SINDACALISMO
L'espressione è connessa col termine "sindacato" usato nel senso specifico di organizzazione di lavoratori per la difesa dei loro interessi di gruppo e di classe (leghe di resistenza, unioni e federazioni di mestieri, trade unions, borse o camere del lavoro, confederazioni generali del lavoro). Designa in genere il fatto storico, essenzialmente moderno, del movimento operaio (v. operaio, movimento) nella sua prassi e nella sua teoria; e più particolarmente le dottrine interpretative e programmatiche di esso; onde, per la divergenza dei rispettivi orientamenti, si distinguono anche diversi sindacalismi contrastanti: rivoluzionario, riformista, anarchico, cattolico, fascista, ecc. Ma mentre nell'anarchismo, riformismo, cattolicismo, fascismo, l'azione sindacale non è che aspetto ed elemento parziale di più complesso sistema teoricopratico, al cui principio resta subordinata, invece nel sindacalismo rivoluzionario essa costituisce il centro, anzi la sfera intera del sistema, onde si giustifica l'uso comune, che col puro nome di sindacalismo designa quello rivoluzionario. Questo è nato in Francia dalla prassi delle Bourses du travail; ha avuto l'apostolo in F. Pelloutier, e il filosofo in G. Sorel (v.), riconosciuto poi maestro anche dai sindacalisti d'Italia e d'altrove. Elementi singoli della dottrina soreliana appaiono già altrove fin dall'inizio del sec. XIX: le idee del valore morale dell'uomo solo come produttore, dell'organizzazione di soli lavoratori, dello sciopero generale, si affermano fin dal cartismo (v.) e da R. Owen. Ma i sindacalisti amano richiamarsi a K. Marx che nel Manifesto dei comunisti (1848) affermava a principio centrale la lotta di classe, e incitava il proletariato a costituirsi in partito di classe, col fine di abolire tutti i rapporti costituenti la società borghese e instaurare una società, in cui il libero sviluppo di ognuno sia condizione del libero sviluppo di tutti. Dell'Associazione internazionale dei lavoratori (1862) Marx faceva programma metodico lo sviluppo della lotta di classe, fine la rivoluzione, organi ed elementi i sindacati. Una mozione, fatta votare da lui al congresso del 1866 (Ginevra), sui sindacati nel passato, nel presente e nel futuro, diceva: "i sindacati nacquero dallo sforzo dei lavoratori di rimuovere la concorrenza tra loro, e ottenere condizioni che si sollevassero da uno stato vicino alla schiavitù... Questa azione è necessaria, deve generalizzarsi sempre più. D'altra parte i sindacati sono divenuti spontaneamente i centri dell'organizzazione della classe lavoratrice... Se sono indispensabili per la lotta quotidiana fra il capitale e il lavoro, non meno importante è il loro secondo ufficio: rappresentare la forza organizzata, che deve demolire il sistema stesso del lavoro salariato e il dominio del capitale... I sindacati devono apprendere ad agire consapevolmente come centri dell'organizzazione della classe lavoratrice, nel grande interesse della sua totale emancipazione. Essi debbono appoggiare ogni movimento sociale e politico che miri a questo scopo, e considerarsi come i campioni di tutta la classe".
