare nella simulazione diretta o verbale e nella simulazione indiretta o reale. La prima si compie mediante denuncia, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, all'autorità giudiziaria o ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne; la seconda nel fare apparire come traccia di un reato quello che non è tale. Elementi comuni dell'una e dell'altra ipotesi sono che il reato non esista e che la simulazione abbia un contenuto tale da rendere possibile l'inizio di un procedimento penale per accertare il reato, altrimenti verrebbe a mancare l'estremo essenziale che, come abbiamo visto, giustifica l'incriminazione. L'impossibilità del procedimento può dipendere non solo da evidente inconsistenza negli elementi di fatto esposti, ma anche da ostacolo di diritto (esempio: la denuncia di un reato punibile solo a querela di parte senza la querela relativa).
L'imputabilità è solo a titolo di dolo e la pena è della reclusione da uno a tre anni. L'art. 370 stabilisce che tale pena è diminuita se la simulazione concerne un fatto preveduto dalla legge come contravvenzione.
Bibl.: F. Carrara, Programma del corso di dir. crimin., 1ª ed., Lucca 1867-1870; F. Innamorati, Dei delitti contro l'amministrazione della giustizia, Roma 1885, p. 33; E. Pessina, Elementi di diritto penale, III, Napoli 1885, p. 235; G. B. Impallomeni, Il codice penale italiano illustrato, II, Firenze 1890, p. 246; B. Alimena, Simulazione di reato, in Digesto italiano, Torino 1895-1902, XXI, parte 3ª, sez. 1ª, p. 451 segg.; Enciclopedia giuridica italiana, XV, ii, sez. 2ª, Milano 1925, p. 873; Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, ii, Roma 1929, p. 168; C. Saltelli-E. Romano di Falco, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, II, i, ivi 1931, p. 374 segg.; G. Maggiore, Principii di diritto penale, II, parte speciale, Bologna 1934, p. 149; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, V, Torino 1935, p. 634.