sincope
Sincope (dal gr. synkopḗ, lett. «atto del tagliuzzare») in ➔ fonetica storica è il fenomeno che consiste nella scomparsa di un suono o di una ➔ sillaba all’interno di una parola (per la caduta in posizione finale di parola si parla di apocope). Tale processo è un effetto di ➔ semplificazione che tende a una struttura sillabica elementare e semplice di tipo CV (consonante + vocale, come pa.ta.ta). Ciò si realizza sia attraverso la caduta di vocali, di consonanti (in questo caso il processo si definisce ectlipsi, dal gr. ékthlipsis) e di sillabe, sia attraverso l’inserzione (processo inverso rispetto alla sincope) di consonanti.
I segmenti più sensibili al fenomeno della sincope sono le ➔ vocali e le sillabe atone. Ad es., ha origine molto antica la sincope della vocale postonica (la vocale successiva a una vocale accentata; ➔ post-tonica, posizione) fra un’occlusiva e una liquida (o una nasale), o fra queste e un’occlusiva, oppure fra due nasali: così dal lat. domĭna si passa a domna con sincope della i (e successivo passaggio a donna in italiano). Tali processi sono attestati fittamente sia nelle iscrizioni dal I secolo d.C. sia nel latino arcaico (Tagliavini 1949: 242 nella Lex agraria del 111 a.C.): si veda ocŭlus > oclu > occhio; vetŭlus che diventa dapprima vetlus, poi veclus, per diventare in italiano vecchio, in romeno vechiu; calĭdus > caldus. Quintiliano riferisce che Augusto considerava la pronuncia calĭdus non sincopata come una pedanteria (Tagliavini 1949: 242).
Anche la vocale atona tra due accenti (vocale che segue l’accento secondario e precede quello primario) risulta essere debole e destinata, nella maggior parte dei casi, a sparire (a esclusione della vocale /a/); bon(ĭ)tate(m) diviene in italiano bontà e cer(e)bellu(m) diviene cervello con caduta rispettivamente di /i/ ed /e/.
Il fenomeno della sincope non è avvenuto in tutto il territorio latino nello stesso periodo. Ne è prova il fatto che le lingue romanze non sempre concordano negli esiti di alcune parole: mentre in una lingua si giunge a una forma proveniente da una base con la vocale conservata, in un’altra invece la base risulta essere già con la vocale sincopata.
Così pulice(m) diventa pulce in italiano ma resta purice in romeno; nebŭla diviene negură in romeno e attraverso un passaggio intermedio di *nebla si arriva a nebbia in italiano. Al contrario, nella forma scritta, si possono ritrovare forme ipercorrette o anche reazioni e forme di resistenza al fenomeno della sincope come nel caso di tempuli per templi.
In italiano la conservazione della vocale normalmente si ha solo nelle voci dotte come in secolo da saecŭlum e non da saeclum, o miracolo da miracŭlum, anche se era presente la voce popolare *miraclum che avrebbe prodotto in italiano la forma *miracchio. Sono comunque presenti, in alcuni casi, entrambe le forme come vigilia voce dotta e veglia voce popolare.
Un’ulteriore tendenza soprattutto nel latino parlato fu la caduta delle ➔ semivocali [j] ed [w] o [ɰ] per effetto del fenomeno della sincope: quietus diventa quetus e in italiano cheto e in romeno cet; februarius diventa febrarius o febraris; febrarius è poi la base per le forme romanze come it. febbraio, romeno făurar, fr. février, spagn. febrero, port. feveriero.
Anche le consonanti subiscono il processo di sincope (il nome corretto è ectlipsi, come si è detto): ad es., la forma italiana guaina deriva dal latino vagīna con va- > gua- per similitudine con gli esiti di w- germanico. Il suono bilabiale w germanico fu interpretato, in latino, in un primo tempo con [v]: wanga > vanga; tale suono però risultava molto diverso dal suono /v/ fricativo labiodentale sonoro del romanzo, quindi venne reinterpretato con un diverso fonema che però si avvicinasse percettivamente al suono germanico originale: wardon diviene allora nel latino del VI-VII secolo guardare e questo succede costantemente anche nel romanzo (almeno tra i prestiti più antichi): w > gu, werra diventa in italiano guerra e in francese guerre. Quindi vagīna divenne in un primo momento *guagīna e in seguito, per effetto di sincope di [g], in italiano guaina.