Ma oltre a quest'azione esterna dei sindacati contro la classe avversa c'è l'azione interna di formazione della coscienza proletaria quale creatrice in sé del nuovo mondo sociale. Visione che è pure in Marx, ma che Pelloutier, Sorel e i sindacalisti traggono più da Proudhon, che ha posto sul terreno morale il problema della capacità della classe operaia: considerando la classe non come dato oggettivo, ma conquista della coscienza, che si svolge dal fatto morale della scissione dagli altri gruppi sociali in virtù di un'idea sua propria, da cui deduce condizioni pratiche sue proprie, per la creazione del nuovo ordine sociale. Dice Sorel: "una rivoluzione non produce cambiamenti profondi, durevoli e gloriosi, se non è accompagnata da un'ideologia, il cui valore filosofico sia in rapporto con l'importanza materiale dei sovvertimenti compiti; questa ideologia dà agli attori del dramma la fiducia di cui hanno bisogno per vincere; essa serve per ostacolare i ritorni al passato..., essa infine giustifica più tardi la rivoluzione, che diviene così un trionfo della ragione realizzata dalla storia" (Confess., Roma 1910). Ma non si vegga qui espressa una concezione intellettualistica, da cui invece il Sorel aborre. L'ideologia per lui è creazione della volontà e della fede, è un mito. "Ciò che vi è di veramente fondamentale in ogni divenire, è lo stato di tensione passionale che si trova negli spiriti". "La fede che certi gruppi umani hanno in una missione loro affidata, la certezza di un successo perseguito attraverso una moltitudine d'ostacoli, ecco forze di prim'ordine, che proiettate in mezzo ai casi della storia possono raggruppare volontà così durevolmente, che producano processi di divenire, appropriati alla loro natura" (Matériaux, Avant-propos). Ecco le forze che il razionalismo distrugge e l'ottimismo scoraggia: e solo un pessimismo eroico esalta, come nel cristianesimo primitivo o nel calvinismo, cui la coscienza del male eccita all'offensiva per la redenzione. La lotta mantiene l'ardore della volontà e la fiducia di rovesciar le leggi della miseria e della fatalita (Réflexions, Avant-propos); ma essa suppone una scissione; ed ecco l'importanza che la scissione (diremption) e la violenza assumono nel sindacalismo, per dare al proletariato la coscienza di classe e la volontà della sua missione, e svilupparla e difenderla da ogni contaminazione, come potenza creatrice del nuovo mondo. Così l'esigenza di Proudhon, che vuole il problema sociale inteso come problema morale, diventa esigenza di mettere in vigore "la morale dei produttori". La società nuova (socialistica) cui tende Sorel sulle orme di Marx, vuole il potenziamento e non la decadenza della produzione: l'alta vigoria dell'industria è conditio sine qua non della rivoluzione sociale. Ma a ciò occorre il progresso morale del proletariato non meno che il progresso materiale del macchinario: occorre una rinascita morale, ehe può essere opera solo di una classe che si separi dal mondo presente (borghese) come il cristianesimo si separava dal mondo antico per dar vita alla nuova religione. Occorrono dunque quei valori eroici, che Nietzsche e altri hanno visto nel tipo dei dominatori, concepenti la vita come energia personale creatrice, cioè come lotta e non come piacere. Questi valori Sorel vuole trasferiti sul terreno dei rapporti civili nei liberi produttori, che li sentano come esigenza interiore, sostituendo una nuova disciplina intima a ogni coazione esteriore. Nelle guerre di libertà i soldati si consideravano ognuno un personaggio, libero, ma perciò responsabile, convinto che l'ultimo combattente, non meno che il generale, potesse con un suo mancamento compromettere la vittoria. Così si esaltava la forza individualistica nella massa; ognuno operava col maggior ardore, come se su lui si imperniasse il risultato, pur sapendo che il suo sacrificio restava senza ricompensa. Identico stato d'animo per Sorel si forma nel libero produttore e si educa nel sindacalismo: "grande forza educatrice che la società contemporanea ha a sua disposizione per preparare il lavoro dell'avvenire" (Reflexions, cap. VII).
Il libero produttore in un'officina d'alta produzione si sente non uno statico riproduttore di modelli, ma un dinamico artista creatore, inventore di perfezionamenti, senza aspettarne gloria personale, come gli anonimi artisti gotici del Medioevo. Nel tempo stesso sente il dovere della probità e dell'esattezza del lavoro, come il soldato delle guerre di libertà sentiva la religione della consegna: ma lo sente in quanto si educa nella lotta, dove la mancanza al proprio compito è tradimento. Così per Sorel c'è un'epopea economica; ci sono forze d'entusiasmo vivificatrici della morale dei produttori; che dànno le condizioni su cui si potrà fondare l'opificio degli uomini liberi, ardenti ricercatori del meglio: ma sono forze che si attivano solo nella lotta ed esigono la scissione netta e recisa dalla classe dominante.
Con ciò la lotta di classe è convertita in esigenza morale per la salvezza dell'avvenire umano, fatta missione storica del proletariato. Si tratta di salvare il progresso economico dalla decadenza e l'etica proletaria da ogni degenerazione. Alla decadenza economica condurrebbe, per Sorel, la politica di conciliazione fra le classi: il capitalismo, per portare la produzione al più intenso vigore, ha bisogno che i suoi "capitani d'industria" siano tesi nell'ardore della conquista e rotti alla lotta. Se si ammolliscono nelle concessioni e nell'umanitarismo, rinunciando per la pace al compito di creatori di forze produttive, si ha la decadenza: a salvare gl'interessi della civiltà deve provvedere, con un'implacabile lotta di classe, il proletariato, salvando dalla degenerazione sé stesso, il capitalismo e l'avvenire dell'umanità. Guerra incessante, dunque e violenza; che è coltivazione di spirito eroico e di senso del sublime negli atti e non nelle parole. Le convinzioni alte e serie, che investano tutta la coscienza, non dipendono per Sorel da ragionamento o da educazione esterna, ma dalla partecipazione a uno stato di guerra che si traduce in miti. Il mito del proletariato è lo sciopero generale: affermazione tipica della scissione di classe e della volontà rivoluzionaria sul terreno economico, ripudio del terreno politico, anzi negazione dello stato e della patria. Questo mito, dice Sorel, non è nato da riflessioni filosofiche, ma dalla stessa lotta sindacale, come sintesi di tutto il dramma sociale: racchiude infatti le tendenze più spiccate della classe, si presenta allo spirito in ogni circostanza con la tenacia di un istinto, dà aspetto di realtà alle speranze di azione, riformatrici della volontà: perciò compendia in sé il socialismo, con una chiarezza che nessun'altra nozione saprebbe dare (Reflexions, cap. IV). Con la scissione della società in due eserciti nemici e col quadro della catastrofe finale, "attrae e travolge nella corrente rivoluzionaria tutto ciò che tocca" ripudia tutte le riforme in cui trova sempre l'impronta borghese; e ripudia lo sciopero generale politico, che fa i sindacati strumento di un partito, ne scatena l'azione in epoca di decadenza anziché di progresso economico, e tendendo alla conquista dello stato, mette capo a una dittatura, per cui la rivoluzione termina in servitù (Réflections, cap. V). Invece lo sciopero sindacalistico non vuole conquistare lo stato, ma sopprimerlo; come vuole espellere i capitalisti dal regno della produzione, sostituendo a entrambi il sindacato.
È evidente tuttavia che il mito dello sciopero generale, anziché compendiare in sé tutto il socialismo, ne presenta solo il lato negativo. La maturità delle classi lavoratrici, che per il sindacalismo è prodotto dell'azione sindacale, implica un contenuto positivo, che l'idea di sciopero generale può supporre ma non esprimere affatto. La formazione interiore della classe proletaria e della sua capacità di sostituire la classe capitalistica e politica, che con Proudhon il Sorel subordina al possesso di un'idea propria, non è per lui stesso data solo dall'idea dello sciopero generale. Nell'Avenir socialiste des syndicats egli osservava che se il socialismo aspira a trasportare nella società il regime dell'officina, non attribuirà mai troppa importanza ai progressi nella disciplina del lavoro, nell'organizzazione degli sforzi collettivi, nel funzionamento della direzione tecnica. E anche nelle Réflexions sur la violence, torna a parlare dello spirito di perfezionamento tecnico e di probità nel lavoro, che si educa nell'officina d'alta produzione. Con ciò egli prende posizione contro i numerosi sindacalisti che, partendo dalla visione puramente bellica e negativa dell'azione proletaria, davano un posto d'onore al sabotage e a forme affini. Ora le istituzioni operaie per prendere il posto dell'organizzazione capitalistica e statale, emancipandosi da ogni partito che pretenda di dirigerle, hanno bisogno di un'unità interiore che, se fosse solo unità di guerra, si dissolverebbe all'atto dell'eliminazione del nemico. Il Sorel sembra avvertirlo quando, nell'Avenir socialiste des syndicats delinea la formazione dello spirito di solidarietà, di sacrificio, di responsabilità nel proletariato: che si compie bensì specialmente nella lotta di difesa e d'assalto ma si svolge anche nella creazione d'istituti e sistemi sindacali (mutualismo, cooperazione, protezione morale della donna e dei fanciulli, ecc.), caratterizzati da un'esigenza di solidarietà proletaria rivelante il principio nuovo del nuovo diritto. "Le trasformazioni economiche (dice Sorel) non possono realizzarsi se i lavoratori non abbiano acquistato un grado superiore di cultura morale"; e il sindacato è il solo "meccanismo capace di garantire lo sviluppo della morale". Ma il sindacato è tale, per lo stesso Sorel, in quanto non solo esso oppugni le istituzioni capitalistiche, ma anche elabori le istituzioni proletarie, sviluppi nell'operaio la coscienza di produttore, formi la maturità della classe lavoratrice, per un compito non di sola demolizione, ma anche di costruzione, che sta nell'assumersi il progresso civile dell'umanità.