Nei verbi, in diacronia, si è conosciuta una oscillazione: ad es. oggi è di uso più corrente la forma morirò rispetto a quella sincopata morrò, mentre la vocale tematica di alcuni verbi, soprattutto al futuro o al condizionale, subisce sincope, come mostrano i seguenti esempi:
(1) sapere > *saperò > saprò
(2) vedere > *vederò > vedrò
(3) tenere > *tenerò > terrò
(4) conduc(e)re > *conducerò > condurrò
La letteratura italiana, almeno nell’Ottocento, ha preferito le forme verbali non sincopate: si veda un libro per ragazzi come Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi:
(5) Io non me ne anderò di qui, – rispose il Grillo, – se prima non ti avrò detto una gran verità (cap. 4)
(6) Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore (cap. 8)
(7) Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo (cap. 9)
(8) oggi è impossibile: vi anderò un altro giorno (cap. 18)
(9) Dove anderò a dormire la notte? (cap. 23)
(10) ma anderò a vederlo dopo la scuola (cap. 26)
(11) Anderò a rasciugarmi e a riscaldarmi, e poi? … e poi sarà quel che sarà (cap. 28)
Nei dialetti italiani il fenomeno della sincope ha evoluzioni differenti, come mostra l’isoglossa numero 5 La Spezia-Rimini (Rohlfs 1937: 10; ➔ isoglossa).
Nel ligure, oltre alla caduta delle consonanti intervocaliche [t], [d] e [v] si registra anche l’➔indebolimento e a volte la caduta di [r] e di [l]: [ʃuː] «fiore», [sou̯] «sapore», [ˈmuwɛː] «madre», [pwɛː] «padre» e [myː] «mulo» (Loporcaro 2009: 92). Nell’area veneto-ferrarese avviene la cancellazione delle vocali postoniche (Zamboni 1988: 523; Pellegrini 1977, isoglossa numero 9). In Emilia Romagna la sincope colpisce le vocali pretoniche: modenese [dman] «domani», [ɱvoː] «nipote», [ˈvsiːga] «vescica» (Bertoni 1905: 35) (➔ emiliano-romagnoli, dialetti).
In alcuni casi, in controtendenza, la sincope più che alla semplificazione sillabica tende alla creazione di nessi molto complessi e quindi probabilmente instabili, come nel bolognese [ˈstmɛːna] «settimana», [zbdɛːl] «ospedale», [bdoːč] «pidocchio» (Schmid 1997). Le vocali pretoniche sono sincopate anche nell’Umbria settentrionale come mostrano gli esempi di «telaio» > [ˈtlɛo], «accecare» > [čkɛ], «domenica» > [ˈdmenːəka] (Moretti 1987: 33-34).
Collodi, Carlo (1983), Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Firenze, Paggi.
Bertoni, Giulio (1905), Il dialetto di Modena. Introduzione, grammatica, testi antichi, Torino, Loescher.
Loporcaro, Michele (2009), Profilo linguistico dei dialetti italiani, Roma - Bari, Laterza.
Moretti, Giovanni (1987), Umbria, in Profilo dei dialetti italiani, a cura di M. Cortelazzo, [poi] di A. Zamboni, Pisa, Pacini, 23 voll., vol. 11º.
Pellegrini, Giovanni Battista (1977), Carta dei dialetti d’Italia, Pisa, Pacini.
Rohlfs, Gerhard (1937), La struttura linguistica dell’Italia, Leipzig, Keller (rist. in Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 6-25).
Schmid, Stephan (1997), A typological view of syllable structure in some Italian dialects, in Certamen phonologicum III. Papers from the third Cortona phonology meeting (april 1996), edited by P.M. Bertinetto et al., Torino, Rosenberg & Sellier, pp. 247-265.
Tagliavini, Carlo (1949), Le origini delle lingue neolatine. Corso introduttivo di filologia romanza, Bologna, Pàtron.
Zamboni, Alberto (1988), Aree linguistiche IV, Veneto, in Lexikon der romanistischen Linguistik (LRL), hrsg. von G. Holtus, M. Metzeltin & C. Schmitt, Tübingen, Niemeyer, 8 voll., vol. 4º (Italienisch, Korsisch, Sardisch), pp. 517-538.