Il mito negativo mette il sindacalismo in conflitto anche con la condizione posta alla rivoluzione proletaria: di vigore progressivo e non di decadenza del ritmo produttivo. Sorel crede che basti dare il bando a ogni spirito di conciliazione, per fare i "capitani d'industria" tutti protesi implacabilmente nello sforzo d'intensificare lo sviluppo industriale. Ma questo sforzo sarà stimolato o disanimato da una sistematica azione diretta di sciopero, sabotage, ostruzionismo, ecc., usati sempre in funzione dell'idea ossessionante dello sciopero generale?
Altra negatività tipica appare nel ripudio dell'azione politica e dello stato. Contro il socialismo, riformista o rivoluzionario, tendente alla conquista dello stato, il sindacalismo vuole far sparire ogni gerarchia politica, ogni comando d'intellettuali estranei alla corporazione produttiva, vuole svuotare le forme politiche di ogni contenuto, per sostituirvi l'organizzazione puramente economica dei gruppi operai, collegati da un sistema di federazioni, locali o nazionali. Ma le gerarchie soppresse da una parte risorgono dall'altra col governo di "gruppi professionali selezionati" (Sorel) o della "minoranza cosciente" (Pouget) sulla massa amorfa; e il "governo autonomo della produzione per opera della classe lavoratrice" (Labriola) pone il problema di un potere regolatore e coordinatore delle funzioni produttive dei sindacati nell'interesse della collettività e del progresso civile.
Su questi punti specialmente si è svolta l'opposizione delle altre correnti di sindacalismo a quello rivoluzionario. Il sindacalismo riformista, nato in Inghilterra dopo il cartismo come prassi delle trade unions, ebbe l'impulso alla formulazione teorica dal revisionismo di E. Bernstein, insorto contro la teoria catastrofica ad affermare che il socialismo risulterà dal crescente sviluppo delle istituzioni democratiche sottoposte al controllo e alla disciplina delle classi lavoratrici, il cui elevamento morale e materiale è il fine vero dell'azione sucialista. Con ciò venivano stimolate anche la conquista metodica della legislazione sociale, e la pressione sindacale sullo stato, oltre che sulla classe capitalistica, e la partecipazione crescente dei lavoratori alle funzioni pubbliche. Questo riformismo acquistò largo seguito nel movimento operaio dei varî paesi, guidandone l'alleanza con la socialdemocrazia. Una posizione intermedia tra esso e il sindacalismo rivoluzionario ha assunto il Guild socialism (cui è affine in America, Australia, ecc., il movimento dell'Industriai Workers World). Il Guild socialism, o teoria delle gilde nazionali, accentua esso pure l'esigenza morale della libertà e dello sviluppo della personalità dei lavoratori e perciò vuole il passaggio del controllo della produzione dai padroni a gruppi di lavoratori democraticamente organizzati nelle istituzioni sindacali, ripetendo che il dominio dello stato in ogni sfera di organizzazione sociale sia negazione di questo selfgovernment. Ma non vuole distruggere lo stato, bensì solo ridurlo alle funzioni correlative al fine della libertà, togliendogli la sovranitá su tutti gli altri organi.
Tutti questi sindacalismi s'imperniano su un'esigenza di libertà, alla quale il sindacalismo cattolico contrappone l'esigenza della carità cristiana. Per esso la gerarchia sociale è necessaria; ma l'operaio non deve essere costretto da necessità ad accettare imposizioni di patti duri (Rerum Novarum); e perciò si giustifica l'organizzazione sindacale, su cui si prevede abbia a imperniarsi la società futura. "L'avvenire è del sindacato e della federazione... la società si va organizzando in gruppi secondo l'affinità degli interessi professionali"; ma questo irrefrenabile movimento deve essere indirizzato dalla scuola sociale cristiana e dai suoi principî morali (Civiltà cattolica, 1911).
Del sindacalismo rivoluzionario parve per un momento allo stesso Sorel figlia la rivoluzione dei Sovieti, coi consigli degli operai e contadini; ma ben hresto è apparso evidente che tutto quanto il sistema sindacale è posto in essa sotto la ferrea direzione e dominazione dello stato.
E nell'affermazione del valore supremo dello stato è agli antipodi del sindacalismo rivoluzionario anche il sindacalismo fascista, imitato poi dal socialnazionalismo tedesco. Nel concetto fascista rivive l'esigenza dei valori eroici, rivive il concetto di una società di produttori, in cui l'uomo è cittadino in quanto produttore; ma è respinta la lotta di classe: i sindacati di datori e prestatori di lavoro sono unificati nella corporazione, tutte le corporazioni nella nazione, la cui personalità morale si riassume nello stato (v. carta: La Carta del lavoro; corporazione; fascismo).
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